Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Capitolo 11

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Capitolo 11

Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Capitolo 10 Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Capitolo 12 IncludiIntestazione 23 gennaio 2010 50% Biografie

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Cap. XI. Come si fanno i modelli per fare di bronzo le figure grandi e picciole, e come le forme per buttarle; come si armino di ferri e come si gettino di metallo, e di tre sorti bronzo; e come, gittate, si ceselino e si rinettino; e come, mancando pezzi che non fussero venuti, s’innestino e commettino nel medesimo bronzo.

Usano gl’artefici eccellenti quando vogliono gittare o [di] metallo o bronzo figure grandi, fare nel principio una statua di terra tanto grande, quanto quella che e’ vogliono buttare di metallo, e la conducono di terra a quella perfezzione ch’è concessa dall’arte e dallo studio loro. Fatto questo che si chiama da loro modello e condotto a tutta la perfezione dell’arte e del saper loro, cominciano poi con gesso da fare presa a formare sopra questo modello, parte per parte, facendo addosso a quel modello i cavi d’i pezzi; e sopra ogni pezzo si fanno riscontri, che un pezzo con l’altro si commettano segnandoli o con numeri o con alfabeti o altri contrassegni, e che si possino cavare e reggere insieme. Così a parte per parte lo vanno formando et ungendo con olio fra gesso e gesso, dove le commettiture s’hanno a congiugnere; e così di pezzo in pezzo la figura si forma, e la testa, le braccia, il torso, e le gambe per fin all’ultima cosa, di maniera che il cavo di quella statua, cioè la forma incavata, viene improntata nel cavo con tutte le parti et ogni minima cosa che è nel modello. Fatto ciò, quelle forme di gesso si lasciano assodare e riposare; poi pigliano un palo di ferro che sia più lungo di tutta la figura che vogliono fare e che si ha a gettare, e sopra quello fanno un’anima di terra, la quale morbidamente impastando, vi mescolano sterco di cavallo e cimatura; la quale anima ha la medesima forma che la figura del modello, et a suolo a suolo si cuoce per cavare la umidità della terra: e questa serve poi alla figura; perché, gittando la statua, tutta questa anima, ch’è soda, vien vacua né si riempie di bronzo, che non si potrebbe muovere per lo peso. Così ingrossano tanto e con pari misure quest’anima, che scaldando e cocendo i suoli, come è detto, quella terra vien cotta bene, e così priva in tutto dell’umido, che gittandovi poi sopra il bronzo, non può schizzare o fare nocumento, come si è visto già molte volte con la morte de’ maestri e con la rovina di tutta l’opera. Così vanno bilicando questa anima et assettando e contrapesando i pezzi, finché la riscontrino e riprovino, tanto ch’eglino vengono a fare, che si lasci appunto la grossezza del metallo o la sottilità di che vuoi che la statua sia. Armano spesso questa anima per traverso con perni di rame e con ferri che si possino cavare e mettere, per tenerla con sicurtà e forza maggiore. Questa anima, quando è finita, nuovamente ancora si ricuoce con fuoco dolce, e cavatane interamente l’umidità, se pur ve ne fusse restata punto, si lascia poi riposare. E ritornando a’ cavi del gesso, si formano quelli pezzo per pezzo con cera gialla, che sia stata in molle e sia incorporata con un poco di trementina e di sevo. Fondutala dunque al fuoco, la gettano a metà per metà ne’ pezzi di cavo, di maniera che l’artefice fa venire la cera sottile secondo la volontà sua per il getto. E tagliati i pezzi secondo che sono i cavi addosso all’anima che già di terra s’è fatta, gli commettono et insieme gli riscontrano e innestano, e con alcuni brocchi di rame sottili fermano sopra l’anima cotta i pezzi della cera, confitti da detti brocchi, e così a pezzo a pezzo la figura innestano e riscontrono, e la rendono del tutto finita. Fatto ciò vanno levando tutta la cera dalle bave delle superfluità de’ cavi, conducendola il più che si può a quella finita bontà e perfezione che si desidera che abbia il getto. Et avanti che e’ proceda più innanzi, rizza la figura e considera diligentemente se la cera ha mancamento alcuno, e la va racconciando e riempiendo o rinalzando o abbassando dove mancasse. Appresso, finita la cera e ferma la figura, mette l’artefice su due alari, o di legno o di pietra o di ferro, come un arrosto, al fuoco la sua figura, con commodità che ella si possa alzare e abbassare; e con cenere bagnata, appropriata a quell’uso, con un pennello tutta la figura va ricoprendo che la cera non si vegga, e per ogni cavo e pertugio la veste bene di questa materia. Dato la cenere, rimette i perni a traverso, che passano la cera e l’anima, secondo che gl’ha lasciati nella figura; perciò che questi hanno a reggere l’anima di dentro, e la cappa di fuori, che è la incrostatura del cavo fra l’anima e la cappa dove il bronzo si getta. Armato ciò, l’artefice comincia a tôrre della terra sottile con cimatura e sterco di cavallo, come dissi, battuta insieme, e con diligenza fa una incrostatura per tutto sottilissima, e quella lascia seccare; e così volta per volta si fa l’altra incrostatura con lasciare seccare di continuo, finché viene interrando et alzando alla grossezza di mezzo palmo il più. Fatto ciò, que’ ferri che tengono l’anima di dentro, si cingono con altri ferri che tengono di fuori la cappa, ed a quelli si fermano; e l’un l’altro incatenati e serrati fanno reggimento l’uno all’altro: l’anima di dentro regge la cappa di fuori, e la cappa di fuori regge l’anima di dentro. Usasi fare certe cannelle fra l’anima e la cappa, le quali si dimandano venti, che sfiatano all’insù, e si mettono, verbigrazia, da un ginocchio a un braccio che alzi; perché questi danno la via al metallo di soccorrere quello che per qualche impedimento non venisse; e se ne fanno pochi et assai, secondo che è difficile il getto. Ciò fatto, si va dando il fuoco a tale cappa ugualmente per tutto, tal che ella venga unita et a poco a poco a riscaldarsi, rinforzando il fuoco sino a tanto che la forma si infuochi tutta, di maniera che la cera che è nel cavo di dentro venga a struggersi, tale che ella esca tutta per quella banda per la quale si debbe gittare il metallo, senza che ve ne rimanga dentro niente. Et a conoscere ciò, bisogna, quando i pezzi s’innestano su la figura, pesarli pezzo per pezzo; così poi, nel cavare la cera, ripesarla; e facendo il calo di quella, vede l’artefice se n’è rimasta fra l’anima e la cappa, e quanta n’è uscita. E sappi che qui consiste la maestria e la diligenza dell’artefice a cavare tal cera; dove si mostra la difficultà di fare i getti, che venghino begli e netti; atteso che, rimanendoci punto di cera, ruinarebbe tutto il getto, massimamente in quelle parti dove essa rimane. Finito questo, l’artefice sotterra questa forma vicino alla fucina dove il bronzo si fonde, e puntella sì che il bronzo non la sforzi, e li fa le vie che possa buttarsi, et al sommo lascia una quantità di grossezza, che si possa poi segare il bronzo che avanza di questa materia; e questo si fa perché venga più netta. Ordina il metallo che vuole, e per ogni libra di cera ne mette dieci di metallo. Fassi la lega del metallo statuario di due terzi rame et un terzo ottone, secondo l’ordine italiano. Gli Egizi, da’ quali quest’arte ebbe origine, mettevano nel bronzo i due terzi ottone e un terzo rame. Del metallo elletro, che è degl’altri più fine, si mette due parti rame e la terza argento; nelle campane per ogni cento di rame XX di stagno - et a l’artiglierie per ogni cento di rame dieci di stagno -, acciò che il suono di quelle sia più squillante et unito. Restaci ora ad insegnare, che venendo la figura con mancamento, perché fosse il bronzo cotto o sottile o mancasse in qualche parte, il modo dell’innestarvi un pezzo. Et in questo caso lievi l’artefice tutto quanto il tristo che è in quel getto, e facciavi una buca quadra cavandola sotto squadra; di poi le aggiusti un pezzo di metallo attuato a quel pezzo, che venga in fuora quanto gli piace; e commesso appunto in quella buca quadra, col martello tanto lo percuota che lo saldi, e con lime e ferri faccia sì che lo pareggi e finisca in tutto. Ora, volendo l’artefice gettare di metallo le figure picciole, quelle si fanno di cera o, avendone, di terra o d’altra materia, vi fa sopra il cavo di gesso come alle grandi, e tutto il cavo si empie di cera. Ma bisogna che il cavo sia bagnato, perché buttandovi detta cera, ella si rappiglia per la freddezza dell’acqua e del cavo. Di poi, sventolando e diguazzando il cavo, si vòta la cera che è in mezzo del cavo, di maniera che il getto resta vòto nel mezzo; il qual vòto o vano riempie l’artefice poi di terra e vi mette perni di ferro. Questa terra serve poi per anima, ma bisogna lasciarla seccar bene. Da poi fa la cappa come all’altre figure grandi, armandola e mettendovi le cannelle per i venti; la cuoce di poi, e ne cava la cera, e così il cavo si resta netto, sì che agevolmente si possono gittare. Il simile si fa de’ bassi e de’ mezzi rilievi e d’ogni altra cosa di metallo. Finiti questi getti, l’artefice di poi con ferri appropriati, cioè bulini, ciappole, strozzi, ceselli, puntelli, scarpelli, e lime lieva dove bisogna; e dove bisogna spigne all’indietro e rinetta le bave, e con altri ferri che radono raschia e pulisce il tutto con diligenza, et ultimamente con la pomice gli dà il pulimento. Questo bronzo piglia col tempo per se medesimo un colore che trae in nero, e non in rosso come quando si lavora. Alcuni con olio lo fanno venire nero, altri con l’aceto lo fanno verde, et altri con la vernice li danno il colore di nero, tale che ognuno lo conduce come più gli piace. Ma quello che veramente è cosa maravigliosa, è venuto a’ tempi nostri questo modo di gettar le figure, così grandi come picciole, in tanta eccellenza, che molti maestri le fanno venire nel getto in modo pulite, che non si hanno a rinettare con ferri, e tanto sottili quanto è una costola di coltello. E, quello che è più, alcune terre e ceneri che a ciò s’adoperano, sono venute in tanta finezza, che si gettano d’argento e d’oro le ciocche della ruta, e ogni altra sottile erba o fiore agevolmente e tanto bene, che così belli riescono come il naturale. Nel che si vede questa arte essere in maggior eccellenza che non era al tempo degli antichi.