La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo CXVI

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Libro primo
Capitolo CXVI

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Fattosi l’alba, la guardia mi destò e disse: - O sventurato uomo da bene, ora non è piú tempo a dormire, perché gli è venuto quello che t’ha a dare una cattiva nuova -. Allora io dissi: - Quanto piú presto io esca di questo carcer mondano, piú mi sarà grato, maggiormente essendo sicuro che l’anima mia è salva, e che io muoio attorto. Cristo glorioso e divino mi fa compagno alli sua discepoli e amici, i quali, e Lui e loro, furno fatti morire attorto: cosí attorto son io fatto morire, e santamente ne ringrazio Idio. Perché non viene innanzi colui che m’ha da sentenziare? - Disse la guardia allora: - Troppo gl’incresce di te e piange -. Allora io lo chiamai per nome, il quale aveva nome messer Benedetto da Cagli. Dissi: - Venite innanzi, messer Benedetto mio, ora che io son benissimo disposto e resoluto; molto piú gloria mia è che io muoia attorto, che se io morissi a ragione: venite innanzi, vi priego, e datemi un sacerdote, che io possa ragionar con seco quattro parole; con tutto che non bisogni, perché la mia santa confessione io l’ho fatta col mio Signore Idio; ma solo per osservare quello che ci ha ordinato la santa madre Chiesa; che se bene e’ la mi fa questo iscellerato torto, io liberamente le perdono. Sí che venite, messer Benedetto mio, e speditemi prima che ’l senso mi cominciassi a offendere -. Ditte queste parole, questo uomo da bene disse alla guardia che serrassi la porta, perché sanza lui non si poteva far quello uffizio. Andossene a casa della moglie del signor Pierluigi, la quale era insieme con la Duchessa sopraditta; e fattosi innanzi a loro, questo uomo disse: - Illustrissima mia patrona, siate contenta, vi priego per l’amor de Dio, di mandare a dire al Papa, che mandi un altro a dar quella sentenzia a Benvenuto e fare questo mio uffizio, perché io lo rinunzio e mai piú lo voglio fare - e con grandissimo cordoglio sospirando si partí. La Duchessa, che era lí alla presenza, torcendo il viso disse: - Questa è la bella iustizia che si tiene in Roma da il Vicario de Dio! il Duca già mio marito voleva un gran bene a questo uomo per le sue bontà e per le sue virtú, e non voleva che lui ritornassi a Roma, tenendolo molto caro appresso a di sé - e andatasene in là borbottando con molte parole dispiacevole. La moglie del signor Pierluigi, si chiamava la signora Ieronima, se ne andò dal Papa, e gittandosi ginocchioni - era alla presenza parecchi Cardinali - questa donna disse tante gran cose, che la fece arrossire il Papa, il quale disse: - Per vostro amore noi lo lascieremo istare, se bene noi non avemmo mai cattivo animo inverso di lui -. Queste parole le disse il Papa per essere alla presenza di quei Cardinali, i quali avevano sentito le parole che aveva detto quella maravigliosa e ardita donna. Io mi stetti con grandissimo disagio, battendomi il cuore continuamente. Ancora stette a disagio tutti quelli uomini che erano destinati a tale cattivo uffizio, insino che era tardi all’ora del desinare; alla quale ora ogni uomo andò ad altre sue faccende, per modo che a me fu portato da desinare: onde che maravigliato, io dissi: - Qui ha potuto piú la verità che la malignità degli influssi celesti; cosí priego Idio, che se gli è in suo piacere, mi scampi da questo furore -. Cominciai a mangiare, e sí bene come io avevo fatto prima la resoluzione al mio gran male, ancora la feci alla speranza del mio gran bene. Desinai di buona voglia. Cosí mi stetti sanza vedere o sentire altri insino a una ora di notte. A quell’ora venne il bargello con buona parte della sua famiglia, il quale mi rimesse in su quella sieda, che la sera dinanzi lui m’aveva in quel luogo portato, e di quivi con molte amorevol parole a me, che io non dubitassi, e a’ sua birri comandò che avessin cura di non mi percuotere quella gamba che io avevo rotta, quanto agli occhi sua. Cosí facevano, e mi portorno in Castello, di donde io ero uscito; e quando noi fummo su da alto innel mastio, dov’è un cortiletto, quivi mi fermorno per alquanto.