La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo LVI

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Libro primo
Capitolo LVI

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Seguitando appresso di servire il Papa or di un piccolo lavoro or di un altro, m’impose che io gli facessi un disegno di un calice ricchissimo; il quale io feci il ditto disegno e modello. Era questo modello di legno e di cera; in luogo del bottone del calice avevo fatto tre figurette di buona grandezza tonde, le quale erano la Fede, la Speranza, e la Carità; innel piede poi avevo fatto a conrispondenza tre storie in tre tondi di basso rilievo: che innell’una era la natività di Cristo, innell’altra la resurressione di Cristo, innella terza si era San Pietro crocifisso a capo di sotto; che cosí mi fu commesso che io facessi. Tirando inanzi questa ditta opera, il Papa molto ispesso la voleva vedere; in modo che, avvedutomi che Sua Santità non s’era poi mai piú ricordato di darmi nulla, essendo vacato un frate del Piombo, una sera io gnene chiesi. Al buon Papa non sovvenendo piú di quella ismania che gli aveva usato in quella fine di quella altra opera, mi disse: - L’ufizio del Piombo rende piú di ottocento scudi, di modo che se io te lo dessi, tu ti attenderesti a grattare il corpo, e quella bell’arte che tu hai alle mane si perderebbe, e io ne arei biasimo -. Subito risposi che le gatte di buona sorte meglio uccellano per grassezza che per fame: - Cosí quella sorte degli uomini dabbene che sono inclinati alle virtú, molto meglio le mettono in opera quando egli hanno abundantissimamente da vivere; di modo che quei principi che tengono abundantissimi questi cotali uomini, sappi Vostra Santità che eglino annaffiano le virtú: cosí per il contrario le virtú nascono ismunte e rognose; e sappi Vostra Santità, che io non lo chiesi con intenzione di averlo. Pur beato che io ebbi qual povero mazziere! Di questo tanto m’immaginavo. Vostra Santità farà bene, non l’avendo voluto dar a me, a darla a qualche virtuoso che lo meriti, e non a qualche ignorantone che si attenda a grattare il corpo come disse Vostra Santità. Pigliate esemplo dalla buona memoria di papa Iulio, che un tale ufizio dette a Bramante, eccellentissimo architettore -. Subito fattogli reverenza infuriato mi parti’. Fattosi innanzi Bastiano Veniziano, pittore, disse: - Beatissimo padre, Vostra Santità sia contenta di darlo a qualcuno che si affatica ne l’opere virtuose; e perché, come sa Vostra Santità, ancora io volentieri mi affatico in esse, la priego che me ne faccia degno -. Rispose il Papa: - Questo diavolo di Benvenuto non ascolta le riprensioni. Io ero disposto a dargnene, ma e’ none sta bene essere cosí superbo con un Papa; pertanto io non so quel che io mi farò -. Subito fattosi innanzi il vescovo di Vasona, pregò per il ditto Bastiano, dicendo: - Beatissimo padre, Benvenuto è giovane e molto meglio gli sta la spada accanto che la vesta da frati: Vostra Santità sia contenta di darlo a questo virtuoso uomo di Bastiano; e a Benvenuto talvolta potrete dare qualche cosa buona, la quale forse sarà piú a proposito che questa -. Allora il Papa, voltosi a messer Bartolomeo Valori, gli disse: - Come voi scontrate Benvenuto, ditegli da mia parte che lui stesso ha fatto avere il Piombo a Bastiano dipintore; e che stia avvertito, che la prima cosa migliore che vaca, sarà la sua; e che intanto attenda a far bene, e finisca l’opere mie -. L’altra sera seguente a dua ore di notte, scontrandomi in messer Bartolomeo Valori in sul cantone della zecca: lui aveva due torcie innanzi e andava in furia, domandato dal Papa; faccendogli riverenza, si fermò e chiamommi, e mi disse con grandissima affezione tutto quello che gli aveva ditto il Papa che mi dicessi. Alle qual parole io risposi, che con maggiore diligenzia e istudio finirei l’opera mia, che nessuna mai de l’altre; ma sí bene senza punto di speranza d’avere nulla mai dal Papa. Il detto misser Bartolomeo ripresemi, dicendomi che cosí non si doveva rispondere a le offerte d’un Papa. A cui io dissi, che ponendo isperanza a tal parole, saputo che io non l’arei a ogni modo, pazzo sarei a rispondere altrimenti; e partitomi, me ne andai a ’ttendere alle mie faccende. Il ditto messer Bartolomeo dovette ridire al Papa le mie ardite parole, e forse piú che io non dissi, di modo che il Papa stette piú di dua mesi a chiamarmi, e io in questo tempo non volsi mai andare al palazzo per nulla. Il Papa, che di tale opera si struggeva, commesse a messer Ruberto Pucci che attendessi un poco a quel che io facevo. Questo omaccion da bene ogni dí mi veniva a vedere, e sempre mi diceva qualche amorevol parola, e io allui. Appressandosi il Papa a voler partirsi per andare a Bologna, a l’ultimo poi, veduto che da per me io non vi andavo, mi fece intendere dal ditto misser Roberto, che io portassi sú l’opera mia, perché voleva vedere come io l’avevo innanzi. Per la qual cosa io la portai, mostrando detta opera esser fatto tutta la importanza, e lo pregavo che mi lasciassi cinquecento scudi, parte a buon conto, e parte mi mancava assai bene de l’oro da poter finire detta opera. Il Papa mi disse: - Attendi, attendi a finirla -. Risposi partendomi, che io la finirei, se mi lasciava danari. Cosí me ne andai.