Le rive della Bormida nel 1794/Capitolo I

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Le rive della Bormida nel 1794 Capitolo II

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LE RIVE DELLA BORMIDA NEL 1794


CAPITOLO PRIMO

Chi si parte dalla marina del Finale, e su pel fianco dell’Appennino va verso le Langhe, si arresta trafelando ogni tratto a ripigliar lena, e a vedere quanta sarà ancora la salita, e quanto s’è scostato da quella spiaggia, diversa giù giù per foci di torrenti, per iscogliere tagliate a filo, per promontori neri, dirupati, somiglianti a mostri, che si inoltrano cimentosi nei flutti. Ma guadagnata che abbia la vetta del Settepani, sente l’affanno della via ripida e lunga, quetarsi in una vista maravigliosa. La catena dell’Alpi è di lassù un’occhiata infinita; e se vi si arriva all’apparire del sole, tutta la distesa di picchi, di coni, di aguglie, gli pare un mondo di cose vive e moventi. Si vorrebbe aver l’ali per lanciarsi su qualcuno di quei culmini, così alti nel cielo; e si abbassa di malavoglia lo sguardo, a cercare la via, giù per i gioghi avvolti ancora nell’ombra, lì sotto: dove per un lungo digradarsi di monti, si confondono villaggi, selve, burroni spaventosi; qua Montenotte, là Cosseria, castella e torri feudali per tutto; più lontana e più bella d’ogni altra quella di Vengore, che nera e solitaria si spicca su un altipiano, oltre il quale la nebulosa pianura. [p. 8 modifica]

Giù per le selve fumano le carboniere da mille siti. Le donne, colle ceste del mangiare in capo, s’affrettano verso quelle, pei dirotti sentieri; e ti guardano fantasticando sull’esser tuo: gli uomini, a mo’ di brusco saluto, ti dicono «animo,» o «allegri!» quasi lassù non potesse passare chi non è lieto o animoso. Non ti paia d’essere capitato fra gente mezza barbara; chè se tu chiederai loro qualche servigio ti saranno cortesi, e interrogati ti additteranno i ripari di pietre ferrigne, fatti dagli Alemanni, superati dai Francesi; e i tumuli erbosi sotto i quali giacciono i morti di quelle genti; gloriandosi di non averli turbati mai. Se l’ora sarà del riposo, e sederai con loro, ti narreranno leggende antiche come quella di Adelasia ed Aleramo; o forse qualche storia della sorta di questa mia, seguita in luoghi che si vedono di lassù; quando i repubblicani Francesi, calarono in Val di Bormida, a piantar alberi di libertà, e a ballare la carmagnola pei sagrati e sin nelle chiese.

Uno dei borghi di quella vallata, in cui per amenità di postura e pel genio allegro degli abitanti, facesse di quei tempi più bello stare, era quello di D...., bagnato dalle acque della Bormida, che ivi scorre con curve leggiadre, all’ombra d’alti pioppi e passa sotto le volte d’un ponte angusto, gettato sopra di esse a guisa d’un patto, stretto cautamente fra quel popolo, in età di poca concordia. Dico così perchè D.... se ne sta diviso in tre vichi; dei quali due giacciono in riva all’acque, di maniera che uno d’essi pare lì per tuffarsi; mentre il terzo li soggioga dalla vetta d’un colle ronchioso e popolato di cerri. La via onde si arriva su questo, serpeggia con repentine svolte per l’erta; e sebbene non tutta a petto, è di molta fatica a salirla. Ma come uno è sulla cima si sente rinato. Piace il sito della chiesa e il campanile che si leva più alto parecchie braccia, con una cupoletta, che miracolo se il vento non se la porta via: piacciono il presbiterio e l’orto; e invoglierebbero ogni uomo d’essere prete, per vivere lassù da curato. Alcune case che fanno corona [p. 9 modifica]alla chiesa, quantunque belle pongono anch’esse in cuore un funebre senso. Le ragnatele pendono dai balconi le cui imposte cascano sfasciate; e mentre si direbbe che questa o quella delle tante porte sia lì per aprirsi, dura sempre una quiete altissima, interrotta solo dalle ventate che empiono di suoni cupi le sale deserte. Lassù, nè la state nè il verno, mai che si vegga un comignolo a fumare, e se i nostri fossero altri tempi, a udire l’ore battute dall’orologio di quel campanile, si farebbe credere chi sa quale storia maravigliosa alla gente semplice del contado. Ma ognuno sa che il sagrestano della nuova chiesa parrocchiale, sorta da pochi anni in luogo più basso e più comodo agli abitanti del piano; sale ogni giorno il colle a caricare quel vecchio arnese; e il suo è il solo passo che rompa il silenzio dell’antica parrocchia, sempre vuota come le case che ha intorno. Non più messe grandi nè vespri cantati; non più conviti nè festini; l’ultimo dei pievani dorme da oltre mezzo secolo nel sepolcro dietro l’altare; e delle allegre donne e degli uomini buontemponi vissuti lassù, rimane appena il ricordo nella mente vagellante di qualche vecchio ottuagenario.

Questo gruppo di case per essere stato sede dei feudatari della terra si chiamava il castello; e gli abitanti venuti dopo costoro, padroni della parte più vasta e ubertosa del paese, erano tutti signori. Nei vichi a piè del colle, le famiglie agiate e le case di bell’aspetto erano poche; ma in quello della riva sinistra del torrente se ne vedeva una, notevole per la grandezza, e più alta di tutto un piano sul vicinato, quasi tutto catapecchie. Mostravano di qual sorta di gente fosse, il piazzale, l’atrio, il giardino che le fioriva da un lato; e più di tutto le finestre ampie e chiuse di vetriate, le quali sebbene fatte a riquadri strettissimi, costavano di quei tempi molto danaro.

A qualcuna di quelle finestre appariva talvolta una donna, cui si leggeva in faccia lo sconsolato pensiero di [p. 10 modifica]trovar quella casa troppo vasta per la sua poca famiglia; e i popolani della via la salutavano con rispettosa dimestichezza. Essi la chiamavano la vedova, e i ricchi la signora Maddalena. Aveva cinquant’anni, e mostrava la sessantina, sebbene i suoi capelli fossero ancora neri, e le pendessero dalle tempia due riccioloni, che nella sua giovinezza dovevano essere stati una leggiadria. Ma le guancie attenuate, alcune rughe della fronte, il pallore delle labbra, e più di tutto il portamento della persona scemata; le davano quelle apparenze che fanno pensare al sepolcro. Essa non era nata a D...... ma dall’altra vallata della Bormida, come da terra straniera, ve l’aveva condotta sposa giovanissima il padrone di quella casa; col quale erano vissuti sempre d’un animo e d’un cuore; e morendo la lasciava con un figliuolo che nel 1794 aveva venticinque anni. Questo giovane, venuto su bello e vigoroso, era stato avviato a modo negli studi di latinità da un buon prete del borgo di C..... grande amico del padre suo; e come si era scoperto in lui l’amore alla medicina, il maestro aveva fatto che la madre si era contentata di mandarlo allo studio di Torino. La povera signora, pur pregustando le benedizioni dei paesani, che non sarebbero più morti in mano ai chirurghi di quei tempi e di quei luoghi, castighi di Dio; al pensiero della lontananza che le pareva dell’altro mondo, a figurarsi la grande città in cui il figliuolo s’andava a smarrire, aveva tremato più che la madre d’un navigante che per la prima volta si metta in mare. Ma poi a poco a poco s’era quetata; e un anno dopo l’altro sempre aspettando le vacanze, sempre ricadendo nella malinconia al finire di queste: aveva finalmente veduto giungere l’ultimo anno, che egli sarebbe stato laggiù; forse per lei il più lungo. Tuttavia era lieta d’aver sofferto e di soffrire un altro po’ di mesi, perchè ogni volta che il suo figliuolo veniva in autunno, scopriva in lui i segni d’un giovane cresciuto di pregi. E così senza avvedersene aveva mescolato al suo amore grande di madre una certa [p. 11 modifica]venerazione; per cui s’abbandonava sovente ad una dolce contemplazione dell’ideale che se n’era formato: e a vederla in quei raccoglimenti, uno avrebbe creduto che stesse pregando. In casa non aveva altra compagnia che d’una fantesca, la quale non sapeva bene da quanti anni fosse al mondo, ma si rammentava d’aver portato bambino il marito di lei; e perchè aveva fatto da aia anche al figliuolo, essa non usava dire di lui nè il signorino, nè il padrone, nè altro; ma lo chiamava alla buona Giuliano, come egli chiamava lei la nonna Marta. Costei era sempre stata là dentro più da padrona che da serva, e sebbene già tanto vecchia non lasciava che altri vi si ingerisse di nulla. Essa in cucina, essa per le stanze, essa a far i bucati che governava meglio d’una biancaiuola di monastero; al tempo dei ricolti, faceva l’ufficio sin di gastaldo; e sempre le avvanzava qualche ora da godersela colla signora. Questa, di solito, stava seduta in una sala terrena ampia, sfogata, fresca d’estate, scaldata d’inverno da un gran camino, dinanzi al quale si tirava una cassapanca, che il rimanente dell’anno era lasciata nell’atrio a chi vi si volesse adagiare. Il tempo che erano insieme, la signora parlava del marito morto o del figlio lontano; e Marta raccontando cose antiche di castelli, di conti, di carnevali, si studiava di tenerla allegra; guardandola amorosa e con certa reverente dimestichezza; proprio come se fosse stata una sua figliuola, maritata per la sua bellezza e virtù alla buon’anima del padrone.

La sera della seconda festa di Pasqua, dell’anno 1794, esse stavano appunto sole, in quella sala terrena aspettando Giuliano; il quale era andato a C.... a visitarvi il suo vecchio maestro: e quella era la terza gita che egli vi faceva, in una settimana, dacchè era venuto da Torino, a far la Pasqua in famiglia. Sebbene la signora si fosse maravigliata di quella frequenza, non aveva dubitato neppure un istante che suo figlio non andasse proprio per amore del vecchio prete; e tutta la giornata era stata [p. 12 modifica]malinconica ma tranquilla. Però in sull’annottare aveva cominciato a mostrarsi inquieta. Affacciavasi ogni tantino alla finestra, aperta dalla parte di mezzogiorno, donde si scopriva la via di C.... per cui Giuliano doveva tornare; e dopo l’avemaria vedendo ch’egli non veniva, non trovava più posto ove potesse star ferma. Andava su e giù per la sala, pigliando di sul tavolino la lucerna deponendola e ripigliandola; tornava ad affacciarsi alla finestra, come avesse voluto rischiarare lontano la campagna; tendeva l’orecchio, si spazientiva, si toglieva di là sospirando e guardando Marta. Questa se ne stava colle mani in mano, badando a non mostrare quanto fosse anch’essa scontenta dell’indugio di Giuliano. Intanto l’ora in cui si soleva cenare, era passata di molto; e una grossa e vecchia gatta, levandosi di su certa stuoia su cui stava a fare le fusa, era già corsa parecchie volte a fregarsi le schiene contro gli stinchi della fantesca. A un tratto la signora non potendo più reggere, si volse, e quasi incalzando un discorso già incominciato, disse alla vecchia:

«Oh insomma, non istate a dirmi di no...! o egli è caduto da cavallo, o ebbe qualche cattivo incontro.... Chiamate Rocco, voglio mandarglielo incontro.... ditegli che venga da me.... subito....»

Marta uscì, e dopo alcuni momenti tornò a dire, che Rocco non era ancora rivenuto, da fare la merenda in campagna colla famigliuola.

«Benedetta anche la merenda! — sclamò la signora — e dunque chi manderemo?»

«Non si potrebbe aspettare un altro poco? — disse Marta — noi si sta col cuore tra due sassi, ma a chi è fuori, massime i giovani, pare sempre di far presto....»

«Pazienza gli altri tempi....! ma ora.... con questi Alemanni che sono in volta....»

«Gli Alemanni! — proruppe Marta, quasi offesa: — per essere, le so dire che gli Alemanni rispettano i signori, e a Giuliano gli farebbero buona compagnia! [p. 13 modifica]

«Dio voglia....»

«Ma certo! Eppoi, se egli vedesse uno mandato ad incontrarlo come a un fanciullo, potrebbe aversene a male....»

«Allora aspettiamo! — disse la signora, e affacciandosi di nuovo alla finestra, coi gomiti appoggiati sul davanzale, si mise a guardare nella notte. Marta sedette ancora, colle mani giunte e abbandonate sulle ginocchia, colla testa chinata sul seno, come la tengono le vecchie quando pare che dormano, e in cambio stanno pregando e forse pensando ai propri peccati. Essa non pregava, ma pensava agli Alemanni, de’ quali la signora Maddalena, mostrava d’avere tanta paura. Costoro erano venuti quell’anno parecchie migliaia di Lombardia, e avevano gli alloggiamenti in C.... a sostegno delle genti del Re di Sardegna: le quali fronteggiando i Francesi, sui monti di Nizza, s’erano la state innanzi condotte con grande valore al colle di Raus e a quello di Milleforche. I repubblicani non avevano trovato il verso di superare quei colli; ma fattisi più grossi nell’invernata s’andavano preparando a nuovi assalti: e quelle non se la sentendo di poter reggere, poche come erano; il Re aveva chiesto aiuti all’Imperatore d’Alemagna: il quale sebbene adagino s’era mostrato disposto a dargli un poco di spalla. Marta non sapeva queste cose a puntino, ma la venuta degli Alemanni le aveva recata gran gioia, perchè le pareva che fossero tornati i tempi della sua giovinezza; quando le Langhe essendo terre dell’impero, i popoli di quelle parti si tenevano per Alemanni anch’essi. Godeva poveretta ai cento ricordi che le nascevano dalla comparsa di quelle assise; le pareva d’essere in collo al padre suo, portata bambina a vedere le rassegne o il passaggio delle soldatesche Alemanne d’allora; si sentiva sulle guance grinzose passare la mano che le aveva carezzate quando erano fresche d’adolescenza, e vedeva d’innanzi a sè il soldato che le aveva fatto quel vezzo discorrendo coi suoi sulla soglia di casa; immagine lontana e già [p. 14 modifica]quasi sfumata nella sua memoria; forse anco qualche affetto rimasto in sul nascere, scuoteva nel suo cuore gli avanzi di qualche fibra; e così tra il pensiero della soldatesca imperiale antica e nuova, e quello di Giuliano che non arrivando affliggeva sua madre, la mente le ondeggiava come la fiamma della lucerna, la quale scossa lievemente dal venticello della finestra, spandeva per la sala una luce tremula e fioca, che s’addiceva in mesta maniera a quel raccoglimento ed a quel silenzio.

Fuori suonava un’allegrezza di canti, ed empievano l’aria le grida sin troppo festose delle brigate, che tornavano dalla merenda, menzionata da Marta nel parlare di Rocco. Il quale era un colono che conduceva il podere intorno alla casa della padrona; e appunto riveniva anch’egli da quella baldoria, che i popoli di quei monti escono a fare in campagna l’indomani di Pasqua. Festeggiano la primavera sui prati e nei vigneti; bevono del migliore e mangiano i resti del giorno innanzi, portati nei tovaglioli messi in bucato la settimana santa; dopo il pasto gli uomini continuano a bere, le donne a chiacchierare, i fanciulli si rincorrono, ruzzano, giuocano; e le zitelle tornano finalmente a danzare coi loro dami, dopo aver camminato ad occhi bassi tutta la quaresima, senza poter parlare con essi neppur sul sagrato.

Quei canti suonavano dunque da tutte le parti, ma la signora Maddalena, assorta come era in Giuliano, non vi badava. Questi intanto veniva o piuttosto si lasciava portare dalla sua giumenta; pensoso, raccolto, tanto che neanch’egli udiva quel chiasso festereccio; nè vedeva la via, nè forse la testa della sua cavalcatura, tra le cui orecchie pareva guardasse con occhi intenti. Parlava tra sè di quando in quando, a mezza voce; e allora la povera bestia incalzava un tratto, quasi per vedere se quelle parole toccassero alla sua andatura: poi si rimetteva tranquilla a quella che aveva mosso partendo da C. Giunta così a un certo segno, squassò forte il capo, nitrì fiutando l’aria della mangiatoia vicina; e allora soltanto [p. 15 modifica]scuotendosi, Giuliano s’accorse d’essere lontano dai luoghi, dov’era rimasto col pensiero e col cuore. La notte era fatta, il suo borgo nativo gli stava dinanzi, si discernevano le finestre illuminate fiocamente da dentro le case; e scoprendo le proprie, egli pensò che sua madre era là in pena ad aspettarlo. Si ricompose in sella, affrettò colle calcagna la giumenta, e sebbene agli altri suoi pensieri s’aggiungesse che gli pareva d’essere un cattivo figliuolo; pure provò un po’ di quel senso, che a sera rallegra soavemente il ritorno.

Era appunto in quella che la signora Maddalena, stanca d’aspettare, stava per dire a Marta, che Giuliano fosse o non fosse per aversene a male, voleva andargli incontro essa stessa; quando le pedate della bestia si fecero udire sul ciottolato del vicolo per cui si veniva nel piazzale.

«È qui!» sclamò essa, togliendosi dalla finestra tutta mutata nel viso e sorridendo; e lesta lesta attraversò la sala seguita dalla fantesca, che la raggiunse nell’atrio recando la lucerna.

Il giovane arrivò di trotto, e smontando a piè dei gradini dell’atrio disse alla signora: «non mi sgridi..... mi perdoni.... a un’altra volta tornerò più presto.....

«Ah.... te ne avvedi anche tu? Il perdono è un bel chiederlo.... ma a quest’altra volta.... vedremo....»

Giuliano non le lasciò finire l’amorevole rimprovero, ma guardandola umilmente negli occhi, le si avvicinò come per soggiungere qualcosa. Poi non trovando la parola, tenne dietro a Rocco, il quale avendolo udito arrivare, era corso mezzo brillo a pigliare la giumenta, e l’andava a riporre.

A quel fare insolito sbigottì la signora; e già chiedeva che ne pensasse a Marta, la quale s’ingegnava di riverberare colla palma i raggi della lucerna dietro Giuliano, sicchè essa rimaneva colla faccia e colla persona nell’ombra. Ma a stornarla dalla sua domanda, s’udirono alcuni tocchi lenti e lamentosi della campana di castello, [p. 16 modifica]venuti a mescolarsi, come la voce d’una terza persona, alla loro malinconia. A quel suono che segna la una di notte, il popolo di quei villaggi pensa a’ suoi morti, e in ogni casa s’interrompono i discorsi della veglia per recitare il deprofundis. La signora Maddalena, si segnò, e si mise a dire il salmo sublime, che ad ogni verso, ci soffia sull’anima l’aria fredda dell’abisso; e recando come un grido dell’altro mondo, ci fa levare gli occhi al cielo, in cerca d’un po’ di luce, d’un po’ di vita, di qualche novella dei sepolti quaggiù. Marta non sapendo le parole del salmo, che mai non aveva potuto mandare a memoria, teneva dietro coll’intenzione, a lei, guardandola nelle labbra, o picchiandosi il petto; e quando la signora mostrò d’avere finito segnandosi la seconda volta, essa disse: amen. Proprio in quel punto ricomparve Giuliano.

«Qualche cosa da dirmi l’avrà di certo» — bisbigliò la signora, e dall’atrio entrò nella sala, seguita da lui e da Marta; la quale sussurrò nell’orecchio al giovane, che per amore di sua madre, facesse viso allegro. Poi andò in cucina per dare in tavola, lasciando che essi passassero nella stanza di là dalla sala, in cui la famiglia soleva mangiare.

La signora non si era mai seduta là dentro, senza pensare al suocero ed a madonna, che essa non aveva conosciuti. E quando viveva il marito, aveva pigliato sempre un mesto diletto a farsi dire cenando la loro storia; storia che ripeteva sovente al figliuolo. Ma quella sera non pensò ai morti; e mentre Giuliano messosi a sedere, come fosse molto stanco, guardava i canestri di frutta dipinti nelle pareti, con quell’occhio che fissa e non vede: essa stendeva la tovaglia, metteva le posate e i tovaglioli, volendo e non trovando il verso d’appiccare discorso con lui, senza dargli a vedere l’ansietà che non le era cessata ancora. Al fine le venne alla mente il nome del buon prete di C......, e voltasi a Giuliano con quella dolcezza che sempre usava, sedette anch’essa e gli disse: [p. 17 modifica]

«Oh appunto! e che nuove mi porti di don Marco?

«Don Marco? Lo vidi da lungi e di fuga.... e mi parve triste....»

«Come da lungi e di fuga? O non hai detto stamattina che andavi a C.... proprio per veder lui?»

«Andai.... ma.... dopo il vespro egli era fuori pei monti, ad assistere non so che moribondo....»

«Egli pei monti? Ma il parroco, i curati, gli altri preti giovani...... come fanno a lasciar che vada quel povero vecchio?»

«Oh....! essi avevano altro a fare! Oggi c’era gran pranzo dal parroco: un pranzo di preti, di frati, di soldati, di signori e signore....! mezzo il borgo faceva le feste a quegli uggiosi Alamanni che sono colà!....»

La signora diede attorno un’occhiata, quasi temesse che qualcuno fosse stato a udire lo parole di Giuliano, poi mutò come potè il discorso, e proseguì: «hai detto che è triste nevvero? povero don Marco, capisco.... noi vecchi ci sentiamo fuggire il mondo....»

«Eh!.... a vedersi tra piedi quella turba di soldati, a sentire quello strascichio di sciabole, anco a non essere vecchi c’è da diventar tristi e far peggio....! Se gli Alemanni fossero a D.... non ci starei più un’ora....!

«Giuliano! — sclamò la signora, levandosi ritta — dimmelo, che tanto l’ho già indovinato....! Tu hai questionato con qualcuno di quei soldati! Oh.... no? Me lo accerti? Voleva vedere! Pensa che qui, essi hanno in mano tutto e tutti...; credi in cuor tuo quel che ti pare, ma bada a non darmi dispiaceri, chè se non te l’ho mai detto te lo dico ora: non sono più quella d’una volta e non potrei più sopportarli....!»

Giuliano sentì dar giù improvviso quel bollore che gli si era levato in petto, e guardando fisso sua madre, come se soltanto allora s’avvedesse che la salute le veniva scemando, provò uno sgomento sì forte che rispose pronto e pacato:

«Dispiaceri da me non ne avrà mai; ma questi [p. 18 modifica]Alemanni venuti quassù a proteggerci e a spogliarci..... gli odio.... gli aborro, vorrei vederli tutti morti.»

La signora tacque: e Marta che essendo entrata a mettere qualcosa in sulla mensa, aveva udito le ultime parole del signorino, si morse la lingua e tornò in cucina sbalordita, come vi fosse rotolata giù da un burrone, o quelle eresie fossero state ceffoni avuti in faccia. Odiare gli Alemanni, odiarli a segno da desiderarli tutti morti, non le pareva cosa che si potesse dire da un giovine dabbene, come era sempre stato Giuliano. Capì il gran mutamento che doveva essere avvenuto in lui nello stare lungi da casa; rammentò che questo mutamento, il pievano l’aveva predetto sin dal primo giorno che egli era andato a Torino; vide confusamente il male che ne poteva seguire, e una profonda malinconia mista a certo sdegno pesò sul suo vecchio cuore. Avesse visto entrare in casa la farfalla più scura del mondo; si fosse versata e rotta l’oliera; o la gallina a lei più cara avesse cantato da gallo in sul bel punto della mezza notte: essa non se lo sarebbe recato in malaugurio, quanto quelle amare parole, che biascicò due o tre volte, pesandole colla mente e chiudendo gli occhi, come se più non osasse guardare la luce.

Intanto i padroni mangiucchiando avevano mutati i discorsi; e sebbene il giovane di tanto in tanto lasciasse cadere le domande della madre, essa dalla tema di fargli saltare in capo d’andar fuori di nuovo, taceva in pazienza. Per sapere se qualcosa gli fosse avvenuto cogli Alemanni, disegnava di mandare l’indomani qualcuno a C.... con un biglietto per don Marco: ma pel momento, avendo in casa il figliuolo non temeva di nulla, e finì di cenare, senza essersi raccappezzata in quella tristezza e in quel viso scuro.

Marta chiamata a sparecchiare, venne dalla cucina imbroncita: e accesi due lumi da mano, uno ne porse alla padrona ed uno al giovane, ma non disse nulla. Egli salutata rispettosamente la madre, e data la buona notte [p. 19 modifica]alla vecchia, salì nella sua camera, al più alto piano della casa, proprio sopra quella della signora, alla quale non era mai parso di poter dormire tranquilla, se la notte egli non era in luogo da poterlo udire, solo che si movesse.

Rimasta sola colla signora, Marta volle sfogarsi, e giungendo le mani proruppe:

«Eh? L’ha inteso? E chi lo conosce più? Io da parecchi giorni vado in castello che mi pare di salire sul calvario.... e le occhiate del pievano comincio a capirle...»

«Che pievano.... che occhiate?»

«Certe occhiate bieche, come se volesse dirmi che io gli nascondo un peccato mortale....!»

«Oh smettetela un poco anche voi! — interruppe la signora Maddalena, con un impeto di collera non più provato da chi sa quanti anni: — questa sera n’ho già di troppo.... andate a letto....!»

Marta umiliata da quel tono insolito di parole, s’avviò alla porta che dava nell’atrio, per chiuderla come l’altre sere.

«Lasciate! — proseguì la signora — questa sera chiuderò io.... no no.... andate vi dico, Marta.... vorreste cominciare ora a disobbedirmi?

La vecchia chinò il capo, diede la buona notte con voce tremante, e andò a chiudersi nella sua cameretta terrena, in cui dormiva da sessant’anni. La signora pur sentendosi pentita del rabbuffo fattole, non istette a rattenerla per consolarla, come già il cuore le comandava. Ma, chiusa la porta con ogni diligenza, recò le chiavi con sè, salì nella sua camera anch’essa, le nascose sotto il guanciale; poi si chinò sull’inginocchiatoio, a canto al letto, e mescolando i suoi morti, i santi e Giuliano, cominciò a pregare.

In capo a un’ora volle coricarsi; ma non lo fece, perchè disopra s’udiva uno scarpiccio, come d’uomo che gira inquieto; ed era Giuliano, il quale aveva sentito rinascere i propri pensieri, a martellarlo urgenti ed acuti. [p. 20 modifica]Egli s’era messo parecchie volte a spogliarsi, ma sempre aveva finito per affacciarsi alla finestra, dove rimaneva un istante, poi andava passo passo fino all’uscio, dava di volta, tornava a sedere: parlava, sospirava, rifaceva tutte queste mosse, confusamente, combattuto, coi lineamenti della faccia che si facevano affilati, come lo crucciasse qualche fiera passione. Questo suo travaglio pareva crescere a smania; quando, chi sa come, gli tornarono alla mente i giorni della sua fanciullezza, e l’uso che allora aveva sua madre di non mai coricarsi, senza prima essergli venuta in camera, a dare un’occhiata alla finestra se fosse ben chiusa, a vedere se avesse acqua nella boccia, o se il lume fosse in luogo da non dar fuoco. Provò di quel ricordo una dolcezza, un aiuto; e si pregò che la madre venisse di sopra anche quella sera, perchè lì avrebbe avuto cuore da dirle una cosa, che solo a pensarla, il sangue gli faceva dentro un gran cavallone. A un tratto parve aver afferrato un’idea; stette un momento, si levò risoluto; e camminando diritto discese al piano di sotto, e picchiò all’uscio di sua madre.

La signora Maddalena, che non aveva voluto coricarsi finchè non fosse cessato quel rumore di sopra; udendolo discendere si rimescolò tutta, e si lodò d’aver portato seco le chiavi di casa. Ma inteso che veniva da lei, corse all’uscio, e mentre ch’egli picchiò, essa, già pronta, aperse, e dolcemente gli disse:

«Lo sapeva che tu avevi qualcosa da dirmi.... vieni» E tirandolo per la mano, s’andò a sedere su d’un seggiolone d’antica fattura; perchè sebbene facesse le viste d’essere tranquilla, non si sentiva di stare in piedi dal tremore; poi guardandolo amorosa soggiunse: ebbene?

«Ecco, — rispose Giuliano — io non poteva più reggere, e sono venuto a dirle.... che.... si ricorda? l’autunno passato la nostra casa le pareva troppo solitaria, e mi disse che le tardava mille anni che io fossi medico, perchè qui sola ci moriva di malinconia. Allora non osai... ma ora.... ora vorrei.... [p. 21 modifica]

«Sposarti? — sclamò la signora Maddalena balzando in piedi dall’allegrezza, come a mensa aveva fatto dalla paura: — e spòsati, e sia benedetta la nuora che mi condurrai in casa....! Ma perchè mi hai tenuta tutta questa sera sulle spine? Ci voleva tanto a darmi questa bella nuova? Siedi, che ora non voglio vederti perdere la bella sicurezza di poco fa, per questo rimprovero; siedi e parliamo di lei. Già ho bell’e capito, essa è di C.... come si chiama?»

«Bianca dei N.... — rispose Giuliano colle vampe al viso.

«Oh? Dei N.... ce n’è una famiglia sola, credo... Sua madre dev’esser morta, e si chiamava la signora Costanza nevvero? Hai fatto bene a innamorarti d’un’orfana! E la conosco sai; sta un po’ a sentire: la vidi una volta, al convento dei Minori Osservanti di C....: mi ci aveva condotto tuo padre alla sagra della Madonna degli Angeli... miracolo, perchè le sagre egli non le poteva udire manco a menzionare! ebbene..... Bianca deve essere una di quelle due fanciulline che la signora Costanza si menava per mano, sotto i pergolati del convento: parevano due perle.... una era bionda, l’altra bruna....: ricordo che vedendole io dissi che la festa della Madonna degli Angeli era fatta per esse.... e tuo padre a ridere.... a ridere di sentimento.... e a chiamarmi invidiosa.... E qual è delle due?»

«La bruna.

«Ah! già perchè l’altra deve avere pochi anni....! La bruna! — Ripetendo questa parola la signora rimase cogli occhi fissi, forse pensando ai tempi in cui anch’essa era piaciuta al giovane forestiero, che poi le era diventato marito: — E sta bene, — continuò poi, — ma come non mi hai detto nulla, mai nulla? Te ne sei forse innamorato quest’oggi?

«Che so io? — rispose Giuliano, stato sino a quel punto come un barbero alle mosse: — gli anni che stetti a C.... l’ho veduta venir su sotto i miei occhi. La vedeva [p. 22 modifica]dal terrazzino di don Marco ogni giorno; la seguiva in ogni luogo dov’essa andasse a passeggiare, in chiesa badava sempre a trovare un posticcino da poterla guardare, e mi sentiva addosso un’allegrezza!.... altro che i canti della gente e dei preti!.... mi pareva che io avrei cantato colla voce d’un angelo! In tutto era diventato il primo tra miei compagni; allo studio, al giuoco, niuno se la sentiva più di vincermi: i pericoli io li cercava come fossero spassi: e mi ricordo d’una volta che ardeva una casa, e che io mi cacciai su fin sopra i tetti, e mi spiacque che non vi fosse una vecchia, un bimbo, Bianca stessa da salvare. Un’altra mi arrampicai su d’un pioppo, che aveva le cime curve sopra il torrente in piena, per vedere gli uccelletti di un nido, che era lassù. Le ventate mi dondolavano, e a mirare di sotto l’acqua furiosa, e lontano in faccia il balcone di Bianca, mi credeva d’essere in paradiso. Oh! quegli uccelletti come li baciai! Era diventato buono, così buono che non poteva udire i poveri pregare alla porta, e correva a portar loro il mio desinare. Don Marco diceva che ve n’erano troppi dei poveri.... e che i ricchi erano pochi e crudeli... Suvvia, io gridai una volta, facciamoci tutti poveri e così andrà meglio....! i miei compagni non capivano nulla.... e risero.... E la notte? La notte, se pioveva o tirava vento, io mi sentiva in cuore una pietà che non mi lasciava dormire, e mi doleva sin delle impannate, del cesto di basilico, delle pietre della via che pigliavano il freddo. Una vecchia, poi, ricordo una vecchia che aveva tre capre, la sua ricchezza; i compagni la canzonavano, io mi posi in capo di farla rispettare, e qualcuno le toccò sode! Poi vennero le malinconie; e talvolta tenni a mente dugento versi di Virgilio, solo a leggerli due volte, tal altra stetti settimane senza aprire un libro. Allora passava delle ore e delle ore coricato colla guancia sull’erba, in qualche campo solitario; e là mi pareva di udire quello che si faceva sotterra dai morti.... pensava sempre alla morte, e non so perchè, [p. 23 modifica]ma in quei giorni, incontrando Bianca, se qualcuno dei miei amici diceva che essa era bella, io avrei voluto morire. Mi pativa il cuore che l’aria me la guardasse. Eppure quelle malinconie erano nulla; le vere vennero di poi, quando andai a Torino la prima volta.... Allora sentii uno sgomento....! e mi parve che mi avessero fatto nel petto un buco tenebroso profondo, e che per uscire da quella pena bisognasse....»

Qui Giuliano s’avvide di parlare a sua madre, e di parlarle come ad un amico nelle mutue confidenze di amore. Arrossì, chinò il capo, e non osò più dire. La signora Maddalena stava ad ascoltare, come colui che camminando in sul far dell’alba, se ode il canto di un usignuolo, s’arresta e teme di sturbarlo che voli via. Ma intanto le entrava nell’anima un dolore, il dolore di avere scoperto che il suo figliuolo non era più tutto suo; e pensando a quella fanciulla che le rapiva tanta parte del cuore di lui, alfine si fece forza e gli chiese:

«E Bianca?»

«Io non le ho mai parlato: — bisbigliò Giuliano.

«E allora? E a C.... che cosa vi andavi a fare?

«A vederla.

«Via...., domani sarà di giorno: ora ho bisogno di raccogliermi.... tu frattanto m’hai tolto un gran masso dal cuore! Con quegli Alemanni m’avevi spaventata.... che t’han fatto, che c’entrano....? Basta! sono tranquilla, vattene, domani mattina riparleremo.»

Così dicendo lo accompagnò fuori dell’uscio, ed egli risalendo alla sua camera, dalla contentezza non toccava i gradini coi piedi. Là si mise a guardare il cielo dalla finestra; il cielo che in quell’ora, coi suoi splendori infiniti, gli pareva cosa meno lieta di quel che la terra stava per divenire nelle sue nozze vicine.

Ma chinando gli occhi, vide nel giardino scuro, un tratto riquadro del suolo, su cui, traverso la finestra di sua madre, posavano i raggi del lume che essa teneva acceso. Quel tratto di suolo, lo percosse come [p. 24 modifica]la vista d’un sepolcro scoperchiato; e sabito gli passò per la mente, fantasia maluriosa, l’ultima notte, in cui, la sua dolce madre sarebbe giaciuta morta sul proprio letto; e il lume funereo avrebbe posato i suoi raggi in quella maniera lugubre, da quell’istessa finestra, forse su quell’istesso tratto di suolo. Provò l’amaro desiderio di morire prima di quella notte, e chiuse le imposte pensando che grande miseria sarebbe stata quel giorno, in cui nè in casa nè fuori avrebbe più incontrato sua madre.

«Che la vita sia corta è un bene: — mormorò allora avvicinandosi ad uno scaffale — e guai a noi se uno potesse farci dono dell’immortalità qui in terra, nel momento che ci muore la madre!.... Sì, che la vita sia corta è un bene, e chi se ne lagna ha torto; perchè coll’amore, collo studio, col lavoro, si può farla valere secoli.» Così dicendo prese un grosso volume, l’aperse sul tavolino, sedette, e raccolte le tempia fra le mani, si sprofondò nella lettura, o forse in chi sa quali pensieri.

Ad ogni modo, chiunque l’avesse visto in quell’ora, avrebbe pensato che tanta meditazione, non fosse cosa da potersi rompere, senza togliere all’anima del giovine qualche ineffabile ed austera consolazione.