La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo LXXIX

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Libro secondo
Capitolo LXXIX

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Innanzi che io mi partissi, detti ordine ai mia lavoranti che seguitassino sicondo ’l modo che io avevo lor mostro. E la cagione perché io andai si fu che avendo fatto a Bindo d’Antonio Altoviti un ritratto della sua testa, grande quanto ’l propio vivo, di bronzo, e gnel’avevo mandato insino a Roma, questo suo ritratto egli l’aveva messo innun suo scrittoio, il quale era molto riccamente ornato di anticaglie e altre belle cose; ma il detto scrittoio nonnera fatto per sculture, né manco per pitture, perché le finestre venivano sotto le dette belle opere, di sorte che, per avere quelle sculture e pitture i lumi al contrario, le non mostravano bene, in quel modo che le arebbono fatto se le avessino aùto i loro ragionevoli lumi. Un giorno si abbatté ’l detto Bindo a essere in su la sua porta, e passando Michelagnolo Buonaroti, scultore, ei lo pregò che si degnassi di entrare in casa sua a vedere un suo scrittoio; e cosí lo menò. Subito entrato, e veduto, disse: - Chi è stato questo maestro che v’ha ritratto cosí bene e con sí bella maniera? E sappiate che quella testa mi piace come, e meglio qualcosa che si faccino quelle antiche; e pur le sono delle buone che di loro si veggono; e se queste finestre fussino lor di sopra, come le son lor di sotto, le mostrerrieno tanto meglio, che quel vostro ritratto infra queste tante belle opere si farebbe un grande onore -. Subito partito che ’l detto Michelagnolo si fu di casa ’l detto Bindo, ei mi scrisse una piacevolissima lettera la quale diceva cosí:“Benvenuto mio, io v’ho conosciuto tanti anni per il maggiore orefice che mai ci sia stato notizia; e ora vi conoscerò per scultore simile. Sappiate che messer Bindo Altoviti mi menò a vedere una testa del suo ritratto, di bronzo, e mi disse che l’era di vostra mano; io n’ebbi molto piacere; ma e’ mi seppe molto male che l’era messa a cattivo lume, che se l’avessi il suo ragionevol lume, la si mostrerrebbe quella bella opera che l’è”. Questa lettera si era piena delle piú amorevol parole e delle piú favorevole inverso di me: che innanzi che io mi partissi per andare a Roma, l’avevo mostrata al Duca, il quale la lesse con molta affezione, e mi disse: - Benvenuto, se tu gli scrivi e faccendogli venir voglia di tornarsene a Firenze, io lo farei de’ Quarantotto -. Cosí io gli scrissi una lettera tanta amorevole, e innessa gli dicevo da parte del Duca piú l’un cento di quello che io avevo aùto la commessione; e per non voler fare errore, la mostrai al Duca in prima che io la suggellassi, e dissi a Sua Eccellenzia illustrissima: - Signore, io ho forse promessogli troppo -. Ei rispose e disse: - E’ merita piú di quello che tu gli hai promesso, e io gliele atterrò da vantaggio -. A quella mia lettera Michelagnolo non fece mai risposta, per la qual cosa il Duca mi si mostrò molto sdegnato seco.