Le stragi delle Filippine/Capitolo XVI - Il rifugio in mezzo alla foresta

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Capitolo XVI - Il rifugio in mezzo alla foresta

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Capitolo XVI - Il rifugio in mezzo alla foresta
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Capitolo XVI


IL RIFUGIO IN MEZZO ALLA FORESTA


Hang-Tu, insensibile all'intenso calore che regnava sotto la grande foresta, non essendovi sotto la fitta massa di verzura alcun soffio d'aria, vegliava sempre, conservando una immobilità quasi assoluta. Pareva che il sonno non fosse necessario a quell'uomo di ferro, poiché le sue palpebre non si abbassavano, anzi sbarrava sempre piú gli occhi e tendeva costantemente gli orecchi.

Non guardava in terra; guardava invece in alto, sugli alberi, seguendo attentamente le ardite evoluzioni di una banda di cinocefali neri, dal muso largo e piatto, dalla fronte enormemente sporgente, dalla coda rudimentale, dal folto pelame d'un nero intenso, e dalle natiche rosse. E finché quelle scimmie sospettose non davano alcun segno d'inquietudine, nessun pericolo vi era da temere; esse avrebbero avvertito l'approssimarsi degli uomini.

Porgeva anche attento ascolto ad una banda di gazze azzurre che cicalavano, duecento metri piú lontano, sulla cima d'un albero della canfora non che alle grida scordate di un gruppo di otarde. Finché continuavano a strepitare senza abbandonare i loro posti, ciò voleva indicare che quella parte della foresta era ancora deserta.

Erano già trascorse due ore, senza che Hang avesse notato alcun che di straordinario, quando le otarde improvvisamente zittirono, poi le gazze, quindi le scimmie cominciarono a dare segno d'inquietudine, interrompendo i loro giuochi e salendo e discendendo i rami degli alberi con una certa precipitazione.

Hang-Tu si era prontamente scosso.

— Vengono, — mormorò. — Bisogna ripartire.

Stette alcuni istanti ancora immobile, credendo che si trattasse d'un falso allarme, rincrescendogli assai d'interrompere il riposo dei suoi uomini e soprattutto il sonno della povera Than-Kiú; ma vedendo che i cinocefali invece di riprendere i loro giuochi s'affrettavano a guadagnare i rami degli alberi vicini per allontanarsi, dette l'allarme.

I suoi uomini in un baleno furono in piedi, Than-Kiú si rialzò prontamente, la barella fu levata e la piccola colonna riprese la ritirata attraverso la piantagione di pepe selvatico, marciando lentamente ma in silenzio.

Sei uomini erano già stati rimandati indietro per sorvegliare le mosse del nemico e sostenere il primo urto, nel caso che venissero stretti troppo da vicino.

Romero si era pure svegliato ed apprendendo che l'inseguimento continuava con accanimento, aveva pregato nuovamente Hang di abbandonarlo per non compromettere la vita di tutti, ma il chinese gli aveva invece imposto di tacere.

La marcia era diventata rapida, avendo trovato una specie di sentiero, aperto forse dagli indigeni o da qualche banda di insorti che era stata forse costretta a passare per di là, ma anche gl'inseguitori non dovevano aver rallentato la caccia, poiché gli uomini della retroguardia, che si tenevano a quattrocento passi dal grosso, ne avevano udito piú volte le voci.

L'inquietudine tornava a prendere i fuggiaschi ed anche Hang-Tu cominciava a dubitare dell'esito di quella ritirata. Piú volte anzi si era domandato, se non fosse stato meglio trincerarsi in mezzo di una folta macchia ed impegnare una lotta suprema col nemico, ma il timore di vedere sbandarsi i suoi uomini lo tratteneva ancora.

Nondimeno era necessario trovare un qualche rifugio, poiché se questa caccia accanita continuava ancora, avrebbe finito col ridurre i suoi uomini in tale stato di debolezza, da non essere piú in grado di opporre la menoma resistenza.

Aveva piú volte chiesto ai meticci ed ai chinesi se sapevano dove si trovassero e se nelle vicinanze vi fosse qualche villaggio su cui appoggiare, ma nessuno aveva dato una risposta positiva. Alcuni opinionavano di trovarsi presso lo Zapatè, altri invece di non essere lontani dal mare, ma infine tutti confermavano di essersi smarriti.

Di S. Nicola piú nessuno parlava e forse pel momento non era il caso di pensarvi. Ormai quel posto, ancora tenuto dagl'insorti, doveva trovarsi ben lontano.

Alle due, il drappello, avvertito che gli spagnuoli avevano fatta una nuova sosta, prese un po' di riposo, ma per riprendere la marcia un'ora dopo. Gli uomini della retroguardia erano stati scoperti ed erano stati salutati da alcuni colpi di fucile; fortunatamente avevano avuto il tempo di salvarsi.

La distanza spariva rapidamente. Il drappello, impedito dalla barella, minacciava di venire raggiunto prima che calasse la notte.

Hang-Tu prese un partito disperato.

— Romero, — disse rivolgendosi al ferito. — È necessario uno sforzo supremo da parte tua o verremo assaliti e con ogni probabilità distrutti.

— Sono pronto a tutto, — rispose il meticcio. — Ti ho già detto di abbandonarmi.

— No, non ti abbandonerò nelle mani del maggiore d'Alcazar.

— Del maggiore d'Alcazar!... — esclamò Romero, con accento di dolore. — È lui adunque che c'insegue?...

— Sí.

— Dovevo immaginarmelo dal suo accanimento.

Poi, dopo un breve silenzio, aggiunse:

— Preferisco cadere in sue mani, piuttosto che in altre.

— Non ti risparmierebbe egualmente.

— Chissà, Hang.

— Non fidarti della sua generosità. Che importa a lui che sua figlia ti voglia bene?... È un soldato e non tradirà la sua bandiera, dovesse infrangere il cuore della donna bianca.

— Forse hai ragione, — mormorò Romero, con tristezza; — ma se è me che cerca d'avere nelle mani, forse potrei salvare te, Than-Kiú e tutti gli altri.

— Non ti comprendo.

— Lascia che mi rechi da lui.

— A che fare?...

— A mettermi nelle sue mani a condizione che lasci liberi voi tutti.

— Non accetterebbe, e poi prima di te ci sarei io a tentare questo passo estremo. No, Romero, non siamo ancora vinti ed ogni speranza di salvarci non è ancora perduta, ma tutto dipende dalle tue forze.

— Ossia?...

— Potresti, facendo appello a tutta la tua energia, mantenerti in sella?... Il bosco comincia a diradarsi e con una rapida galoppata possiamo guadagnare un buon tratto di via sugli inseguitori e giungere a qualche rifugio.

Invece di rispondere Romero fece cenno ai portatori d'arrestarsi, poi facendo uno sforzo supremo, non ostante il dolore acuto che doveva produrgli quella mossa, si gettò giú dalla barella.

— Mio signore, t'uccidi! — esclamò Than-Kiú, avvicinandosi a lui per sorreggerlo.

Romero la respinse dolcemente, sorridendo.

— Da me dipende la salvezza di tutti, — disse. — Conducetemi il mio cavallo.

Romero era diventato estremamente pallido e grosse gocce di sudore, probabilmente fredde, gli bagnavano la fronte; ma una potente volontà lo manteneva ritto e soffocava gli acuti dolori della ferita.

Un chinese aveva condotto il cavallo. Hang-Tu afferrò Romero ed aiutato da un meticcio lo pose in sella.

— Puoi resistere? — gli chiese, con inquietudine.

— Avanti, — rispose invece Romero.

Cacciò gli speroni nel ventre dell'animale e partí di galoppo, fiancheggiato da Hang e Than-Kiú, che si tenevano pronti a sorreggerlo e seguito da tutta la banda.

La foresta tornava a diradarsi e permetteva al drappello di avanzarsi rapidamente, lasciando indietro gli spagnuoli.

Than-Kiú, che era piú pallida del ferito e sommamente commossa, chiedeva ad ogni istante:

— Tu soffri, mio signore. Vuoi che il Fiore delle Perle ti sorregga?

Ma Romero invece di risponderle continuava a comandare:

— Avanti!... Avanti!...

Pareva che egli non provasse piú nulla, nemmeno il piú piccolo dolore e continuava a spronare il proprio cavallo trascinando, in una corsa sfrenata, tutta la banda. Pareva che non udisse nemmeno piú né la voce di Than-Kiú, né quella di Hang-Tu. Doveva essere in preda ad una specie di esaltazione che gl'impediva di provare l'acerbo dolore che dovevano produrgli le scosse violente del destriero, ma che poteva anche piú tardi scontare a caro prezzo, forse colla propria vita.

Quella corsa vertiginosa durò un'ora, poi s'arrestò bruscamente. Una abitazione era apparsa sul lembo dell'immensa foresta ed i cavalli si erano fermati dinanzi alla palizzata che la circondava.

— Un rifugio!... — aveva esclamato Hang, con gioia. — Forse siamo salvi.

Poi era balzato prontamente a terra e si era precipitato verso Romero.

Era tempo. Il valoroso meticcio, esausto da quello sforzo poderoso, cessata la corsa s'era accasciato bruscamente sul collo del suo cavallo, colpito da uno svenimento fulminante. Cadde fra le braccia del chinese come se la vita lo avesse abbandonato.

— Morto!... esclamò Than-Kiú con voce terribile, fissando su Hang uno sguardo di fuoco.

— No, non temere, — esclamò il chinese, la cui voce però forse per la prima volta, tremava. — Romero è forte.

L'aveva preso delicatamente fra le braccia, era entrato nella cinta che circondava la casa, il cui cancello era aperto, ed avendo veduto in un angolo delle sedie, ve lo aveva deposto.

Than-Kiú e tutti gli altri lo avevano seguito e lo avevano circondato.

Hang appoggiò un orecchio sul petto di Romero ed ascoltò con profondo raccoglimento.

— Ebbene? — chiese Than-Kiú, con voce minacciosa. — Me l'hai ucciso, Hang?...

— No, il cuore batte ancora forte, — rispose il chinese, respirando. — Romero è solamente svenuto pel dolore e per lo sforzo eccessivo. Non temere, Than-Kiú, io lo guarirò, specialmente ora che abbiamo trovato un rifugio.

Esaminò la ferita. La benda si era spostata sotto i violenti urti di quel galoppo disordinato, e la ferita, riapertasi, sanguinava.

Avendo veduto in un angolo del cortile una cisterna, fece attingere dell'acqua, lavò nuovamente ed abbondantemente la ferita, poi tornò a fasciarla, dopo aver riunito i margini della carne forata dalla palla nemica.

— Te lo affido, Than-Kiú, — disse poi. — Io intanto esaminerò questa casa per vedere se è possibile organizzare qui la resistenza. Gli spagnuoli sono lontani, ma forse domani saranno qui.

Si alzò e, seguito da alcuni uomini, ispezionò l'abitazione.

Era una piccola fattoria, ma solidamente costruita, che pareva fosse appartenuta a qualche famiglia di tagali che la guerra doveva aver scacciato, se pure non l'avevano abbandonata volontariamente per raggiungere le bande insorte che s'erano radunate sulle rive dello Zapatè.

Si componeva d'una casa a due soli piani, colle pareti abbastanza resistenti ed in muratura e di due piccole tettoie, il tutto racchiuso da una palizzata robusta, alta due metri e mezzo o tre, capace di resistere a lungo, anche ad un violento assalto.

Le due stanze della casetta erano ammobiliate con rozze sedie e tavole ed in una vi erano due letti formati da un alto strato di stuoie di foglie di cocco, e sotto le tettoie Hang-Tu scoprí delle provviste considerevoli, del riso, canne da zucchero, frutta secche, noci di cocco, cacao, caffè e legumi, nonché parecchi attrezzi campestri, zappe, vanghe, scuri di boscaioli ed un aratro. Non vi era però nessun animale, quantunque abbondanti fossero le tracce lasciate da cavalli, da montoni e da volatili.

Hang-Tu soddisfattissimo, fece il giro della cinta ed avendola trovata dovunque in ottimo stato, cominciò a sperare.

— Se i miei uomini tengono duro, credo che il maggiore d'Alcazar non ci prenderà cosí facilmente come spera, — mormorò. — Manderò qualcuno a cercare nei dintorni del fiume per avere soccorsi, ed intanto noi resisteremo finché avremo una cartuccia.

Chiamò a raccolta i suoi uomini, i quali avevano già ricoverati i cavalli sotto la tettoia, ed espose loro le sue intenzioni, le quali vennero tosto approvate, avendo ormai tutti compreso che una nuova ritirata, con Romero ferito, non avrebbe portato che danni gravissimi.

Fu deciso che due dei piú robusti e dei piú pratici del paese, sarebbero partiti dopo qualche ora di riposo, per cercare di raggiungere le bande che dovevano accampare sulle rive dello Zapatè e poi di barricare il cancello con un ammasso di tronchi d'alberi.

Trasportarono dapprima Romero nell'interno della casa, adagiandolo su uno dei due letti ed affidandolo alle cure di Than-Kiú; poi, mentre i due uomini che dovevano partire prendevano un po' di riposo, gli altri, armatisi delle scuri trovate, si misero frettolosamente al lavoro, abbattendo parecchi alberi per completare la chiusura della cinta.

Due ore dopo, appena partiti i due corrieri, il cancello veniva ostruito con una triplice fila di pali, rinforzati da due grossi tronchi d'albero; ma Hang-Tu, non ancora soddisfatto, fece tagliare altre piante per ostruire in gran parte anche le finestre della casa, onde i suoi uomini potessero difendersi senza esporsi troppo ai colpi dei nemici.

Quando vide che la piccola fattoria era in grado di poter resistere, accordò finalmente alcune ore di sonno, mentre due meticci, che erano stati lasciati appositamente in riposo, montavano il primo quarto di guardia sul tetto della casa, per poter meglio scorgere l'avvicinarsi degli spagnuoli.

Hang, che si sentiva esausto per quelle lunghe veglie, poté finalmente coricarsi accanto a Than-Kiú, la quale si era già profondamente addormentata presso il ferito.

Quando si svegliò, cominciavano a cadere le tenebre. Il sole era già scomparso dietro ad una grande nuvola nera, che pareva s'alzasse dalla parte del mare, e la foresta rumoreggiava sotto le prime raffiche che scuotevano le gigantesche foglie dei banani, dei betel, degli arecche e delle palme, mentre faceva gemere e scricchiolare i flessibili rami dei giganteschi tamarindi e delle piante gommifere. Pareva che un uragano si preparasse a scoppiare.

Romero era già svegliato e parlava colla fanciulla che gli sorrideva. Hang visitò nuovamente la ferita, la rinfrescò con acqua fatta attingere nella cisterna, costrinse l'amico a sorseggiare alcune tazze di brodo, avendo già fatto cucinare un altro pollo, poi uscí.

I suoi uomini erano tutti in piedi e stavano preparandosi la cena colle provviste trovate sotto le tettoie. Erano tutti di buon umore, poiché coll'uragano che minacciava, speravano di passare la notte senza attacchi, rimettendosi completamente, con una buona dormita, dalla stanchezza delle veglie precedenti.

— Nulla? — chiese Hang.

— No, capo, — risposero.

— Che gli spagnuoli abbiano perdute le nostre tracce?...

— È probabile.

— Non è uscito nessuno ad esplorare i dintorni?

— Sí, io, — rispose un chinese, — ma non ho veduto alcuno spagnuolo.

— Speriamo, — mormorò Hang, rientrando nella casa.

«Se ritardano l'attacco d'un paio di giorni, i soccorsi giungeranno ed il maggiore non ci prenderà piú.»

Anche Romero pareva che fosse di buon umore, poiché continuava a parlare colla fanciulla, come se i dolori gli avessero accordato una tregua.

Hang-Tu, vedendoli l'uno vicino all'altra, si era arrestato sulla porta della stanza, colle braccia incrociate, guardandoli con una commozione che invano cercava di nascondere. Di tratto in tratto però un sospiro profondo sollevava il suo robusto petto e come una nube di profonda tristezza gli passava sulla fronte.

Than-Kiú, colla sua voce armoniosa, cinguettava come una cinciallegra, raccontando a Romero non so quali leggende del suo paese, che il ferito ascoltava sorridendo. Pareva che la povera fanciulla del fiume Giallo, fosse in quel momento grandemente felice e che il meticcio avesse scordato il suo affetto per la Perla di Manilla per non ascoltare che il Fiore delle Perle.

— E non sarà che un sogno, una vana illusione, — mormorò Hang. — Quanto sarà terribile, per Than-Kiú, il risveglio! La donna bianca le sarà fatale e le infrangerà l'anima.

Era uscito nuovamente, ma in punta di piedi, per non turbare la fanciulla e si era seduto nel cortile, tenendosi il capo fra le mani. Pensava forse a Than-Kiú, ma anche vegliava, tendendo gli orecchi al sussurrío crescente del fogliame ed ai primi ululati del vento il quale s'ingolfava attraverso i mille e mille tronchi della foresta.

I suoi uomini si erano riparati sotto le tettoie accanto ai cavalli, per mettersi al coperto dai primi goccioloni che cominciavano a crepitare attraverso le foglie, meno quattro, dei piú robusti che erano rimasti di guardia ai quattro angoli della palizzata, sotto un riparo improvvisato con alcune stuoie.

L'uragano a poco a poco s'avanzava. Il tuono rombava di quando in quando fra le tempestose nubi e qualche lampo illuminava la foresta, facendo spiccare gli uomini che si tenevano immobili sotto i ripari.

Hang non si muoveva. Ascoltava sempre, senza curarsi della pioggia che lo sferzava.

Ad un tratto si alzò.

— Uomini di quarto! — gridò.

— Capo, — risposero le guardie.

— Il nemico s'avvicina.

L'udito acuto del chinese non doveva essersi ingannato. In mezzo ai fragori dell'uragano aveva distinto un fischio, un segnale lanciato di certo dai soldati del maggiore d'Alcazar.