Le stragi della China/18. Le confessioni di Sum

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18. Le confessioni di Sum

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17. La caccia al mandarino 19. La prigione nera

18.

Le confessioni di Sum


Il timore di venire raggiunti dal mandarino metteva le ali ai piedi dei portatori e dei loro compagni. Per far sperdere le loro tracce, il capo della Croce gialla fece loro correre parecchie viuzze tortuose fino a che raggiunse il tempio di Tien-tan, ossia del Cielo, una delle più grandiose costruzioni di Pechino, che ha una circonferenza di due miglia, con muraglie di marmo bianco, terrazzi superbi, cupole mostruose, tutte di porcellana leggermente azzurra, viali lastricati in marmo, e che, fra le meraviglie che contiene, vanta tre coppe preziosissime scavate in turchesi di grandezza mai più veduta.

Vedendo che i dintorni del tempio erano ancora deserti, il capo proseguì la corsa fino ai bastioni occidentali, gettandosi in mezzo ai quartieri distrutti dall’incendio e dalle granate.

Nel momento in cui il primo raggio di sole faceva scintillare le cupole della capitale e che le artiglierie ricominciavano a tuonare in direzione dell’ambasciata britannica, non ancora caduta, malgrado gli sforzi dei ribelli, il drappello giungeva alla casa abbandonata.

— Ed ora faremo parlare quel furfante di Sum — disse il signor Muscardo, facendolo deporre in una stanza pianterrena. — Sapremo qualche cosa su padre Giorgio.

— E se si ostinasse a tacere? — chiese Enrico.

— Lo affideremo ai nostri cinesi e vedrai che lo costringeranno a chiacchierare. Sono maestri in fatto di torture.

Sum, che poco prima sembrava tranquillo, anzi beffardo, quando si vide in quella casa, che non conosceva, in piena balìa dei suoi nemici, aveva cominciato a dare segni di inquietudine. Forse il birbaccione aveva contato sul pronto ritorno del mandarino assieme ai banditi, e vedendosi oramai perduto, si sentiva mancare l’audacia.

— Levategli il bavaglio — disse il signor Muscardo.

Quando il prigioniero poté parlare, si volse verso l’ex bersagliere, dicendogli, con voce ansiosa:

— Non uccidetemi perché se lo fate, Ping-Ciao mi vendicherà.

— Il tuo amico è troppo lontano, furfante, per vendicarti — rispose il signor Muscardo. — È inutile che tu ricorra a delle minacce che non fanno alcun effetto su di noi.

— Ping-Ciao è potente.

— In questo momento noi siamo più potenti di lui.

— Può disporre di migliaia di boxers.

— I tuoi boxers hanno ben altro da fare che di occuparsi di te e del tuo amico. Basta ad ogni modo con le ciarle, e rispondi invece alle mie domande.

— Io non risponderò a nessuno.

— E noi, bel capitano della guardia imperiale, ti leveremo la pelle pezzo a pezzo meglio dei carnefici dei boxers.

Udendo quelle parole, Sum non poté frenare un fremito.

— Pare che il coraggio cominci a mancarti — disse il signor Muscardo, che se ne era accorto. — Buon segno.

— Io non ho paura di morire.

— Ti spaventa però la tortura.

Sum non rispose.

Il signor Muscardo si sedette vicino al prigioniero, mentre i cinesi si sdraiavano intorno alla sala.

— Dove si trova padre Giorgio? — gli chiese, con un’emozione che non riusciva a frenare. — Cosa ne avete fatto di mio fratello?

— È ancora vivo — rispose Sum.

— Cerchi d’ingannarmi?

— Sarebbe inutile il farlo dal momento che sono nelle vostre mani.

— Ti sei deciso a confessare tutto?

— Sì, a condizione che mi lasciate la vita e che mi rendiate più tardi la libertà — rispose Sum.

— Mio fratello non è stato sottoposto alla tortura?

— Non era necessaria perché vostro fratello ci aveva ormai detto dove si trova Wang.

— E l’avete trovato?

— No: la casa che ci aveva indicata è stata distrutta dall’incendio.

— Non credevo che mio fratello fosse così fortunato, né così abile — mormorò il signor Muscardo. — Sicché Wang? — riprese ad alta voce.

— Non fu possibile trovarlo.

— E mio fratello?

— Fu cacciato intanto in un sotterraneo della casa, solidamente incatenato.

— Cosa ne farà di lui Ping-Ciao?

Sum lo guardò senza rispondere.

— Parla, dimmi tutto — disse il signor Muscardo. — Se esiti ti strapperemo le parole coi tormenti.

— Non avrà cibo finché non si troverà Wang — rispose Sum.

— Sicché quel disgraziato è già alle prese con la fame?

— Da ventiquattro ore.

— Miserabile! — gridò il signor Muscardo, alzando il pugno sul manciù. — L’avete condannato alla più terribile morte.

— Non sono stato io.

— Tu sei l’anima dannata di Ping-Ciao e l’hai consigliato.

— Ve lo giuro su Confucio.

— Amici — disse il signor Muscardo, balzando in piedi, pallido e trasfigurato. — Mio fratello muore di fame. Bisogna salvarlo a qualunque costo, dovessi perdere la vita.

— Calmatevi — disse il capo della Croce gialla, che fino allora non aveva detto una parola. — Non si muore così presto di fame, quindi non precipitiamo le cose. Comprendo il vostro dolore e le vostre angosce, però voi non dovete fare nessun tentativo disperato. Perdereste la vita voi, e anche vostro fratello.

— E poi avete un figlio — aggiunse Sheng.

— Io sono pronto a sfidare qualunque pericolo pur di salvare mio zio — disse il giovane, con voce rotta dai singhiozzi. — Noi non dobbiamo rimanere inoperosi mentre lui si dibatte fra gli strazi della fame.

— Io mi sono assunto l’incarico di aiutarvi nella difficile impresa, lasciate quindi a me ogni responsabilità — disse il capo della Croce gialla. — Vi prometto di rendervi il missionario.

— In quale modo? — chiese il signor Muscardo.

— Lasciatemi interrogare Sum. Quando si apriranno le porte della città tartara?

— Domani un po’ prima del tramonto — disse il manciù. — Il principe Tuan, che si è fatto nominare imperatore, dopo aver fatto imprigionare l’imperatrice reggente e suo figlio, deve ricevere i capi boxers onde concertarsi sulle misure da prendere per la difesa della capitale. Sembra che le truppe straniere siano già sulla via di Tien-tsin e che abbiano sconfitto gli imperiali.

— Quanti sono i capi?

— Cento.

— Potremo noi entrare assieme a loro, con un tuo ordine?

— In quale qualità?

— Di rappresentanti di ribelli delle provincie meridionali.

— Mi volete compromettere?

— O accetti di servirci o ti uccidiamo: scegli!

— Vi obbedirò, però...

— Cosa vuoi dire?

— Voi non avete pensato a Ping-Ciao. Non vedendomi ritornare mi crederà morto e si vendicherà del missionario, affrettandogli la morte. Egli deve aver riconosciuto questi due europei.

— C’incaricheremo noi d’avvertirlo che tu sei nelle nostre mani e aggiungeremo che la tua testa risponderà della vita del missionario.

— E se questo ultimo tentativo fallisse? — chiese il signor Muscardo, impallidendo. — Se noi non potessimo entrare nella città tartara?

— Da trenta ore due nostri corrieri sono partiti per Dolon-Noor con l’incarico di ricondurre immediatamente il figlio del mandarino.

— Non sarà qui prima di tre giorni.

— Questo è vero.

— Potrà resistere mio fratello?

— Lo spero.

— Se dovessimo giungere troppo tardi, giuro che Ping-Ciao non vedrà più mai la luce! — gridò l’ex bersagliere al colmo dell’esasperazione.

— Ed io ti aiuterò, padre — disse Enrico. — Se mio zio perdonerà al suo assassino, noi non lo faremo.

— Domani trovatevi alla torre, prima che il sole tramonti — disse il capo della Croce gialla.

Da una tasca interna della sua giubba levò un cartoncino di carta di seta, fece slegare Sum e porgendogli un pennello tinto d’inchiostro di china, gli disse:

— Scrivi l’ordine di lasciar passare i rappresentanti degli insorti delle provincie meridionali e metti sotto il tuo timbro.

Il manciù comprese che la sua vita era in pericolo se si rifiutava e non si fece ripetere il comando.

— Voi mi rovinerete — disse porgendo l’ordine al capo.

— E salvi la vita — gli rispose il gigante.

— E quando potrò avere la libertà? — chiese.

— L’avrai dopo che avremo salvato il missionario.

— Ed intanto?

— Rimarrai sotto la guardia di due uomini, ai quali daremo ordine di ucciderti al primo tentativo di fuga. Se vuoi quindi vivere, non muoverti.

Lo fece legare nuovamente e trasportare in una saletta vicina, dove già i due cinesi armati si erano messi in sentinella.

— A domani, prima del tramonto — disse il capo, stringendo la mano al signor Muscardo. — Fatevi coraggio e non dimenticate che la Croce gialla protegge vostro fratello.

Così detto uscì, seguìto da quattro affigliati, mentre l’ex bersagliere ed Enrico soffocavano un singhiozzo.

Il capo, attraversato il giardino, invece di prendere la via dei bastioni che doveva condurlo alla torre, discese verso l’estremità del Canale Imperiale, il quale termina presso le mura orientali di Pechino, e si fermò dinanzi ad una grossa barca che si era ancorata presso l’argine.

Guardò prima a destra ed a manca per vedere se nessuno lo osservava; poi saltò dentro, mentre i suoi compagni si sdraiavano sull’argine, fingendo di dormire e in realtà per vegliare.

Un cinese, che si trovava nascosto sotto una vela calata sul ponte, si era alzato, muovendo incontro al capo della Croce gialla.

— Hai fatto, Yen? — gli chiese il gigante.

— I miei uomini hanno sorvegliato tutte le porte della città tartara.

— È rientrato Ping-Ciao?

— Mezz’ora fa.

— Solo?

— No, accompagnato da alcuni banditi bene armati. Se non ci fossero stati costoro, i miei uomini l’avrebbero catturato.

— Tu hai delle brave persone?

— Sono leste di gambe e anche di mano all’occorrenza — disse il padrone della giunca.

— Che Ping-Ciao, dopo la sua fuga dalla villa, si sia rifugiato in qualche casa dei dintorni?

— Io ritengo invece che sia subito corso a cercare aiuto presso qualche capo boxer.

— Non ha fatto più ritorno alla villa per cercare Sum?

— Non abbiamo potuto saperlo; suppongo tuttavia che non abbia osato andare in cerca del manciù.

— Bisogna fargli sapere che Sum si trova nelle mani del fratello del missionario.

— Abbiamo il mezzo per avvertirlo. Fra poco verrà qui il servo d’un banchiere che ha libero ingresso nella città tartara.

— È un uomo fidato?

— Un fervente cristiano.

— Dammi della carta ed un pennello.

Il padrone condusse il capo della Croce gialla in una cabina e gli porse gli oggetti chiesti.

Il gigante tracciò alcuni segni molto visibili, avendo i cinesi l’abitudine di scrivere lettere molto grandi, poi porse il foglio al padrone della giunca, dicendogli:

— Lo farai pervenire a Ping-Ciao. Lo avverto che la testa di Sum risponderà della vita del missionario.

— Lo manderò a destinazione.

— Ora tu devi provvedermi per domani dodici costumi di cinesi delle provincie meridionali.

— Cosa vuoi farne?

— Ci recheremo nella città tartara assieme coi capi boxers.

— Volete sorprendere ancora Ping-Ciao?

— Sì, e questa volta sarà ben bravo se sfuggirà all’agguato.

— Un’impresa assai pericolosa — disse il padrone della giunca. — La città tartara pullula di soldati ed il mandarino ha un gran numero di amici potenti.

— Agiremo con prudenza.

— Desideri altro?

— Sì, acquisterai sei cavalli, i migliori che troverai e li farai condurre alla porta d’oriente della città cinese.

— A chi serviranno?

— Agli europei ed alle loro guide. Li farai nascondere nella capanna di Sum.

— Tutto sarà pronto, capo.

— E di Wang nessuna nuova?

— I corrieri non potranno essere qui prima di tre giorni.

— Manderai incontro a loro due altri affigliati con l’ordine di dire a Wang di non perdere un solo minuto, se vuole giungere in tempo a veder vivo il missionario che lo ha fatto cristiano.

— Fra due ore partiranno.

— E l’ambasciata inglese, resiste ancora? — chiese il capo della Croce gialla.

— È agli estremi e non potrà continuare che per qualche settimana ancora.

— Quanti uomini abbiamo fra i boxers?

— Duecento.

— Tutti intorno all’ambasciata?

— Sì e faranno il possibile, all’ultimo momento, per salvare quanti europei potranno. Temo però che non vi riescano.

— Pur troppo — mormorò il gigante, con un sospiro. — Anche noi siamo impotenti a sottrarli alla strage. A domani e che tutto sia pronto.

Ciò detto il capo della Croce gialla risalì l’argine e s’inoltrò fra le case di una viuzza, seguìto dagli affigliati.