Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550)/Cosimo Rosselli

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Iacopo, Giovanni e Gentile Bellini Il Cecca

COSIMO ROSSELLI

Pittore Fiorentino

Molte persone, sbeffando e schernendo altrui, si pascono d’uno ingiusto diletto, che il piú delle volte torna lor danno, in quella stessa maniera quasi che tornar fece lo scherno in capo a chi cercò di avvilire le fatiche sue Cosimo Rosselli, che nel suo tempo fu tenuto assai buon pittore, ma non però eccellente e raro, ancora che egli valesse non poco in alcune parti della arte. Costui nella sua giovanezza fece in Fiorenza nella chiesa di Santo Ambruogio una tavola, e sopra l’arco delle monache di S. Iacopo da le Murate tre figure. Lavorò ancora nella chiesa de’ Servi la tavola della cappella di Santa Barbara, e nel primo cortile lavorò in fresco la storia quando il Beato Filippo piglia lo abito della Nostra Donna. A’ frati di Cestello fece la tavola dello altar maggiore e ne fece ancora un’altra in una cappella; e similmente in una cappella innanzi che s’entri in una chiesetta, sopra il Bernardino, lavorò una tavola con molte figure. Dipinse il segno a’ fanciulli della Compagnia di San Giorgio, nel quale è una Annunziata, e molti quadri e tondi di madonne a’ cittadini. Alle monache di Santo Ambruogio fece la cappella del miracolo del Sacramento, la quale opera è cosa assai buona, e delle sue che sono in Fiorenza tenuta la migliore. Et in questa fece di naturale il Pico signore della Mirandola tanto eccellentemente, che e’ non pare ritratto, ma vivo. Laonde egli, che de gli amici aveva per la sua buona conversazione, fu con gli altri pittori chiamato a far l’opera che fece fare Sisto IIII Pontefice nella cappella del palazzo. E cosí in compagnia di Sandro Botticello, di Domenico Ghirlandaio, dell’Abbate di San Clemente, di Luca da Cortona e di Pietro Perugino, vi dipinse di sua mano tre storie, nelle quali fece la sommersione di Faraone nel Mar Rosso e la predica di Cristo a’ popoli lungo il mar di Tiberia e la Cena de gli Apostoli con Cristo, et in quella fece una tavola in otto facce tirate in buona prospettiva, e sopra quella il palco in otto facce con spartimento che gira in otto angoli, dove molto bene scortando, mostrò quanto gli altri sapere dell’arte. Dicesi che il papa aveva ordinato un premio, oltra il pagamento, a chi meglio avesse lavorato, e questo s’aveva a dare a chi con lode e merito al giudicio del pontefice fosse paruto. Laonde finite le storie, venne Sua Santità a veder l’opera, e già ciascuno de’ maestri aveva procurato far sí, che ’l premio e l’onore fosse suo. Per il che sentendosi Cosimo piú debile d’invenzione e di disegno, cercò occultare il suo difetto. Onde e’ coperse tutta questa opera di finissimi azzurri oltramarini e di vivaci colori, e con molto oro illuminò la storia: né albero, né erba, né panno, né nuvolo rimase, che lumeggiato non fosse, credendosi che ’l papa, come di quella arte poco intendente, gli dovesse donare la vittoria. Venne il giorno ch’ogni maestro doveva la sua opera scoprire, perché egli ancora mostrò la sua, de la quale fu da que’ maestri assai riso e schernito, sí come quegli che la sua debolezza piú tosto ucellavano che ne avessero compassione. Il papa andò a vedere l’opera della cappella finita, e giunto in quella, l’azzurro, l’oro e gli altri be’ colori di Cosimo in un tratto gli abbagliarono gli occhi, perché questa assai piú di tutte l’altre gli piacque, come a persona che aveva poco giudicio in tal professione. Onde giudicò Cosimo molto meglio aver sodisfatto e lavorato, che gli altri piú eccellenti di lui non avevano fatto. E cosí fece dare a Cosimo il premio ordinato, come a piú valente e migliore artefice de gli altri. E comandò a coloro che acconciassero d’oro le loro istorie e le coprissero di migliori azzurri, acciò che elle fussero simili a quelle di Cosimo nel colorito e nella ricchezza. Laonde i poveri pittori mal contenti anzi pure disperati, per satisfare alla poca intelligenzia del Padre Santo, si diedero a guastare tutto quel buono che avevano fatto. Risesi Cosimo di costoro piú che essi non avevano riso di lui quando lo ucellavano del tanto oro; e tornatosene a Fiorenza onorato et assai bene agiato, attese a lavorare al solito suo, avendo sempre in sua compagnia in tutte le cose Piero di Cosimo suo discepolo, che lo aiutò in Roma e per tutto. Questo Piero lavorò nella cappella di Sisto e vi fece molte cose, e massimamente un paese nella predica di Cristo che è tenuto la miglior cosa che vi sia. Stette ancora seco Andrea di Cosimo che attese alle grottesche. Visse Cosimo anni LXVIII, e per una lunga infermità consumato e logoro, finalmente si morí l’anno MCCCCLXXXIIII e dalla Compagnia del Bernardino fu sepellito in Santa Croce. Dilettossi molto de la alchimia, la quale vivo sempre lo consumò, et in grandissime povertà lo condusse a la morte. Dopo la morte poi, in memoria dello scorno fatto a’ suoi concorrenti nella cappella, gli fu fatto questo epitaffio:
PINSI, E PINGENDO FEI
CONOSCER QVANTO IL BEL COLORE INGANNA;
ET A’ COMPAGNI MIEI,
COME TAL BIASMA ALTRVI, CHE SÉ CONDANNA.