Le feste di San Giovanni in Firenze/Parte seconda/Capitolo I

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Capitolo I

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§ I

« Non vi è il mezzo più efficace per togliere dalla mente del popolo le operazioni del Principe, che quello di pubblici spettacoli e giuochi » cosi si esprime il Rastrelli nella sua vita di Alessandro de' Medici ; infatti esso divenuto signore e duca di Firenze, rivolse subito l'occhio alle feste che per antica consuetudine solevano fare nella Città.

Il popolo fiorentino era talmente angustiato dalle passate vicende, che ogni beuchè piccolo sollievo sembravagii gran cosa. Il duca Alessandro volle che fossero eseguite le feste di San Gliovanni, ed in tale circostanza richiamò an- che l'uso delle potenze, cioè di quelle brigate di giovani, una per ogni quartiere della Città, che con i loro respet- tivi capi si esercitavano in giostre ed altri finti combatti- menti, nei quali spesso accadeva che qualcheduno perdesse la vita.

Ognuno concorse a gara col denaro e con la persona perchè più magnifiche riuscissero queste feste; e benché le [p. 34 modifica]private finanze fossero esauste per la passata guerra, non di meno ogni cittadino sforzossi più che poteva. Il duca fece porre alle finestre del proprio palazzo le bandiere da consegnarsi alle varie squadre, e nel giorno della festa di San Giovanni invitò le medesime a prenderle. Egli vi assiste sulla porta tutto armato, ed in mezzo alla sua solita guardia.

Tali piacevolezze durarono però poco tempo, poiché Alessandro prese omhra di tali esercizi guerreschi e questa numerosa radunata di gente con trombe, tamburi, e ciascuno con la propria insegna, lo messero in una certa apprensione, così mostrando di non curarsene fece languire nei sudditi lo spirito di allegria.

Caduto estinto Alessandro, gli successe nel 1537, Cosimo figlio di Giovanni delle Bande Nere; ed assunse il governo in età di 18 anni; Dumas nella sua storia dei Medici ne dipinge un carattere ben singolare, egli era, egli dice, dissimulato come Luigi XVI, appassionato come Enrico VII, valoroso come Francesco I, perseverante come Carlo V, e magnifico al pari di Leon X, ebbe tutti i vizii che potevano rendere tetra la sua vita privata, e quelle apparenti virtù che potevano rendere splendente la vita pubblica.

Sotto il dii lui governo nel 15-15, furono riordinate ed abbellite le feste di San Giovanni; furono concesse nuovamente le giostre delle potenze con delle norme però di disciplina, onde il divertimento non dovesse trascendere ai fatti luttuosi come per il passato.

Nell’anno 1549, oltre le suddette feste fu rappresentato un combattimento di David con Golia.

In questi anni fu introdotta per il giorno del 22 un’altra solennità per accompagnare l’offerta delle capitudini [p. 35 modifica]delle arti, e consistèvin quattro carri uno rappresentante il trionfo di Cesare per simboleggiare la generosità nel perdonare; il secondo rappresentava Pompeo per l’amore alla libertà; il terzo rappresentava Ottaviano Augusto perchè amò la pace e chiuse il tempio di Giano, finalmente il quarto rappresentava Traiano perchè osservò la giustizia. Con questi carri allegorici venivano così simboleggiate le virtù sulle quali deve essere basato un Governo.

Da questi trionfi nacque in Cosimo l’idea del palio dei Cocchi, quale fino dal 22 giugno dell’anno 1563, fu corso sulla piazza di S. Maria Novella. Furono a tale effetto costruite in detta piazza due guglie di legname onde potesse aver luogo la corsa come si costumava negli antichi giuochi olimpici; dette guglie poi nell’anno 160S, furano fatte di marmo di Serravezza sostenute da Tartarughe di bronzo eseguite da Giovan Bologna. I cocchieri che guidavano detti carri, o cocchi, vestivano una piccola giubba di seta di diversi colori, cioè Bianco, Giallo, Eosso e Celeste, con cappello con penne simili e bardatura ai cavalli all’eroica, la spesa del palio era a carico dei Capitani di parte ed asceudeva a scudi 45 e soldi 15.

Assisteva a questa corsa il granduca Cosimo presso la loggia edificata fino dal 1451, sul disegno lasciato dal Brunelleschi, ed in quell’epoca quel locale, unitamente all’attiguo convento, era destinato a spedale dei convalescenti. Il fondatore di questo spedale nel 1313, fu Clone di Lapo Pollini di cui vedesi il busto nel cortile degli Innocenti. Questa loggia come sta scritto sul tondo di terra cotta che è verso via della Scala, fù cominciata nel 1450, e terminata nel 1495; essa in occasione del palio dei cocchi veniva dalla guardaroba generale parata di velluto cremisi con sedie simili gallonate d’oro. Accanto al palco dei principi [p. 36 modifica]si alzava altro palco per le persone del seguito ed altri addetti alla Corte. All’intorno della piazza venivano inalzati altri palchi in simetria circolare in forma di anfiteatro. Sbarazzata la piazza dalle carrozze, e da una guglia ad un altra tirato un canapo, il Grranduca ordinava al maestro di camera che mandasse un Lacchè a far dare le mosse. La carriera cominciava dalla guglia presso S. Maria Novella facendo per tre volte il giro della piazza.

Corso il palio soleva il granduca Cosimo recarsi al tempio di San Giovanni; e quindi se ne tornava al palazzo. Questa festa passava per una delle migliori in Italia; quando l’anfiteatro di legname eretto sulla piazza era pieno di gente, e le finestre e le terrazze addobbate con tappeti erano tutte gremite di spettatori, il colpo d’occhio ne era bellissimo. Montaigne letterato e filosofo celebre della Francia quando vide questa corsa nel 1580, nell’occasione di un viaggio da lui intrapreso in Italia scrive «mi piacque questo spettacolo più che nessun altro che avessi visto in Italia per la sembianza del corso antico.»

Mentre aveva luogo la detta corsa i magistrati adunavansi in Palazzo Vecchio, ed i sei di mercanzia e delle arti adunavansi sotto gli Ufizi dalla parte di S. Piero Scheraggio, e ciascun magistrato con il seguito dei mazzieri Comaudatori e Donzelli recavansi pubblicamente pur essi al Tempio di S. Giovanni e vi facevano l’offerta in cera.

Nella sera del 23 veniva illuminata la cupola ed il campanile del Duomo, non che quello di Palazzo Vecchio, sul quale venivano incendiati diversi fuochi di artifizio a carico del Monte Comune che ne faceva la spesa.

In questi primi tempi del Principato i contadini e contadine non ballavano più sulla piazza come sole vasi in tempo di repubblica, ma salivano nel salone di Palazzo [p. 37 modifica]Vecchio detto dei Cinqueceuto, costruito nel 1495, col disegno del Cronaca ad istigazione del Savonarola per adunarvi il gran Consiglio cne doveva esser composto di mille cittadini; quivi in occasione di queste feste, al suono di strumenti contadineschi facevansi diversi balli e si passavano allegramente la giornata e la notte.

Questo uso dei balli fu smesso dopo qualche tempo e sostituito dal giuoco che facevasi sotto il Loggiato degli Ufìzi, ove erano diverse tavole a tale oggetto disposte e dove si vendevano vini e liquori. L’uso dei pubblici giuochi durò molti anni; ma circa il 1700, fu saviamente dismesso stante gli inconvenienti e le risse alle quali sovente davasi luogo.