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La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo LXXXVII

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Libro secondo
Capitolo LXXXVII

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Essendosi in questi giorni trovato certe anticaglie nel contado d’Arezzo, in fra le quali si era la Chimera, ch’è quel lione di bronzo, il quale si vede nelle camere convicino alla gran sala del Palazzo; e insieme con la detta Chimera si era trovato una quantità di piccole statuette, pur di bronzo, le quali erano coperte di terra e di ruggine, e a ciascuna di esse mancava o la testa o le mani o i piedi; il Duca pigliava piacere di rinettarsele da per sé medesimo con certi cesellini di orefici. Gli avvenne che e’ mi occorse di parlare a Sua Eccellenzia illustrissima; e in mentre che io ragionavo seco, ei mi porse un piccol martellino con el quale io percotevo quei cesellini che ’l Duca teneva in mano, e in quel modo le ditte figurine si scoprivano dalla terra e dalla ruggine. Cosí passando innanzi parecchi sere, il Duca mi disse innopera, dove io cominciai a rifare quei membri che mancavano alle dette figurine. E pigliandosi tanto piacere Sua Eccellenzia di quel poco di quelle coselline, egli mi faceva lavorare ancora di giorno, e se io tardavo all’andarvi, Sua Eccellenzia illustrissima mandava per me. Piú volte feci intendere a Sua Eccellenzia che se io mi sviavo il giorno dal Perseo, che e’ ne seguirebbe parecchi inconvenienti; e il primo, che piú mi spaventava, si era che ’l gran tempo che io vedevo che ne portava la mia opera, non fussi causa di venire annoia a Sua Eccellenzia illustrissima, sí come poi e’ mi avvenne; l’altro si era, che io avevo parecchi lavoranti, e quando io nonnero alla presenza, eglino facevano dua notabili inconvenienti. E il primo si era che e’ mi guastavano la mia opera, e l’altro che eglino lavoravano poco al possibile; di modo che il Duca si era contento che io v’andassi solamente dalle 24 ore in là. E perché io mi avevo indolcito tanto meravigliosamente Sua Eccellenzia illustrissima, che la sera che io arrivavo dallui, sempre ei mi cresceva le carezze. In questi giorni e’ si murava quelle stanze nuove di verso i Leoni; di modo che, volendo Sua Eccellenzia ritirarsi in parte piú secreta, ei s’era fatto acconciare un certo stanzino in queste stanze fatte nuovamente, e a mme aveva ordinato che io me n’andassi per la sua guardaroba, dove io passavo segretamente sopra ’l palco della gran sala, e per certi pugigattoli me n’andavo al detto stanzino segretissimamente: dove che innispazio di pochi giorni la Duchessa me ne privò, faccendo serrare tutte quelle mie comodità; di modo che ogni sera che io arrivavo in Palazzo, io avevo a ’spettare un gran pezzo per amor che la Duchessa si stava in quelle anticamere dove io avevo da passare, alle sue comodità; e per essere infetta io non vi arrivavo mai volta che io nolla scomodassi. Or per questa e per altra causa la mi s’era recata tanto annoia, che per verso nissuno la non poteva patir di vedermi; e con tutto questo mio gran disagio e infinito dispiacere, pazientemente io seguitavo d’andarvi; e il Duca aveva di sorte fatto ispressi comandamenti, che subito che io picchiavo quelle porte, e’ m’era aperto, e senza dirmi nulla e’ mi lasciavano entrare per tutto; di modo che e’ gli avvenne talvolta, che entrando chetamente cosí inaspettatamente per quelle secrete camere, che io trovava la Duchessa alle sue comodità; la quale subito si scrucciava con tanto arrabbiato furore meco, che io mi spaventavo, e sempre mi diceva: - Quando arai tu mai finito di racconciare queste piccole figurine? perché oramai questo tuo venire m’è venuto troppo affastidio -. Alla quale io benignamente rispondevo: - Signora, mia unica patrona, io non desidero altro, se none con fede e cone estrema ubbidienza servirla; e perché queste opere, che mi ha ordinato il Duca dureranno di molti mesi, dicami Vostra Eccellenzia illustrissima se la non vuole che io ci venga piú; io non ci verrò in modo alcuno e chiami chi vuole; e se bene e’ mi chiamerà ’l Duca, io dirò che mi sento male e in modo nessuno mai non ci capiterò -. A queste mie parole ella diceva: - Io non dico che tu non ci venga e non dico che tu non ubbidisca al Duca; ma e’ mi pare bene che queste tue opere nonnabbino mai fine -. O che ’l Duca ne avessi aùto qualche sentore, o innaltro modo che la si fussi, Sua Eccellenzia ricominciò: come e’ si appressava alle 24 ore, ei mi mandava a chiamare; e quello che veniva a chiamarmi, sempre mi diceva: - Avvertisci a non mancare di venire, che ’l Duca ti aspetta - e cosí continuai, con queste medesime difficultà, parecchi serate. E una sera infra l’altre, entrando al mio solito, il Duca, che doveva ragionare colla Duchessa di cose forse segrete, mi si volse con el maggior furore del mondo; e io, alquanto spaventato, volendomi presto ritirare, innun subito disse: - Entra, Benvenuto mio, e va là alle tue faccende, e io starò poco a venirmi a star teco -. In mentre che io passavo, e’ mi prese per la cappa il signor don Grazía, fanciullino di poco tempo, e mi faceva le piú piacevol baiuzze che possa fare un tal bambino; dove il Duca maravigliandosi, disse: - Oh, che piacevole amicizia è questa che i mia figliuoli hanno teco!