Le stragi delle Filippine/Capitolo XIV - La caccia ai fuggiaschi

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Capitolo XIV - La caccia ai fuggiaschi

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Capitolo XIV - La caccia ai fuggiaschi
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Capitolo XIV


LA CACCIA AI FUGGIASCHI


La disfatta degl'insorti era stata completa. Le bande si erano sciolte come la neve sotto gli ardenti raggi del sole equatoriale, fuggendo a precipizio in tutte le direzioni, piú non obbedendo alla voce dei capi.

Prese da un panico immenso, avevano attraversata la città come una marea, tutto abbattendo sul loro passaggio, abbandonando nelle mani dei vincitori i viveri, le munizioni, le tende, i cavalli, le donne ed i fanciulli, e si erano disperse in un numero infinito di drappelli, salvandosi fra le foreste, fra le piantagioni, sui monti, senza alcuna meta.

In mezzo a quel trambusto orribile era stato impossibile riorganizzarle, per condurle in salvo o verso S. Nicola che si sapeva ancora occupato da numerose bande di ribelli, o verso Cavite che resisteva sempre al bombardamento della squadra spagnuola. I capi che avevano cercato di radunarle attorno a loro si erano trovati senza un solo uomo, ed erano stati costretti a salvarsi per non cadere nelle mani dei vincitori.

Solo Hang-Tu, piú fortunato, aveva potuto raggranellare due dozzine d'uomini coi quali operava una precipitosa ritirata verso San Nicola, per condurre in salvo Romero e Than-Kiú.

Attraversata Salitran, già abbandonata dalle bande, si era affrettato a gettarsi in mezzo ai boschi per sottrarsi all'inseguimento di alcuni drappelli di cavalleria spagnuola, i quali si erano scagliati dietro alle bande fuggenti.

Verso Salitran si udivano ancora alcune scariche, ma che diventavano sempre piú rade. Echeggiavano invece altissime le urla delle donne, che non avevano avuto tempo di seguire i loro fratelli od i loro mariti nella disastrosa ritirata.

Hang-Tu e Romero tacevano; entrambi erano tristi, oppressi da quella sconfitta che poteva avere incalcolabili conseguenze sulla causa dell'insurrezione, già molto compromessa dopo la caduta di Dasmarinas, ed ora ancor piú, poiché il generale Lachambre poteva mettere gran parte delle sue truppe a disposizione del generale Polavieja, operante contro Cavite.

Potevano bensí organizzare una resistenza in S. Nicola, ma le rive del fiume Zapatè erano ormai perdute fino a Pamplona, e Cavite rimaneva scoperta, assalita dalla parte di terra e di mare.

Tristi giorni si preparavano per gli autonomisti ed il vessillo inalberato fra tante speranze, minacciava di venire abbassato ben presto sotto gli assalti incessanti degli spagnuoli.

Mentre i due capi erano immersi in quei dolorosi pensieri, la piccola colonna continuava la ritirata attraverso le foreste, aizzando sempre piú i cavalli, temendo giustamente che gli spagnuoli avessero spinto molto innanzi le loro avanguardie per impedire la fuga alle bande.

La foresta era silenziosa, ma quella tranquillità non li rassicurava e perciò si affrettavano, tenendosi in guardia e pronti ad ogni evento.

Già le tenebre erano calate ed i cavalli cominciavano a dar segno di stanchezza, quando udirono dall'opposta parte della foresta in direzione della Vallata dello Zapatè, alcuni squilli di tromba che dovevano indicare piú la presenza dei nemici che delle bande fuggenti.

— Ancora il nemico?... — chiese Hang-Tu, con feroce accento, impugnando il fucile. — Non sono adunque contenti della disfatta inflittaci a Salitran?...

Aveva dato ordine ai suoi uomini di arretrarsi e si era messo in ascolto.

Non era piú possibile ingannarsi. Verso la Vallata dello Zapatè, si udiva una fanfara che suonava la carica e quelle trombe, ormai ben conosciute, appartenevano a cavalleggeri spagnuoli.

— Che inseguano una delle nostre bande?... chiese il chinese, aggrottando la fronte. — Mi ricordo d'averne vedute alcune disperdersi in direzione dello Zapatè.

— È probabile, — rispose Romero.

— Eppure abbiamo galoppato per bene e dobbiamo essere già lontani da Salitran.

— Purché questa foresta non ci abbia ingannati. Tu sai, Hang, che è facile smarrirsi.

— O che gli spagnuoli abbiano spinto molto innanzi le loro avanguardie?... Non ho veduto nessuno squadrone di cavalleggeri muovere all'assalto di Salitran e so che il generale Lachambre ne aveva.

— Sí, — rispose Romero, con voce sorda. — I cavalleggeri del maggiore d'Alcazar.

— Che siano i suoi uomini?... Dio ci guardi, poiché se il maggiore sapesse che noi siamo qui, non ci darebbe tregua, malgrado il tuo affetto per sua figlia.

— Cercheremo di non incontrarlo.

— Però desidererei quasi il contrario. Ho il mio vecchio conto da saldare con lui, — disse Hang, con un sinistro sorriso.

— Io l'ho pagato.

— Ma non io.

— Ti ha salvato, mentre poteva perderti.

— Hang-Tu non perdona.

— Taci: ripartiamo, — disse Romero.

Le trombe non si udivano piú, ma dalla parte della vallata si udivano ad intervalli dei lontani fragori che parevano prodotti dal galoppo furioso di parecchi cavalli.

Il drappello si era rimesso in marcia, ma procedeva al passo ed in silenzio, per non farsi scoprire.

Tre uomini si erano messi all'avanguardia per trovare i passaggi, essendo l'oscurità assai fitta, tanto da non permettere di distinguere gli ostacoli che ingombravano il suolo della foresta, ed altri otto alla retroguardia. Gli altri invece si erano raggruppati attorno ai due capi ed a Than-Kiú, per coprirli contro un improvviso attacco.

Avevano già percorso un mezzo chilometro, girando e rigirando intorno ai macchioni d'alberi, quando i tre uomini dell'avanguardia furono veduti retrocedere vivamente.

— Che cosa c'è... — chiesero Hang-Tu e Romero. – Gli spagnuoli forse?...

— Abbiamo udito il nitrito d'un cavallo, — rispose uno di loro.

— Dove?...

— Dinanzi a noi.

— Che vi sia qualche cavallo sbandato?... — chiese Romero al chinese.

— È possibile, ma potrebbero essere anche spagnuoli imboscati od accampati.

— Deviamo, Hang-Tu.

— Vorrei prima accertarmi se abbiamo da fare con nemici od amici. Altri insorti possono aver cercato rifugio in questa foresta e sarei ben lieto d'ingrossare la nostra piccola banda.

— Che cosa risolvi?...

— Avanziamoci con precauzione, colle armi in pugno.

— E Than-Kiú?...

— La collocheremo fra noi, — disse Hang.

Il drappello fu disposto su tre file, cominciando la foresta a diradarsi, poi si ripose in marcia, ma lentamente e con infinite precauzioni.

L'avanguardia era stata composta cogli uomini piú risoluti, affinché, occorrendo, aprissero il passo con una carica a fondo.

La foresta pareva deserta, tanto era profondo il silenzio. Si sarebbe detto che i tre uomini si erano ingannati poiché nulla indicava la presenza di amici o di nemici.

Ad un tratto si udí una voce a gridare in spagnuolo:

— Chi vive?

— Morte di Buddha!... — mormorò Hang-Tu. — Ci siamo.

Poi alzandosi sulle staffe snudando la catana tuonò:

— Caricate!...

I cavalli, vigorosamente spronati, partirono ventre a terra per sfondare, con un attacco vertiginoso, la linea dei nemici, ma non trovarono dinanzi a loro alcun ostacolo.

Avevano già oltrepassata la macchia in mezzo alla quale si era udita echeggiare la voce, quando ricevettero a bruciapelo una terribile scarica.

Sette cavalli coi rispettivi cavalieri stramazzarono a destra e a sinistra, mentre Romero, che caricava in prima linea si abbandonava sul collo del suo destriero.

Than-Kiú, che si trovava al suo fianco, mandò un grido e lo afferrò per un braccio per impedirgli di cadere, ma il meticcio si era subito rialzato, dicendo:

— Non è nulla, Than-Kiú.

Poi volgendosi aveva fatto fuoco in mezzo alla macchia, mentre Hang ed i superstiti facevano altrettanto.

— Spronate!... Spronate!... — urlò il chinese.

I cavalli avevano ripreso la corsa, fuggendo disordinatamente attraverso la foresta, ma gli spagnuoli non li avevano seguiti, paghi di aver scavalcato quei sette cavalieri e fors'anche perché non possedevano animali.

— Sei ferito, mio signore? — chiese Than-Kiú, che non aveva abbandonato Romero.

— È nulla, — ripetè il meticcio, ma con un tono di voce nel quale si sentiva uno spasimo represso della volontà.

— Morte di Buddha! — esclamò Hang, impallidendo. — Ti hanno ferito Romero?

— Ho ricevuto una palla nel dorso.

— Ah!... dannati!... Puoi reggerti?...

— Lo spero.

— Se puoi resistere quindici minuti, io ti condurrò in un luogo dove potremo sostare. So dove ci troviamo.

— Resisterò.

— Sprona!... Sprona!...

I cavalli divoravano la via, non essendo piú la foresta tanto fitta, ma il meticcio che doveva aver ricevuto una ferita, se non mortale, almeno molto dolorosa, a poco a poco si sentiva mancare. Già due volte si era accasciato sul collo del suo animale e Hang-Tu e la fanciulla lo avevano sostenuto. Forse la perdita del sangue gli esauriva rapidamente le forze.

Dieci minuti erano trascorsi, quando Hang-Tu esclamò:

— Alto!...

Arrestò il cavallo e balzò rapidamente a terra afferrando fra le robuste braccia Romero. Questi vi si era abbandonato, mandando un gemito.

Quattro uomini erano accorsi in suo aiuto, ma Than-Kiú li aveva respinti dicendo:

— No, non toccatelo.

Poi aveva prestato man forte al capo degli uomini gialli, il quale si era diretto verso una fattoria mezzo diroccata, contornata da una muraglia.

Varcata la cinta, passando attraverso una breccia, Hang e Than-Kiú, con infinite precauzioni, avevano deposto Romero su un mucchio di erbe secche che si trovava nel cortile.

Il meticcio era svenuto, ma la sua respirazione era sempre piú forte.

— Tu lo salverai, — disse Than-Kiú colle lagrime agli occhi.

— Sí, — rispose Hang.

— Me lo prometti?

— Sí... sorella, — mormorò il chinese con un filo di voce.