Le stragi delle Filippine/Capitolo XXIII - Le tristezze del «Fiore delle Perle»

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Capitolo XXIII - Le tristezze del «Fiore delle Perle»

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Capitolo XXIII - Le tristezze del «Fiore delle Perle»
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Capitolo XXIII


LE TRISTEZZE DEL «FIORE DELLE PERLE»


Il luogo scelto dal chinese per concedere a Romero ed anche alla valorosa Than-Kiú un riposo d'alcuni giorni, e per lasciare al primo il tempo di guarire completamente, non poteva essere migliore.

Era la cima d'una montagna tronca, la quale formava una piccola spianata, difesa all'intorno da enormi macigni e coi fianchi coperti da foltissime foreste, le quali promettevano copiosa selvaggina, cosa necessarissima, poiché il piccolo drappello si trovava affatto sprovvisto di viveri, avendo tutto perduto nella disastrosa ritirata.

Di lassú i fuggiaschi potevano dominare un vastissimo tratto di paese ed una parte del corso dello Zapatè e quindi osservare anche le mosse delle due brigate del generale Lachambre e prevenire qualsiasi sorpresa, nel caso che qualche compagnia di soldati avesse avuto l'intenzione di snidarli.

Fu subito decisa la costruzione d'una capanna per ripararsi dai cocenti raggi del sole e dall'umidità della notte.

Prima che il sole tramontasse, i cinque meticci, aiutati dai due tagali e dal chinese, aveva costruito il ricovero, un capannone di frasche e di rami d'albero, incapace assolutamente di proteggerli contro le palle degli spagnuoli, ma sufficiente per ripararli dalle intemperie.

Quella sera dovettero accontentarsi per cibo di alcuni banani trovati nella foresta e di alcuni aranci, magro conforto pei loro stomaci che dal mattino non avevano ricevuto nemmeno un biscotto.

Quantunque non vi fosse da temere alcuna sorpresa da parte degli spagnuoli, i quali non erano stati veduti a ripassare lo Zapatè, e non avessero da paventare pericoli da parte degli abitanti della foresta, non essendovi alle Filippine fiere capaci di assalire un uomo, all'infuori dei serpenti pitoni e dei coccodrilli che ordinariamente si tengono nelle bassure e nelle terre inondate, Hang-Tu dispose dei quarti di guardia, volendo essere minutamente informato delle mosse del generale Lachambre. Gli premeva conoscere la direzione che avrebbero presi gli spagnuoli per regolarsi sulla via che avrebbe dovuto tenere per giungere sulle sponde del mare senza paura d'incontrarli.

Quella prima notte, sulla cima di quell'alta montagna, passò tranquilla e tutti poterono rimettersi dalle lunghe fatiche sopportate nei precedenti giorni.

Da parte degli spagnuoli nulla era stato notato. Pareva che non si fossero ancora mossi da S. Nicola per accorrere ad ingrossare le truppe del generale Polavieja, operanti contro Cavite.

L'indomani alcuni meticci si cacciarono nei boschi per cercare di abbattere qualche capo di selvaggina, mentre i tagali andavano in cerca di frutta e di miele, avendo osservato, durante la marcia del giorno precedente, che numerose erano le api selvatiche in quei dintorni.

Gli uni e gli altri furono abbastanza fortunati, poiché prima del mezzodí ritornavano portando con loro due scimmie lar, quadrumani alti ottanta centimetri, col pelame grigio-nero, la faccia nerissima cinta da una fascia di peli bianchi che dà loro un aspetto dei piú bizzarri e le natiche nude e rosse; un gatto pescatore, un bell'animale lungo ottantacinque centimetri e alto quaranta, dal pelame grossolano con sfumature di varie tinte e strisce oscure, robusto, selvatico, che vive presso i torrenti ed i fiumi, distruggendo grandi quantità di pesci, di uccelli e serpenti e assalendo qualche volta perfino i bambini.

Avevano inoltre abbattuti parecchi volatili e raccolto parecchi chilogrammi di miele squisitamente profumato, nonché un bel numero di banani, di grossi aranci, di deliziosi ananassi e di manghi.

Avevano anche tentato di raggiungere un branco di grossi cinghiali che erano stati scorti in mezzo ad alcune folte macchie ed anche una coppia di cervi, ma senza riuscirvi. Si ripromettevano però di tornare l'indomani per cercare di abbatterne qualcuno.

Durante la giornata Hang-Tu si mantenne quasi costantemente in osservazione sulla cima della piú alta roccia, per sorvegliare le mosse delle due brigate spagnuole. Aveva già veduto alcuni battaglioni lasciare S. Nicola e allontanarsi lungo la riva opposta dello Zapatè, come se mirassero a scendere verso Pamplona.

Verso sera, altri li avevano seguiti prendendo la medesima direzione e ciò lo rassicurava, poiché tenendosi al di qua del fiume era certo di poter giungere sulle sponde del mare senza incontrarli.

— Se fra una settimana sei guarito, con una rapida marcia possiamo giungere in vista di Cavite, — disse a Romero, che lo aveva raggiunto su quell'alto osservatorio.

— Possiamo partire anche prima, — rispose il meticcio. — La mia ferita non mi dà quasi alcun disturbo.

— No, — disse il chinese. — A Cavite avremo molto da fare e le fatiche potrebbero inasprire la ferita e farti ricadere ammalato quando avremo maggior bisogno di te. Non c'è fretta. La piazza è ben munita e bene armata e terrà testa agli spagnuoli per molto tempo ancora, malgrado il bombardamento della flotta.

— Vi sono delle bande valorose?...

— Le migliori, Romero, e quasi tutte formate da meticci e da tagali che prima militavano fra le truppe coloniali della Spagna. Vi sono anche buoni cannoni e le munizioni devono abbondare ancora.

— Chi comanda le vostre forze?

— Andrea Bonifacio coi suoi fratelli ed Aguinaldo, tutti capi valorosi ed intelligenti, quantunque siano gelosi gli uni degli altri.1

— Assumeremo noi la difesa della piazza, cosí sopprimeremo le loro gelosie.

— A Cavite, già prima della nostra partenza da Manilla, erano stati spediti varii corrieri per annunciare a quei capi la decisione dei comitati segreti, cioè di affidare a noi la direzione suprema delle operazioni guerresche. Forse di giorno in giorno ci attendono.

— Speriamo di poter resistere a lungo e costringere le truppe spagnuole a lasciare la penisola.

— Temo che sarà difficile, Romero, specialmente ora che il Lachambre andrà, colle sue truppe, a rinforzare il generale Polavieja e forse a prendere la direzione della campagna.

— Forse che il Polavieja sta per cedergli il comando supremo delle forze spagnuole? — chiese Romero, stupito.

— Da alcuni uomini delle bande ho udito che il Polavieja non si trova piú in grado di dirigere le operazioni militari, in causa del suo male di fegato che lo fa soffrire assai e che gl'impedisce di montare a cavallo.2

— E gli succederebbe certamente il Lachambre.

— Sí, e questo vale l'altro, per nostra disgrazia.

— O li avremo tutti e due attorno a Cavite, — aggiunse Romero, come parlando a se stesso.

— Forse, — rispose Hang, che si era alzato. — Vedi bene che anche il baluardo dell'insurrezione, stretto fra una cerchia di ferro e di fuoco, non potrà resistere a lungo. Ormai, in questa provincia, non ci sono piú bande capaci di scacciare gli spagnuoli dalla penisola.

— È vero, ma se Cavite dovrà cadere, andremo a rianimare le bande che combattono a Malabon ed a Bulacan.

— Se potremo sfuggire alla cerchia di ferro. M'ingannerò forse, ma il cuore mi dice che la caduta di Cavite sarà fatale a qualcuno di noi due.

— E sia, — disse Romero. — Io mi sono gettato in mezzo all'insurrezione per cercarvi la morte.

— Sei giovane ancora per morire e potresti un giorno diventare ancora felice. Per me è un'altra cosa: non amo nessuno, fuorché la libertà, la patria, mentre tu hai delle persone che ti amano.

— Che importa, quando la donna che amo non potrà diventare mai mia? — disse Romero, con tristezza.

— Tu pensi alla donna bianca!... — esclamò Hang-Tu, mentre la sua fronte si abbuiava. — La si dimentica.

— Teresita?

— Vi è un'altra che ti ama e forse piú della fanciulla bianca.

— Lo so... Than-Kiú, — mormorò il meticcio con un sospiro. — Perché il destino l'ha spinta sui miei passi?...

— Perché dici questo? — chiese Hang, con voce sorda.

— Perché sento che non potrò mai amarla, finché vi sarà Teresita... eppure...

— Continua.

— Meriterebbe bene l'amore mio. Quanta affezione in quella valorosa fanciulla!... Ed invece le spezzerò il cuore, mentre le devo la mia vita e quella del maggiore d'Alcazar.

— E non potrai mai amarla?...

— Sí, ma come sorella.

— Non le basterà, — disse Hang, i cui occhi diventavano tetri.

— Lo so, ma la fanciulla bianca mi ha stregato, Hang, e non potrò mai dimenticarla. Che vuoi?... È il destino che cosí esige.

— È vero — mormorò Hang. — sempre il destino. Than-Kiú morrà infelice.

— Ma tu? — chiese ad un tratto Romero, volgendosi verso il chinese. — È una fanciulla della tua stessa razza, è bella, è ardita e tu sei prode e forte.

— Ebbene? — chiese Hang coi denti stretti, incrociando le braccia.

— Che t'impedirebbe di farla felice?...

— Io! — esclamò il chinese — Hang-Tu non lo potrà mai.

— Ma chi te lo impedirà?...

Hang-Tu aveva aperte le labbra come se volesse dargli una pronta risposta, ma poi le rinchiuse convulsivamente e con tanta forza, che i denti stridettero, quindi s'allontanò a lenti passi, scendendo attraverso i boschi della montagna. Parve a Romero che egli fosse in preda ad un'estrema commozione e credette che si fosse allontanato per sottrarsi a qualche nuova interrogazione.

— Vi è qualche mistero nella vita di Hang-Tu — mormorò il meticcio — e forse riguarda anche Than-Kiú. Potrò io un giorno saperlo?...

Scosse tristemente il capo e s'alzò per ritornare alla capanna. Alla base della roccia vide la giovane chinese, la quale era seduta su di un macigno, cogli sguardi malinconicamente fissi sulla luna che allora sorgeva all'orizzonte, rossa come un disco di metallo incandescente.

Udendo i passi di Romero, Than-Kiú si scosse, poi si rialzò dicendo:

— Vieni, mio signore. L'umidità della notte non fa bene ai feriti.

Il meticcio, che era diventato pensieroso, non parve che l'avesse udita, perché invece le chiese:

— Hai veduto Hang?...

— Sí, — rispose la fanciulla, quasi distrattamente. — Mio... sí, l'ho veduto scendere la montagna.

— Mio... Cosa volevi dire, Than-Kiú?

La fanciulla udendo quella domanda, trasalí, poi seguitò, ma con un certo imbarazzo:

— Volevo dire mio signore. Forse che non ti ho sempre chiamato cosí?...

— Sí, fanciulla.

Poi si era incamminato verso la capanna che sorgeva in mezzo alla spianata, senza aggiungere parola. Than-Kiú lo aveva seguito, ma dopo alcuni passi si era arrestata, dicendo con voce dolce:

— Il mio signore sta male forse?... Mi sembri triste e preoccupato.

— È l'insurrezione che mi preoccupa, Than-Kiú, — rispose Romero.

La giovanetta gli aveva messo una mano sulla spalla e lo aveva fermato, guardandolo attentamente in viso.

— No, — diss'ella, dopo alcuni istanti. — Le labbra non dicono ciò che tormenta il tuo cuore, o mio signore.

— E che vuoi che lo tormenti?...

— La donna bianca, — rispose la fanciulla, con voce tremula.

— È cosí lontana, Than-Kiú!...

— Ma tu pensi a lei.

— Non parlarmi di Teresita, fanciulla. Quel nome fa male a te.

— È vero, mio signore. Il Fiore delle Perle, che non trema fra gli orrori delle battaglie, impallidisce quando ode il nome della donna bianca.

— Taci, fanciulla.

— La donna bianca porterà sventura alla donna del fiume Giallo.

Poi prendendo Romero per una mano e indicandogli una fulgida stella che scintillava sulla linea dell'orizzonte, continuò:

— Guardala, mio signore, come brilla la stella della Perla di Manilla. Sono tante sere che io la guardo e la vedo sorgere sempre piú vivida, e noi, crediamo agli astri.

— Follíe, Than-Kiú.

— No, mio signore. Guarda invece la mia stella che segue quella della donna bianca. La sua luce pallida tremola sempre come se dovesse spegnersi da un istante all'altro. Quando sarà giunta sopra il mio paese morrà e quel dí morrà pure la figlia del paese del sole.

La voce della fanciulla si era spenta in un singhiozzo.

— Ebbene, che importa? — proseguí, ma con una voce cosí lieve che pareva un lontano lamento. — Il mio signore non m'amerà mai, ma Than-Kiú non rimarrà a lungo infelice. La terra dei suoi padri sta laggiú, dalla parte ove il sole tramonta e Hang trasporterà nel giardino dei fiori il corpo del Fiore delle Perle, all'ombra dei lillà e della grande cupola a scaglie di ramarro. La morte non la teme, Than-Kiú: ben venga.

La sua voce si era spenta in un secondo singhiozzo e Romero vivamente commosso, aveva attirato verso di sé la disgraziata giovanetta, dicendole:

— Tu sei infelice, mia povera Than-Kiú, ma credi tu che io sia felice?... T'inganni, fanciulla!... Il tuo cuore sanguina, ma anche il mio soffre: tu ti lamenti, ma anch'io non sono lieto: tu ami senza speranza ed io, credi che ne abbia?... Tu non potrai mai sapere quanto io abbia sofferto per la fanciulla bianca, che l'insurrezione mi ha strappata. Siamo due infelici, Than-Kiú, percossi da un'implacabile destino: ecco tutto.

— Ma tu ami la donna bianca.

— Sí, l'amo è vero, e se dovessi morire, il mio ultimo pensiero sarebbe per lei e per ... te, che amo come una sorella, ma che avrei voluto amare come mia sposa.

— Mio signore!... — esclamò Than-Kiú. — Tu mi avresti amata?...

— Sí, coraggiosa fanciulla.

— Ma la Perla di Manilla non è ancora tua!

— Ma io l'amo, Than-Kiú.

— Ma se ella morisse?...

Romero guardò la fanciulla: era trasfigurata. I suoi lineamenti cosí gentili, cosí dolci, velati sempre da una nube di malinconia, erano diventati fieri, mentre una fiamma cupa animava quegli occhi.

— Se il destino la uccidesse?... — chiese la giovane chinese con voce sibilante.

— Than-Kiú, mi fai paura! — esclamò Romero. — Io leggo nei tuoi occhi un triste disegno.

La fanciulla non aveva risposto. Si era coperta il viso fra le mani e si era lasciata cadere lentamente al suolo, come se un gelido vento avesse piegato a poco a poco quel rigoglioso fiore del paese del sole.

— No, — la udí a mormorare poco dopo Romero, con voce soffocata dai singhiozzi. — Il mio signore pure morrebbe. Il Fiore delle Perle non potrebbe mai prendere il posto della Perla di Manilla. Fatalità!...

Romero si era curvato su di lei per rialzarla, ma prima che le sue mani l'avessero toccata, la fanciulla si era raddrizzata con uno scatto selvaggio.

— L'umidità della notte può far male al mio signore, — disse, con un tono di voce che pareva tranquillo, ma nel quale si sentiva una profonda rassegnazione. — Le ferite s'inaspriscono.

Si avviò verso il capannone dinanzi a cui vegliava uno dei meticci, attese che Romero entrasse, poi si sedette dinanzi alla porta avvolgendosi nel suo mantello di seta bianca e posato il capo fra le mani piú non si mosse.

Verso mezzanotte anche Hang-Tu ritornava al campo. Era ancora cosí preoccupato, che non s'avvide di Than-Kiú.

Chiese all'uomo di guardia se nulla di nuovo fosse accaduto, poi si sdraiò all'aperto, accanto al fuoco che era stato acceso dietro alcune enormi rocce, affinché non potesse venire scorto dagli spagnuoli, che potevano ancora trovarsi accampati sulle rive dello Zapatè.


Note

  1. Le gelosie fra quei capi degl'insorti dovevano produrre più tardi, fra di loro, degli odii mortali. Infatti due mesi dopo Aguinaldo faceva assassinare i fratelli di Andrea Bonifacio, per tema che esercitassero troppa influenza sulle bande da lui comandate. (N.d.A.)
  2. Quella notizia era verissima. Il generale Polavieja aveva chiesto le sue dimissioni verso la metà di marzo, in causa del male che lo travagliava, ma poi, rimessosi alquanto in salute, aveva continuato a tenere il comando fino alla fine dell'aprile, quando cioè l'insurrezione era quasi vinta. (N.d.A.)