Lettere (Andreini)/Lettera LXXXI

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LXXXI. Della gelosia feminile.

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LXXXI. Della gelosia feminile.
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Della gelosia feminile.


B
EN mi diceste voi, che quella mano bella sì; ma ladra, m’havrebbe anche un giorno di nuovo fatto prigione. Lasso me, io sento più che mai da lei annodato questo infelice cuore, e ben conosco, che ne’ tristi presagi, voi siete pur troppo verace; nè m’è giovato il vantarmi, e ’l giurare, che con intrepida mente, sarei fin’alla morte vissuto libero dalle amorose passioni. Ah che l’esperienza del proprio male non ha potuto farmi à bastanza giuditioso, & accorto; ma

[p. 76r modifica]perche mi lamento io di voi? certo io v’accuso contra ragione, sicome contra ragione si lamenta dell’orgoglio del Mare, colui, che havendo una volta rotto il suo legno in uno scoglio, corre a precipitar di nuovo nel medesimo, & a farci naufragio. Doveva io per una parola lusinghiera, e ’ngannatrice dimenticarmi delle sofferte miserie? doveva io, per un semplice moto, che m’invitò a voi, scordarmi dell’aspro rigore, d’un’indurata voglia? ma che non può la speranza in amore? oh com’ella facilmente persuade un cuor, che per se stesso sia facile à credere. Ella mi persuase à creder veri, i sogni delle vostre parole bugiarde, e non finti, gli inviti della vostra mano (che voglio pur dirlo) rapace; & ecco, che tentato il vostro rigido cuore, lo trovo più che mai ostinato nella sua fierezza; ma com’è possibil’ò Amore, che strale di tempra sì dolce, faccia piaga sì amara? Hor sia che può, che le cose non anderanno, come voi credete, perch’io ò guarirò delle ferite, ò morirò celandole, riputando molto meglio il morire, che altro Telefo chieder à miei nemici soccorso. S’io havessi perduto con la liberta l’ardire, potrebb’esser, ch’io chiedessi piangendo, rimedio à colei, che mi ferì; ma niun tormento sarà mai così fiero, ch’ei possa costringermi à discuoprirvi nelle abbondanti mie lagrime, l’amoroso mio fuoco. Potrete ben farmi sopportar dolore; ma non potrete già fare, che del dolor mi doglia. Discaccia cuor mio i sospiri, e le lagrime, perche l’empia non goda delle nostre miserie Scrivi sopra la porta della tua dura prigione (libero vivo) così [p. 76v modifica]celerai le catene, con le quali se’ cinto. Armati di costanza, e di sofferenza. Combatti contra la ferità della nostra bella nemica, adoperando l’armi sue proprie; e se non hai potuto vietar, ch’ella ti vinca, vieta almeno, che di te non trionfi, accioche ’l fasto della gloria, per nostro male, non la renda più altera. Nascondi nel silentio de’ tuoi martiri, la vergogna della nostra perdita: sia la tua difesa il non lagnarti, e divenendo volontariamente mutolo, segui l’essempio memorabile di quel glorioso Romano, che intrepido, senza far motto, arse l’errante destra. Considera, che non havendo tu potuto vincer l’amoroso desiderio, nè le tue crudi passioni, sarà assai, che tu vinca i tuoi dolori, e sarà tua somma lode, se saprai finger d’esser tuo Signore, quando se’ fatto dell’altrui tirannide servo. Ah non sia vero crudelissima Donna, ch’io v’arricchisca delle mie perdite, havend’io risoluto meco stesso, che la fredda, e morta cenere del mio silentio, cuopra continuamente l’ardente, e vivo fuoco del mio amore.