Lettere (Andreini)/Lettera CXXIX

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Lettera CXXVIII Lettera CXXX
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Simili.


C
HI tarda i vostri passi, chi frena i vostri pensieri, chi lusinga gli spiriti, chi rompe le promesse (ingratissimo giovane) siche conforme à quanto partendo giuraste, & à quanto partito scriveste, non ritorniate à colei, che sin à quest’hora non sò come non habbia sommersi nel proprio pianto i suoi dolorosi martiri? Tardate voi forse à venire discortese, & inhumano, che siete per trar il vostro diletto dalla mia pena? pensate voi, che l’amor, ch’io vi porto debba sempre ne i tormenti matenersi? & io misera penso, che quell’anima finta, che quel cuor pieno d’inganni, ch’altro non hà di stabile, e di proprio che l’infedeltà, debba muoversi à miei prieghi? ah, che troppo mi prometto facendomi à credere, che le mie parole, e le mie lagrime habbiano forza di richiamarlo sì ch’egli à me ne venga. Il perfido, che si fa ricco della moltitudine de’ miei dolori, procurerà più tosto d’accrescergli con la lontananza, che di scemargli col ritorno. In certa è la mia speranza, e certo il mio timore, vero il mio dubbio, e falsa la sua fede, con tutto ciò crudelissimo non posso (e pur conosco i vostri inganni) farmi accorta. Ahi,

[p. 128v modifica]che la propria miseria non basta à farmi savia, che maledetta sia la mia memoria, che di voi contra mia voglia vuol ricordarsi, maledetto sia questo mio cuore, che indurato nella sofferenza dei dolori, non curando il suo danno pur vuol amarvi: ond’io dubbito, che l’amor, ch’io vi porto sopraviverà alla mia vita. Tengo (misera) appresso di me le vostre lettere, nelle menzogne delle quali veggo scolpita l’imagine della vostra macchiata fede, e bench’io le conosca mentitrici, tuttavia le tengo care, e non posso odiarle, di maniera, ch’io temo, che le lettere di cui son formate sieno tanti caratteri d’incantatrici, magie. S’io havessi cuor à ciò bastante doverei o arderle, o non leggerle, o lor non credere. Ma io e non le ardo, e le leggo, e quel ch’è peggio lor credo, perche l’innamorata anima mia piena d’una traditrice rimembranza, ed una vana speranza, comanda ch’io mi torni in memoria le vostre calde promesse, e ch’io senz’altro attenda il vostro desiato ritorno, e vuol quasi à viva forza indur gli occhi miei à veder quel che non veggono, cioè il vostro bel volto, ò ricordo importuno, perche tanto m’incendi? ò lettere messaggiere d’uno spirito inhumano perche siete insieme congiurate à miei mali? dovrei pur accorgermi, che la penna non và diversa dalla lingua del mio Signore, e ch’egli e parlando, e scrivendo mente, per farmi al Mondo miserabil essempio di doglia. O Cielo che tante volte sei stato invocato per testimonio de’ suoi falsi giuramenti, perche non vendichi e te, e me in un tempo medesimo? deh, se non vuoi punir la [p. 129r modifica]sua incostanza punisci almeno la sua empietà; ma perche mi lamento io del Cielo, che non vi punisce quand’io non punisco questo mio cuore, che a danno mio, e vivo, e bello eternamente vi mantiene.