La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo LI

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Libro primo
Capitolo LI

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Attendevo con grandissima sollecitudine a finire quell’opera d’oro a papa Clemente, la quale il ditto Papa grandemente desiderava, e mi faceva chiamare dua e tre volte la settimana, volendo vedere detta opera, e sempre gli cresceva di piacere: e piú volte mi riprese quasi sgridandomi della gran mestizia che io portavo di questo mio fratello; e una volta in fra l’altre, vedutomi sbattuto e squallido piú che ’l dovere, mi disse: - Benvenuto, oh! i’ non sapevo che tu fussi pazzo; non hai tu saputo prima che ora, che alla morte non è rimedio? Tu vai cercando di andargli drieto -. Partitomi dal Papa seguitava l’opera e i ferri della zecca, e per mia innamorata mi avevo preso il vagheggiare quello archibusieri, che aveva dato al mio fratello. Questo tale era già stato soldato cavalleggieri, di poi s’era messo per archibusieri nel numero de’ caporali col bargello; e quello che piú mi fece crescere la stizza, fu che lui s’era vantato in questo modo, dicendo: - Se non ero io, che ammazzai quel bravo giovane, ogni poco che si tardava, che egli solo con nostro gran danno tutti ci metteva in fuga -. Cognoscendo io che quella passione di vederlo tanto ispesso mi toglieva il sonno e il cibo e mi conduceva per il mal cammino, non mi curando di far cosí bassa impresa e non molto lodevole, una sera mi disposi a volere uscire di tanto travaglio. Questo tale istava a casa vicino a un luogo chiamato Torre Sanguigna accanto a una casa dove stava alloggiato una cortigiana delle piú favorite di Roma, la quali si domandava la signora Antea. Essendo sonato di poco le ventiquattro ore, questo archibusieri si stava in su l’uscio suo con la spada in mano, e aveva cenato. Io con gran destrezza me gli acostai con un gran pugnal pistolese e girandogli un marrovescio, pensando levargli il collo di netto, voltosi anche egli prestissimo, il colpo giunse innella punta della spalla istanca; e fiaccato tutto l’osso, levatosi sú, lasciato la spada smarrito dal gran dolore, si messe a corsa; dove che seguitandolo, in quattro passi lo giunsi, e alzando il pugnale sopra la sua testa, lui abassando forte il capo, prese il pugnale apunto l’osso del collo e mezza la collottola, e innell’una e nell’altra parte entrò tanto dentro il pugnale, che io, se ben facevo gran forza di riaverlo, non possetti; perché della ditta casa de l’Antea saltò fuora quattro soldati con le spade inpugnate in mano, a tale che io fui forzato a metter mano per la mia spada per difendermi da loro. Lasciato il pugnale mi levai di quivi, e per paura di non essere conosciuto me ne andai in casa il duca Lessandro, che stava in fra piazza Navona e la Ritonda. Giunto che io fui, feci parlare al Duca, il quale mi fece intendere che, se io ero solo, io mi stessi cheto e non dubitassi di nulla, e che io me ne andassi a lavorare l’opera del Papa, che la desiderava tanto, e per otto giorni io mi lavorassi drento; massimamente essendo sopraggiunto quei soldati che mi avevano impedito, li quali avevano quel pugnale in mano, e contavano la cosa come l’era ita, e la gran fatica che egli avevano durato a cavare quel pugnale dell’osso del collo e del capo di colui, il quale loro non sapevano chi quel si fussi. Sopraggiunto in questo Giovan Bandini, disse loro: - Questo pugnale è il mio, e l’avevo prestato a Benvenuto, il quale voleva far le vendette del suo fratello -. I ragionamenti di questi soldati furno assai, dolendosi d’avermi impedito, se bene la vendetta s’era fatta a misura di carboni. Passò piú di otto giorni: il Papa non mi mandò a chiamare come e’ soleva. Da poi mandatomi a chiamare per quel gentiluomo bolognese suo cameriere, che già dissi, questo con gran modestia mi accennò come il Papa sapeva ogni cosa, e che Sua Santità mi voleva un grandissimo bene, e che io attendessi a lavorare e stessi cheto. Giunto al Papa, guardatomi cosí coll’occhio del porco, con i soli sguardi mi fece una paventosa bravata; di poi atteso a l’opera, cominciatosi a rasserenare il viso, mi lodò oltra modo, dicendomi che io avevo fatto un gran lavorare in sí poco tempo; da poi guardatomi in viso, disse: - Or che tu se’ guarito, Benvenuto, attendi a vivere - e io, che lo ’ntesi, dissi che cosí farei. Apersi una bottega subito bellissima in Banchi, al dirimpetto a quel Raffaello, e quivi fini’ la detta opera in pochi mesi a presso.