La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo XLV

Da Wikisource.
Libro secondo
Capitolo XLV

../Capitolo XLIV ../Capitolo XLVI IncludiIntestazione 17 luglio 2008 75% Autobiografie

Libro secondo - Capitolo XLIV Libro secondo - Capitolo XLVI

E subito finito che gli ebbe di farmi quella bravata, che gli aveva promesso alla sua Madama di Tampes, io missi un ginocchio in terra, e baciatogli la vesta in sul suo ginocchio, dissi: - Sacra Maestà, io affermo tutto quello che voi dite che sia vero; solo dico a Quella, che il mio cuore è stato continuamente giorno e notte con tutti li mia vitali spiriti intenti solo per ubbidirla e per servirla; e tutto quello che a Vostra Maestà paressi che fussi in contrario da quel che io dico, sappi Vostra Maestà che quello non è stato Benvenuto, ma può essere stato un mio cattivo fato o ria fortuna, la quale m’ha voluto fare indegno di servire il piú maraviglioso principe che avessi mai la terra: pertanto la priego che mi perdoni. Solo mi parve che Vostra Maestà mi dessi argento per una istatua sola: e non avendo da me, io none possetti fare piú che quella; e di quel poco dello argento che della detta figura m’avanzò, io ne feci quel vaso, per mostrare a Vostra Maestà quella bella maniera degli antichi; qual forse prima lei di tal sorte non aveva vedute. Quanto alla saliera, mi parve, se ben mi ricordo, che Vostra Maestà da per sé me ne richiedessi un giorno, entrato in proposito d’una che ve ne fu portata innanzi; per la qual cosa mostratogli un modello, quale io avevo fatto già in Italia, solo a vostra requisizione voi mi facesti dare subito mille ducati d’oro, perché io la facessi, dicendo che mi sapevi il buon grado di tal cosa: e maggiormente mi parve che molto mi ringraziassi quando io ve la detti finita. Quanto alla porta, mi parve che, ragionandone a caso, Vostra Maestà dessi le commessione a monsignor di Villurois suo primo segretario, il quale commesse a monsignor di Marmagnia e monsignor della Fa che tale opera mi sollecitassino, e mi provvedessino; e sanza queste commessione, da per me io non arei mai potuto tirare innanzi cosí grande imprese. Quanto alle teste di bronzo e la base del Giove e d’altro, le teste io le feci veramente da per me, per isperimentare queste terre di Francia, le quali io, come forestiero, punto non conoscevo; e sanza far esperienza delle ditte terre io non mi sarei messo a gettare queste grande opere. Quanto alle base, io le feci, parendomi che tal cosa benissimo si convenissi per compagnia di quelle tal figure; però tutto quello che io ho fatto, ho pensato di fare il meglio, e non mai discostarmi dal volere di Vostra Maestà. Gli è bene il vero, che quel gran colosso io l’ho fatto tutto, insino al termine che gli è, con le spese della mia borsa; solo parendomi che voi sí gran Re e io quel poco artista che io sono, dovessi fare per vostra gloria e mia una statua, quale gli antichi non ebbon mai. Conosciuto ora che a Dio non è piaciuto di farmi degno d’un tanto onorato servizio, la priego che, cambio di quello onorato premio che vostra Maestà alle opere mie aveva destinato, solo mi dia un poco della sua buona grazia e con essa buona licenzia; perché in questo punto, faccendomi degno di tal cose, mi partirò tornandomi in Italia, sempre ringraziando Idio e Vostra Maestà di quell’ore felice che io sono stato al suo servizio.