Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550)/Antonio da Coreggio

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Giorgione da Castel Franco Piero di Cosimo

ANTONIO DA COREGGIO

Pittor

Sforzasi bene spesso la benigna natura infondere tanta grazia ne’ nostri artefici, con tanta divinità nel maneggiare de’ colori, che se e’ fussero accompagnati da profondissimo disegno, ben farebbono stupire il cielo, come egli empiono la terra di maraviglia. Ma sempre si è potuto vedere ne’ nostri pittori, che quelli che hanno ben disegnato, hanno avuto qualche imperfezzione nel colorire; e che molti che fanno perfetta una qualche cosa particulare, lasciano poi per la maggior parte le cose loro piú imperfette che perfette. Il che per il vero nasce da la difficultà della arte, la quale ha da imitare tanti capi di cose, che uno artefice solo non può farle tutte perfette. Laonde ben si può dire che e’ sia non dico maraviglia, ma miracolo grandissimo che gli spiriti ingegnosi faccino quello che e’ fanno. Et i Toscani per avventura in maggior numero certo che gli altri. Di che proverbiata la madre dello universo da infiniti a chi non pareva avere il debito loro in questa divisione, fece degna la Lombardia de ’l bellissimo ingegno di Antonio da Correggio pittore singularissimo. Il quale attese alla maniera moderna tanto perfettamente, che in pochi anni dotato dalla natura et esercitato dall’arte divenne raro e maraviglioso artefice. Fu molto d’animo timido, e con incommodità di se stesso in continove fatiche esercitò l’arte, per la famiglia che lo aggravava: et ancora che e’ fusse tirato da una bontà naturale, si affliggeva nientedimanco piú del dovere, nel portare i pesi di quelle passioni, che ordinariamente opprimono gli uomini. Era nell’arte molto maninconico e suggetto alle fatiche di quella e grandissimo ritrovatore di qualsivoglia difficultà delle cose, come ne fanno fede nel Duomo di Parma una moltitudine grandissima di figure, lavorate in fresco e ben finite, che sono locate nella tribuna grande di detta chiesa: nelle quali scorta le vedute al di sotto in su con stupendissima maraviglia. Et egli fu il primo che in Lombardia cominciasse cose della maniera moderna. Perché si giudica che, se l’ingegno di Antonio fosse uscito di Lombardia e venuto a Roma, averebbe fatto miracoli e dato delle fatiche a molti, che nel suo tempo furono tenuti grandi. Con ciò sia che essendo tali le cose sue, senza avere egli visto de le cose antiche o de le buone moderne, necessariamente ne seguita che se le avesse vedute, arebbe infinitamente migliorato l’opere sue, e crescendo di bene in meglio sarebbe venuto a ’l sommo de’ gradi.

Tengasi pur per certo che nessuno meglio di lui toccò colori, né con maggior vaghezza o con piú rilievo alcun artefice dipinse meglio di lui, tanta era la morbidezza delle carni ch’egli faceva, e la grazia con che e’ finiva i suoi lavori. Egli fece ancora in detto luogo due quadri grandi lavorati a olio, ne i quali fra gli altri, in uno si vede un Cristo morto, che fu lodatissimo. Et in San Giovanni in quella città fece una tribuna in fresco, nella quale figurò una Nostra Donna, che ascende in cielo, fra moltitudine di angeli et altri santi intorno: la quale pare impossibile ch’egli potesse non esprimere con la mano, ma imaginare con la fantasia, per i belli andari de’ panni e delle arie che e’ diede a quelle figure. In Santo Antonio ancora di quella città dipinse una tavola, nella quale è una Nostra Donna e Santa Caterina con San Girolamo, colorita di maniera sí maravigliosa e stupenda, che i pittori ammirano quella per colorito mirabile, e che non si possa quasi dipignere meglio. Fece similmente quadri et altre pitture per Lombardia a molti signori; e fra l’altre cose sue, due quadri in Mantova al duca Federigo II, per mandare a lo imperatore, cosa veramente degna di tanto principe. Le quali opere vedendo Giulio Romano, disse non aver mai veduto colorito nessuno, ch’aggiugnesse a quel segno. L’uno era una Leda ignuda, e l’altro una Venere, sí di morbidezza colorito e d’ombre di carne lavorate, che non parevano colori, ma carni. Era in una un paese mirabile, né mai lombardo fu che meglio facesse queste cose di lui; et oltra di ciò, capegli sí leggiadri di colore e con finita pulitezza sfilati e condotti, che meglio di quegli non si può vedere. Eranvi alcuni amori, che de le saette facevano prova su una pietra, quelle d’oro e di piombo, lavorati con bello artificio. E quel che piú grazia donava alla Venere era una acqua chiarissima e limpida, che correva fra alcuni sassi e bagnava i piedi di quella, e quasi nessuno ne occupava. Onde, nello scorgere quella candidezza con quella delicatezza, faceva a gli occhi compassione nel vedere. Perché certissimamente Antonio meritò ogni grado et ogni onore vivo, e con le voci e con gli scritti ogni gloria dopo la morte.

Desiderava Antonio, sí come quello ch’era aggravato di famiglia, di continuo risparmiare, et era divenuto perciò tanto misero, che piú non poteva essere. Per il che si dice che essendoli stato fatto in Parma un pagamento di sessanta scudi di quattrini, esso volendoli portare a Correggio, per alcune occorrenzie sue, carico di quelli si mise in camino a piedi; e per lo caldo grande, che era allora scalmanato dal sole, beendo acqua per rinfrescarsi, si pose nel letto con una grandissima febre, né di quivi prima levò il capo, che finí la vita nell’età sua d’anni XL o circa. Lasciò suo discepolo Francesco Mazzola parmigiano, il quale lo imitò grandemente. Furono le pitture sue circa il MDXII. E fece alla pittura grandissimo dono ne’ colori da lui maneggiati come vero maestro, e fu cagione che la Lombardia aprisse per lui gli occhi, dove tanti belli ingegni si son visti nella pittura, seguitandolo in fare opere lodevoli e degne di memoria. Perché mostrandoci i suoi capegli fatti con tanta facilità nella difficultà del fargli, ha insegnato come e’ si abbino a fare. Di che gli debbono eternamente tutti i pittori. Ad instanzia de’ quali gli fu fatto questo epigramma:
ANTONIO A COREGIO.
HVIVS CVM REGERET MORTALES SPIRITVS ARTVS
PICTORIS, CHARITES SVPPLICVERE IOVI:
"NON ALIA PINGI DEXTRA, PATER ALME, ROGAMVS;
HVNC PRAETER, NVLLI PINGERE NOS LICEAT".
ANNVIT HIS VOTIS SVMMI REGNATOR OLYMPI
ET IVVENEM SVBITO SYDERA AD ALTA TVLIT,
VT POSSET MELIVS CHARITVM SIMVLACRA REFERRE
PRAESENS ET NVDAS CERNERET INDE DEAS.

Et appresso quest’altro ancora:

DISTINCTOS HOMINI QVANTVM NATVRA CAPILLOS
EFFICIT, ANTONI DEXTRA LEVIS DOCVIT.
EFFIGIES ILLI VARIAS TERRAEQVE MARISQVE
NOBILE AD ORNANDAS INGENIVM FVERAT.
COREGIVM PATRIA, ERIDANVS MIRANTVR ET ALPES,
MOESTAQVE PICTORVM TVRBA DOLET TVMVLO.

Fu in questo tempo medesimo Andrea del Gobbo milanese, pittore e coloritore molto vago, di mano del quale sono sparse molte opere nelle case per Milano sua patria; et alla Certosa di Pavia una tavola grande con la Assunzione di Nostra Donna, ma imperfetta per la morte che li sopravenne; la qual tavola mostra quanto egli fusse eccellente et amatore delle fatiche della arte.