Le convulsioni/Scena XI

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Scena XI

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Marchese Aurelio ch’entra francamente saltellante e brioso, e detti.


AURELIO
Addio, donna Laura, come state? (Laura lo risaluta con piccola inchinazione di capo).
DOMENICA
Male, male assai.
FRANCUCCIO
(che va incontro ad Aurelio) Io veniva appunto in traccia di lei...
AURELIO
(che non lo aveva osservato, dice con sorpresa) E chi è questo signore?
FRANCUCCIO
Sono il dottor Francuccio, ai comandi di Vostra Eccellenza.
AURELIO
Perdonate, io non vi conosceva.
FRANCUCCIO
Lo so, signore, lo so. Il signor Don Alfonso è quegli che m’ha imposto di qua venire a visitare la sua signora moglie...
AURELIO
(con derisione) Mia moglie! mia moglie! donna Laura mia moglie! Oh! non ho quest’onore.
FRANCUCCIO
Domando scusa. Ella dunque non è il signor Bernardino?
AURELIO
(come sopra) Oh! io non sono né Bernardin, né marito. Sono buon servitore ed amico di questa dama, e nulla piú.
FRANCUCCIO
(Ora m’accorgo chi è; e me ne doveva accorgere dalla franchezza colla quale si è presentato) Domando scusa di nuovo. Di nuovo m’inchino alla signora donna Laura; e riverendo questo cavaliere vado, come debbo, a ritrovare il signor Don Alfonso.
AURELIO
Ma dite, dite; che vi pare di lei? Che ne giudicate?
FRANCUCCIO
Io ne giudico quello che ora è inutile l’esporre qui.
AURELIO
Avete fretta? Avete molti ammalati?
FRANCUCCIO
Non, signor; ne ho pochissimi, perché non son solito a voler curare che i veri (andando).
DOMENICA
(a Laura) (Questa è una sassatina che viene a lei).
LAURA
(a Domenica) (Asinaccio).
AURELIO
(con scherno) E avevate preso me pel marito! Troppe grazie in verità, troppe grazie. Io maritato! Non son sí balordo, caro amico, non son sí balordo. Finirà il mondo prima ch’io faccia tale pazzia.
FRANCUCCIO
(ironicamente) Ed io sono persuasissimo ch’ella abbia ogni ragione di credere una pazzia il maritarsi. Servo suo.
AURELIO
E non volete dirmi ciò che giudichiate di questa dama?
FRANCUCCIO
Lo dirò al marito, ed al padre. Quest’è il mio preciso dovere. (Cicisbeo sguaiato, insolente, maligno morbo contro cui la medicina non ha rimedio che vaglia).