Le odi di Orazio/Libro quarto/VIII

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Libro quarto
VIII

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Quinto Orazio Flacco - Odi (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1883)
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VIII.


Donerei pàtere ben di lieto animo,
    Marzio, e gradevoli bronzi a’ miei sozj,
    Donerei tripodi, premio di strenui
    4Graj, nè sarebbero tuoi doni i pessimi,

Se me arricchissero l’arti, che a splendido
    Grado levarono Scopa e Parrasio,
    Nei marmi egregio l’un, l’altro in liquidi
    8Colori a fingere or Numi or uomini.

Ma non delizie tali a me abbondano,
    Nè i tetti e l’animo tuo ne bisognano:
    Versi a te piacciono, e versi porgere
    12Io posso e il merito del dono esprimerti.

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Non marmi publici, scolpite epigrafi,
    Per cui ritornano la vita e l’animo
    A’ morti egregj duci, non celeri
    16Fughe di Annibale, non respinti impeti,

Non di Cartagine empia gl’incendj
    Per quei che reduce da la vinta Africa
    Guadagnò titolo, più che gli encomj
    20Delle Píeridi Calabre illustrano;

Nè, se il tuo merito le carte tacciono,
    Ritrarrai premio. Che fòra il figlio
    Di Marte e d’Ilia, se alla sua gloria
    24Ostasse l’invido tacer di Romolo?

Èaco rapiscono da’ flutti stigj
    Virtù, facondia, favor di strenui
    Vati, e il consacrano in beate isole.
    28[Non muor chi laude da’ vati merita]

Le Muse incelano. Così il forte Ercole
    Di Giove a’ prandj bramati accogliesi;
    Dal marin baratro così i Tindaridi,
    32Chiari astri, i laceri legni ritraggono.

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[Cinto le terapie di verdi pampini]
    I voti Libero reca a buon esito.