Lettere (Filippo Sassetti)/Lettera XII

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Lettera XII

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XII.

Al medesimo


Molt’Ill. ed Ecc. Sig. mio.


Le cose del mare sono incerte tanto, che, come direbbero i Portoghesi, non ha chi accerti con esse, e tutto è una ventura. Dispiacque al Buondelmonti non potere imbarcarsi sopra una nave, che si perdè nel cammino in Calis; mutò navile, e trovossi ingannato; sarà venuto dipoi, e fatta reverenza a VS. che tra’ suoi primi desiderj era salutar lei, riverirla, ed obbedirla. Parmi, che computato l’una cosa con l’altra io non istia in capitale tra la lettera di Mes. Piero Vettori, e la morte sua aspettata, e pianta certo, perchè tanto ben comune, e particolare non si può perdere senza grandissimo sentimento; è il vero, che se io fussi venuto quà per trovare una preziosa margherita, che io me ne tornava di presente, he più stimo io quella lettera, e più conto ne terrò, come io debbo, che d’ogni altra ricchezza. Parmi, Signor mio, che le cose si vadano preparando in maniera, che in Aprile a due anni penserò a muovermi di quà; e per satisfare al desiderio non meno suo, che mio, di sapere dei concetti de’ Sinj, credo certo, che io me ne andrò di là. Quei Principi Iaponi troppo tumidi per ventura pe’ molti faovri ricevuti in coteste parti, sono abbassati dal nostro Signore, perchè la nave, sopra la quale e’ passavano in questa di Portogallo, non è scomparsa; e ancorchè si stimi, che ella stia in Mozambique con buono discorso, ne manca la certezza, e se ne sta con sospetto. Quei Padri oggi sono entrati nel Regno della Cina, ma come tutto il fine loro è far Cristianità, non consumano tempo in quello, che non fa a proposito loro, e così troverà VS. quelle lettere de rebus Iaponicis1 tutte dirette a dar conto di questi successi senza più; o se altro vi è, è diretto a questo. Quest’anno passato sono stato dietro a vedere, se io poteva raccapezzare, che cosa fusse il Cinnamono degli antichi, e scrissi a VS. che questo presente le manderei quello, che me ne paresse; ho scritto, ma non so quello, che io mi abbia scritto, e ho messo in una cassa una Pianta di questo mio Cinnamono, la qual va a Lisbona a Carlo Velluti mio Cugino, perchè la mandi a Pisa, e di quivi le sia mandata; che quando segua, e che la cosa sia presente, e non prima, mi sarà grazia col Sig. Neri Neri di vedere anco le parole poste in maniera molto differente da quello, che converrebbe ad un Alterato vecchio, amico del Silente, del Tenero, e degli altri, che trattano diversamente queste cose; ma da un uomo, che stia in India, non so quello si possa desiderare, se non iscusarlo, o mandare frattanto le cose sue al Ziba. Di quegli Alfabeti non ho potuto raccapezzar niente, se non che non sono lettere di queste parti. E’ verità, che mi dice alcuno di questi Gentili, che in Terraferma si ritrovano Colonne antichissime con lettere non intese da nessuno. Innanzi ch’io mi parta mi ho a cavare questa maschera, essendo ancora fra terra alcune Ville, che hanno nelle loro denominazione la parte del nome Greco Poli, e nell’ultimo del nome facendo acuta la sillaba ultima. Del suo suburbano ho fatto molta festa, perchè visitandovi molte volte VS. ne caverò molto, e sarà a parte per conservarvi, e crescere, e dare a VS. quel gusto, e contento, che le desidero da Nostro Signore.


In Coccino a’ 6. di Gennaio 1587. a Nativitate.

Affezionatissimo servitore

Filippo Sassetti.


Note

  1. Ci si riferisce probabilmente all’opera De rebus Iaponicis, Indicis, et pervanis espistolae recentiores. A Ioanne Hayo Dalgattiensi Scoto Societatis Iesu in librum unum coacervatae. Antverpiae, ex Officina Martini Nutii, ad insigne duarum ciconiarum del gesuita John Hay e pubblicato ad Anversa nel 1605. N. d. C.