La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo LXIX

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Libro secondo
Capitolo LXIX

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Un giorno di festa in fra gli altri me n’andai in Palazzo dopo ’l desinare, e giunto in su la sala dell’Oriolo, viddi aperto l’uscio della guardaroba, e appressatomi un poco, il Duca mi chiamò, e con piacevole accoglienza mi disse: - Tu sia ’l benvenuto: guarda quella cassetta, che m’ha mandato a donare ’l signore Stefano di Pilestina; aprila e guardiamo che cosa l’è -. Subito apertola, dissi al Duca: - Signor mio, questa è una figura di marmo greco ed è cosa maravigliosa: dico che per un fanciulletto io non mi ricordo di avere mai veduto fra le anticaglie una cosí bella opera, né di cosí bella maniera; di modo che io mi offerisco a Vostra Eccellenzia illustrissima di restaurarvela e la testa e le braccia, i piedi. E gli farò una aquila, acciò che e’ sia battezzato per un Ganimede. E se bene e’ non si conviene a mme il rattoppare le statue, perché ell’è arte da certi ciabattini, i quali la fanno assai malamente; imperò l’eccellenzia di questo gran maestro mi chiama asservirlo -. Piacque al Duca assai che la statua fussi cosí bella, e mi domandò di assai cose, dicendomi: - Dimmi, Benvenuto mio, distintamente in che consiste tanta virtú di questo maestro, la quale ti dà tanta maraviglia -. Allora io mostrai a Sua Eccellenzia illustrissima con el meglio modo che io seppi, di farlo capace di cotal bellezza e di virtú di intelligenzia, e di rara maniera; sopra le qual cose io aveva discorso assai, e molto piú volentieri lo facevo, conosciuto che Sua Eccellenzia ne pigliava grandissimo piacere.