La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo XX

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Libro secondo
Capitolo XX

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Or sèguito innanzi il cominciato discorso della vita mia. Avendo infra le mane le sopra ditte opere, cioè il Giove d’argento, già cominciato, la ditta saliera d’oro, il gran vaso ditto d’argento, le due teste di bronzo, sollecitamente innesse opere si lavorava. Ancora detti ordine a gittare la basa del ditto Giove, qual feci di bronzo ricchissimamente, piena di ornamenti, infra i quali ornamenti iscolpi’ in basso rilievo il ratto di Ganimede; da l’altra banda poi Leda e ’l cigno: questa gittai di bronzo, e venne benissimo. Ancora ne feci un’altra simile per porvi sopra la statua di Iunone, aspettando di cominciare questa ancora, se il Re mi dava l’argento da poter fare tal cosa. Lavorando sollecitamente, avevo messo di già insieme il Giove d’argento; ancora avevo misso insieme la saliera d’oro; il vaso era molto innanzi; le due teste di bronzo erano di già finite. Ancora avevo fatto parecchi operette al cardinale di Ferrara; di piú un vasetto d’argento, riccamente lavorato, avevo fatto per donarlo a madama de Tampes; a molti Signori italiani, cioè il signor Piero Strozzi, il conte dell’Anguillara, il conte di Pitigliano, il conte della Mirandola e a molti altri avevo fatto di molte opere. Tornando al mio gran Re, sí come io ho detto, avendo tirato innanzi benissimo queste sue opere, in questo tempo lui ritornò a Parigi, e il terzo giorno venne a casa mia con molta quantità della maggior nobiltà della sua Corte, e molto si maravigliò delle tante opere che io avevo innanzi e a cosí buon porto tirate; e perché e’ v’era seco la sua madama di Tampes, cominciorno a ragionare di Fontana Beliò. Madama di Tampes disse a Sua Maestà che egli doverrebbe farmi fare qualcosa di bello per ornamento della sua Fontana Beliò. Subito il Re disse: - Gli è ben fatto quel che voi dite, e adesso adesso mi voglio risolvere che là si faccia qualcosa di bello - e voltosi a me, mi cominciò a domandare quello che mi pareva da fare per quella bella fonte. A questo io proposi alcune mie fantasie: ancora Sua Maestà disse il parer suo; dipoi mi disse che voleva andare a spasso per quindici o venti giornate a San Germano dell’Aia, quale era dodici leghe discosto di Parigi; e che in questo tanto io facessi un modello per questa sua bella fonte con piú ricche invenzione che io sapevo, perché quel luogo era la maggior recreazione che lui avessi nel suo regno; però mi comandava e pregava, che mi sforzassi di fare qualcosa di bello: e io tanto gli promessi. Veduto il Re tante opere innanzi, disse a madama de Tampes: - Io non ho mai aùto uomo di questa professione che piú mi piaccia, né che meriti piú d’esser premiato di questo; però bisogna pensare di fermarlo. Perché gli spende assai, ed è buon compagnone e lavora assai, è di necessità che da per noi ci ricordiamo di lui: il perché si è, considerate, Madama, tante volte quante gli è venuto da me, e quanto io son venuto qui, non ha mai domandato niente: il cuor suo si vede essere tutto intento all’opere; e bisogna fargli qualche bene presto, acciò che noi non lo perdiamo -. Madama de Tampes disse: - Io ve lo ricorderò -. Partirnosi: io messi con gran sollecitudine intorno all’opere mie cominciate, e di piú messi mano al modello della fonte e con sollecitudine lo tiravo innanzi.