La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo CXX

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Libro primo
Capitolo CXX

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Il buon Castellano mandava ispesso segretamente a sentire quello che io facevo: e perché l’ultimo dí di luglio io mi rallegrai da me medesimo assai, ricordandomi della gran festa che si usa di fare in Roma in quel primo dí d’agosto, da me dicevo: - Tutti questi anni passati questa piacevol festa io l’ho fatta con le fragilità del mondo; questo anno io la farò oramai con la divinità de Dio - e da me dicevo: - Oh quanto piú lieto sono io di questa che di quelle! - Quelli che mi udirno dire queste parole, il tutto riferirno al Castellano; il quale con maraviglioso dispiacere disse: - Oh Dio! colui trionfa e vive, in tanto male; e io istento in tante comodità, e muoio solo per causa sua! Andate presto e mettetelo in quella piú sotterrania caverna, dove fu fatto morire il predicatore Foiano di fame: forse che vedendosi in tanta cattività, gli potria uscire il ruzzo del capo -. Subito venne dalla mia prigione il capitano Sandrino Monaldi con circa venti di quei servitori del Castellano; e mi trovorno che io ero ginocchioni, e non mi volgevo alloro, anzi adoravo un Dio Padre addorno di Angeli e un Cristo risuscitante vittorioso, che io mi avevo disegnati innel muro con un poco di carbone, che io avevo trovato ricoperto dalla terra, di poi quattro mesi che io ero stato rovescio innel letto con la mia gamba rotta; e tante volte sognai che gli Angeli mi venivano a medicarmela, che di poi quattro mesi ero divenuto gagliardo come se mai rotta la non fussi stata. Però vennono a me tanto armati, quasi che paurosi che io non fussi un velenoso dragone. Il ditto capitano disse: - Tu senti pure che noi siamo assai, e che con gran romore noi vegniamo a te; e tu a noi non ti volgi -. A queste parole, immaginatomi benissimo quel peggio che mi poteva intervenire, e fattomi pratico e costante al male, dissi loro: - A questo Idio che mi porta a quello de’ cieli ho volto l’anima mia e le mie contemplazione e tutti i mia spiriti vitali; e a voi ha volto appunto quello che vi si appartiene, perché quello che è di buono in me voi non sete degni di guardarlo, né potete toccarlo: sí che fate, a quello che è vostro, tutto quello che voi potete -. Questo duro capitano, pauroso, non sapendo quello che io mi volessi fare, disse a quattro di quelli piú gagliardi: - Levatevi l’arme tutte da canto -. Levate che se l’ebbono, disse: - Presto presto saltategli a dosso e pigliatelo. Non fussi costui il diavolo, che tanti noi doviamo aver paura di lui? Tenetelo or forte che non vi scappi -. Io, sforzato e bistrattato da loro, inmaginandomi molto peggio di quello che poi m’intervenne, alzando gli occhi a Cristo dissi: - O giusto Idio, tu pagasti pure in su quello alto legno tutti e’ debiti nostri: perché addunche ha a pagare la mia innocenzia i debiti di chi io non conosco? oh! pure sia fatta la tua voluntà -. Intanto costoro mi portavano via con un torchiaccio acceso; pensavo io che mi volessino gittare innel trabocchetto del Sammalò: cosí chiamato un luogo paventoso, il quale n’ha inghiottiti assai cosí vivi, perché vengono a cascare inne’ fondamenti del Castello giú innun pozzo. Questo non m’intervenne: per la qual cosa me ne parve avere un bonissimo mercato; perché loro mi posono in quella bruttissima caverna sopra detta, dove era morto il Foiano di fame, e ivi mi lasciorno istare, non mi faccendo altro male. Lasciato che e’ m’ebbono, cominciai a cantare un De profundis clamavit, un Miserere, e In te Domine speravi. Tutto quel giorno primo d’agosto festeggiai con Dio, e sempre mi iubbilava il cuore di speranza e di fede. Il sicondo giorno mi trassono di quella buca e mi riportorno dove era quei miei primi disegni di quelle inmagini de Idio. Alle quali giunto che io fui, alla presenza di esse di dolcezza e di letizia io assai piansi. Da poi il Castellano ogni dí voleva sapere quello che io facevo e quello che io dicevo. Il Papa, che aveva inteso tutto il seguíto, e di già li medici avevano isfidato a morte il ditto Castellano, disse: - Innanzi che il mio Castellano muoia, io voglio che e’ faccia morire a suo modo quel Benvenuto, ch’è causa della morte sua, acciò che lui non muoia invendicato -. Sentendo queste parole il Castellano per bocca del duca Pierluigi, disse al ditto: - Addunche il Papa mi dona Benvenuto, e vuole che io ne faccia le mie vendette? Non pensi addunque ad altro e lasci fare a me -. Sí come il cuor del Papa fu cattivo inverso di me, pessimo e doloroso fu innel primo aspetto quello del Castellano; e in questo punto quello Invisibile, che mi aveva divertito dal volermi ammazzare, venne a me pure invisibilmente ma con voce chiare; e mi scosse e levommi da iacere e disse: - Oimè! Benvenuto mio, presto presto ricorri a Dio con le tue solite orazione, e grida forte forte -. Subito spaventato mi posi inginocchioni, e dissi molte mie orazioni ad alta voce: di poi tutte, un Qui habitat in ajutorium; di poi questo, ragionai con Idio un pezzo: e in uno istante la voce medesima aperta e chiara mi disse: - Vatti a riposa, e non aver piú paura -. E questo fu che il Castellano, avendo dato commessione bruttissima per la mia morte, subito la tolse e disse: - Non è egli Benvenuto quello che io ho tanto difeso, e quello che io so certissimo che è innocente, e che tutto questo male se gli è fatto attorto? O come Idio arà mai misericordia di me e dei mia peccati, se io non perdono a quelli che m’hanno fatto grandissime offese? O perché ho io a offendere un uomo da bene, innocente, che m’ha fatto servizio e onore? Vadia, che in cambio di farlo morire, io gli do vita e libertà; e lascio per testamento che nissuno gli domandi nulla del debito della grossa ispesa che qui gli arebbe a pagare -. Questo intese il Papa e l’ebbe molto per male.