Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550)/Luca Signorelli da Cortona

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Filippo Lippi Bernardino Pinturicchio

LUCA SIGNORELLI DA CORTONA

Pittore

Chi ci nasce di buona natura non ha bisogno nelle cose del vivere di alcuno artificio, perché i dispiaceri del mondo si tollerano con pazienzia, e le grazie che vengono si riconoscono sempre da ’l cielo. Ma in coloro che sono di mala natura può tanto la invidia, cagione delle ruine di chi opera, che sempre le cose altrui, ancora che minori, gli appariscono e maggiori e migliori che le proprie. Laonde infelicità grandissima è di quegli che fanno per concorrenza le cose loro piú per passare con la superbia l’altrui virtú, che perché da loro trar si possa utile o beneficio. Questo peccato non regnò veramente in Luca Cortonese, il quale che sempre amò gli artefici suoi e sempre insegnò a chi volle apprendere, dove e’ pensò fare utile alla professione. E fu tanta la bontà della sua natura, che mai non si inchinò a cosa che non fusse giusta e santa. Per la qual cagione il Cielo, che lo conobbe vero uomo da bene, si allargò molto in dargli delle sue grazie. Fu Luca Signorelli pittore eccellente, e nel suo tempo era tenuto in Italia tanto famoso e l’opre sue furono in tanto pregio, quanto nessuno in alcun tempo sia stato. Perché nell’opre ch’egli fece nell’arte di pittura, mostrò il modo dell’usare le fatiche ne gli ignudi, e quegli con gran difficultà e bonissimo modo mostrò potersi far parer vivi. Fu creato e discepolo di Pietro dal Borgo a San Sepolcro, e molto nella sua giovanezza l’osservò; et ogni fatica mise per potere non solo paragonarlo, ma di gran lunga passarlo. Per il che cominciò a lavorare et a dipignere nella maniera di Maestro Pietro, che quasi l’una da l’altra non si sarebbe potuta conoscere. Le prime opere sue in Arezzo sono in San Lorenzo una cappella di Santa Barbara dipinta da lui in fresco, et alla Compagnia di Santa Caterina il segno d’andare a processione, in tela a olio, con una istoria di lei nelle ruote; e similmente quello della Trinità, ancora che e’ non paia di mano di Luca ma di Pietro da ’l Borgo. Fece in Santo Agostino in detta città la tavola di S. Niccola da Tolentino, con istoriette bellissime condotte da lui con benissimo disegno et invenzione, e nel medesimo luogo alla cappella del Sagramento due angeli lavorati in fresco. E per Messer Francesco Accolti aretino, dottissimo legista, fece la tavola della cappella sua, dove ritrasse alcune sue parenti e Messer Francesco ancora. In questa opera è un San Michele che pesa l’anime, che mirabile è a pensare di vedere l’arte di Luca ne gli splendori dell’arme, e vedere i barlumi, le riverberazioni et i riflessi fatti delle mani e di tutto quello che ha indosso, dove con molta grazia e disegno mostrò quanto sapeva. Miseli in mano un paio di bilance, nelle quali uno ignudo va in alto, et una femmina dà la bilancia, che va giú all’incontro, cosa in iscorto bellissima. E fra l’altre cose ingegnose, sotto i piedi di questo San Michele, è uno iscorto d’una figura ignuda bonissimo trasformato in un diavolo, nel quale un ramarro il sangue d’una ferita gli lecca.

In Perugia fece tavole et altre opere; et a Volterra e per la Marca sino a Norcia fece molti lavori, de’ quali non accade far memoria particulare. Similmente al Monte Santa Maria dipinse a quei signori una tavola d’un Cristo morto, et a Città di Castello in San Francesco è ancora una tavola d’una Natività di Cristo, cosa con disegno et amore da lui lavorata, et un’altra di San Sebastiano nella chiesa di San Domenico. Sono similmente in Cortona sua patria molte opre di suo, ma fra l’altre appresso Santa Margherita, vicino alla rocca, luogo de’ frati del Zoccolo, un Cristo morto, ch’è tenuto cosa bellissima e di gran lode, non pure da’ Cortonesi, ma da gli artefici ancora. Similmente nel Giesú, Confraternita di secolari in Cortona, fece in una tavola una Comunione d’Apostoli per Cristo, dove è un Giuda che si mette l’ostia nella scarsella; la quale opera ancora oggi è molto stimata. Molte altre cose fece in quella città; e lavorò a fresco in Castilione Aretino sopra la cappella del Sacramento un Cristo morto con le Marie; et a Lucignano di Valdichiana dipinse in San Francesco alcuni sportelli dove sono figure di suo che ornano uno armario, dove sta uno albero di coralli con una croce a sommo. A Siena fece in Santo Agostino una tavola alla cappella di San Cristofano, dentrovi alcuni santi che mettono in mezzo il San Cristofano di rilievo; per il che in quella città acquistò molte ricchezze e molto onore. Venne in Fiorenza per vedere la maniera di que’ maestri che erano moderni, desiderato da Lorenzo Vecchio, e dipinse una tela dove sono alcuni dèi ignudi, con molta aspettazione di coloro che desideravano vedere de le cose sue, e molto fu per quella opera comendato. Fece ancora un quadro di una Nostra Donna con due profeti piccoli di terretta, il quale è oggi a Castello, luogo del Duca Cosimo. E perché egli era al disegno molto destro et al colorire molto agile non meno che cortese, de la tela e de ’l quadro fece dono a Lorenzo, il quale da lui non si lasciò vincere di cortesia. Andò a Chiusuri a’ monaci di Monte Oliveto in quel di Siena, dove sta di continuo il lor generale, e dipinse una banda del chiostro in muro con XI storie di San Benedetto; e da Cortona mandò de le opere sue a Monte Pulciano e per tutta la Valdichiana. Fu condotto a Orvieto da gli operai del Duomo di Santa Maria, et interamente finí loro di man sua tutta la cappella di Nostra Donna, già cominciata da fra’ Giovanni da Fiesole; nella quale fece tutte le istorie de la fine del mondo: invenzione bellissima, bizzarra e capricciosa, per la varietà di vedere tanti angeli, demoni, terremoti, fuochi, ruine e gran parte de’ miracoli di Anticristo; dove mostrò la invenzione e la pratica grande ch’egli aveva ne gli ignudi, con molti scorti e belle forme di figure, imaginandosi stranamente il terror di que’ giorni. Per il che destò l’animo a tutti quelli che dopo lui son venuti, di far nell’arte le difficultà che si dipingono in seguitar quella maniera.

Dicesi che a la tornata sua in Cortona gli morí un figliuolo che egli molto amava, bellissimo di volto e di persona; e fu cosa compassionevole, essendogli stato ucciso. Onde cosí addolorato Luca lo fece spogliare ignudo, e con grandissima constanzia d’animo senza piagnere lo ritrasse. Sparsesi talmente la fama dell’opera d’Orvieto e delle altre tante che aveva fatte, che da Papa Sisto fu mandato a Cortona per lui, che venisse a lavorare in concorrenza con gli altri; acciò che nella cappella di palazzo, nella quale tanti rari e begli ingegni lavoravano, fosse ancora dell’opere di Luca. Fecevi egli dunque due storie, tenute le migliori fra tutti gli altri artefici: l’una è il testamento di Mosè al popolo ebreo nello avere veduto la terra di promissione, e l’altra la morte sua. Fece ancora molte opere a diversi principi in Italia e fuori; e già vecchio tornatosi a Cortona, lavorava opere per diversi luoghi. Fece in ultimo della sua vecchiezza alle monache di Santa Margherita in Arezzo, una tavola per la chiesa loro, che molto fu stimata. Similmente una alla Compagnia di San Girolamo in detta città, parte della quale pagò Messer Niccolò Gamurrini aretino, auditor di ruota, che in essa fu ritratto. E finalmente venuto in vecchiezza di anni LXXXII, in Cortona fra’ suoi parenti si morí; e nella pieve gli fu dato onorata sepoltura, perché fu da’ suoi Cortonesi onorato vivo e morto, sí come quello che molto ben l’aveva meritato, per lo utile e per l’onore che e’ dette alla patria sua.

Dicesi che Luca fu persona molto amorevole e cordiale nelle amicizie sue, et aveva tanto buona maniera nella pratica e nelle parole, che arebbe fatto fare de’ lavori a chi non ne avesse avuto né bisogno né voglia. Fu sempre cortese a chi volle servizio da lui, e molto amorevole nello insegnare a’ discepoli suoi. Visse splendidamente, e vestissi sempre di seta, e da tutti i personaggi grandi fu avuto in venerazione, e cosí fuori, come in Italia, fece conoscere il nome suo. Morí nel MDXXI. E fu onorato da’ poeti con molti versi. De’ quali ci bastano questi soli:
Pianga Cortona omai, vestasi oscura
Che estinti son del Signorello i lumi,
E tu pittura, fa de gli occhi fiumi
Che resti senza lui debile e scura.