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Lettere (Filippo Sassetti)/Lettera XX

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Lettera XX

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XX.

A Messer Francesco Buonamici.1


Non avendo scritto a VS. dopo la mia partita da costì, e facendolo al presente, sarebbe necessario, che io moltiplicassi molte scuse, o accuse convenienti al principio di questa lettera, in luogo delle quali ho pensato di lasciare lo spazio convenevole di sopra, per potere con più comodità di tempo satisfare a tal obbligo, trovandomi al presente molto mal disposto a complir con lei. Verrò pertanto a dirle, che io desidererei, che siccome ella ha sentito la risoluzione mia d’andar vedendo il Mondo, ella avesse occasione di lodarla, siccome a me par d’aver cagione di farla, e di porla in opera, come io feci l’anno passato. Sarebbe ancor tempo di dar sodisfazione a VS. di questo mio concetto, ma io non intendo di noiarla adesso con questo proposito, perocchè dal tempo, ch’io mi partii di costà, all’anno passato, quando io mi risolvei di far questo viaggio, tuttochè io ne fussi mai senza voglia, sono accadute tante cose, che mi ci hanno tirato (come si dice) per li capelli, che il raccontarle a chi ha obbligo di legger altro, che ciance di vagabondi, sarebbe cosa da uomo di poco credito, come diceva quel gran Cortigiano, e un far danno al comodo pubblico. Lasciando dunque da parte tutto questo, verrò proponendo a VS. alcune cose, le quali saranno nel concetto suo facilmente cosa trita, e risoluta, ma a me danno che pensare, come quello, che ho smarrito in gran parte i buoni principj della Filosofia, ch’io ebbi già comodo d’intender da lei, e dagli suoi scritti, e particolarmente sopra le cose delle Meteore, sopra le quali io intendo, che si occupi la presente lettera; materia, che al creder mio non sarà discara a VS. per li molti studj fatti da lei sopra questa parte così esponendo i proprj libri di essa, come considerando molti problemi, e questioni particolari di questa materia. La prima cosa adunque, che mi vò ricordando d’averla osservata anco di costà, è la mutazione, e succession de’ venti, scambiandosi quasi semnpre (dico quasi, perchè nelle cose naturali il più delle volte serve d’universale) dalla banda di Levante in questa maniera, che al Tramontano succede il Greco, a questo il Levante, al Levante lo Scilocco, a questo il Mezzogiorno, e il Garbino2, e poi il Ponente, e ’l Maestro fino che torni a Tramontana un’altra volta; ed è questa successione così osservata, che stando il vento al segno di Scilocco, e passando in un tratto a Tramontana, li naviganti non se ne fidano, aspettando tostissime mutazioni, e che debba rimettersi al segno di prima, quasichè quella variazione procedesse da qualche causa accidentale, che ben presto si possa rimuovere, e lasciar d’impedire quello, che prima si faceva. Questi, che conversano con la bussola da navigare, veggendo la mattina il Sole in Levante, la sera al Ponente, ed al mezzo dì al Mezzogiorno, fanno ne’ loro calculi conto, che a mezza notte e’ sia a Tramontana, quasichè il Sole circondi, e non parta l’Orizzonte; e perciò non ha luogo, al parer mio, la risposta loro, che questo moto de’ venti seguiti il moto del Sole, perchè stando il vento nel segno di Ponente, ei doverebbe di subito mutarsi al segno di sotto terra, dove il Sole cammina, e non per Maestro. Non è di minor considerazione appresso di me l’altra mutazione de’ medesimi venti, che accade da stagione a stagione sì in queste parti d’Europa fuori dello Stretto di Zibaltar, come nelle parti dell’India Occidentale, e per questa costa d’Affrica, e d’Etiopia, d’Arabia, e di Persia, d’India, e di tutte l’altre navigazioni scoperte da cent’anni in quà; in ciascuna delle quali in una stagione tira un vento sempre, o con ben rade, e piccole intemrissioni; mutata la stagione, è mutato il vento per tutto il tempo, ch’ella dura, come per cagione d’esempio, entrando quì la Primavera si tirano i venti ai segni Boreali, e particolarmente al Greco, e al Tramontano, dove si trattengono fino all’entrare dell’Autunno, e qualche cosa di più, senza far variazione considerabile, e sempre si mutano alcuna volta, e data la lor giravolta, si tornano a rimettere al segno di prima in brevissimo tempo. Cominciando poi l’Autunno, si pongono i venti di fuori, che escono dal mare, detti da costoro ventavoli, nel segno di Libeccio, e Mezzogiorno, dove si trattengono (come hanno fatto quest’anno particolarmente) quattro mesi senza riposare nè se, nè altrui, se non una tal volta nella congiunzione, e nella volta della Luna faranno un poco di mutamento, ma si riducono al segno solito in meno di che, e così come con questi venti piove perpetuamente, così con gli altri non piove mai in perpetuo. Queti venti in tal modo regolati son da costoro domandati Monzone, vocabolo, che dovette uscire d’India, dove sono osservati, intanto che in una stagione si navica in un verso, e nell’altra in un altro. Il tentare di fare altrimenti, come ne’ nostri mari ognora si vede fare, navigandosi con venti del costato per ambedue le parti, è un andare a perdersi manifestamente, e particolarmente in que’ mari, che sono da Malacca alle Molucche, e dalla China al Giappone. Dice l’istoria, che questi venti Libecci, che tirano continuamente l’invernata in questa costa, furono quelli, che fecero stimare al Colombo, ch’ella fusse la terra, dove si levasse l’esalazione, che gl’ingenera, ancorchè un Cortigiano, sotto spezie di difenderlo, scriva, ch’ei furò l’invenzione di quel mondo a un Piloto Portoghese, che da un tempo risolutissimo, venendo d’Inghilterra, fu portato a quel paese; basta questo non è il luogo adesso di tal questione. Io mi dubito bene, che non sia stato fatto filosofare dopo la morte, o che l’argomento in quel caso non fusse ben fondato, per la speranza, che io dirò appresso, fatta per coloro, che partendosi di quì in fine di Marzo, vanno navigando alla volta di Mezzogiorno, i quali parimente potranno dare molte difficultà, a chi tiene, che i venti Boreali non passino il Tropico del Cancro verso Mezzogiorno, perchè partendosi di quì con venti Grechi, o Tramontani, vanno navigando con essi insino in altura di 4. o 6. gradi di questa parte Settentrionale, dai quali venti in detto clima sono lasciati in un tratto, di maniera che non pure e’ passano il Tropico, che è in 23. gradi e mezzo, ma arrivano quasi alla metà della Zona torrida; e un mio amico, che stava di stanza nel Castello di Mina3, che è nella costa d’Etiopia in 6. gradi, o così d’altura, mi diceva, che questi venti in quelle parti non si sentono mai all’altezza d’uomo, ma ben si vede piegarsene l’erba, quasichè vi giungano consunti, e ridotti al niente. Nondimeno io credo, che questa particolare obiezione abbia fallenza, di che ce ne sono due segni considerabili: l’uno è, che coloro, che vanno di quì a quelle parti verso Mezzogiorno con altri venti, che con li consueti Greco, e Tramontana (come l’anno passato intervenne a noi, che vi arrivammo co’ Maestrali) subito che egli scoprono l’Isole della Madera, e delle Canarie, trovano il vento Greco, il quale, per esser gelato sempre, è da costoro domandato Brisa che dee forse volere inferire la nostra .... L’altro segno è, che coloro, che vengono navigando di verso Mezzogiorno a queste parti, ancorachè sia il cuore del nostro inverno, da 6. gradi d’altura in quà trovano questi venti Grechi, co’ quali voltano la prua per Maestro, e vengon salendo finchè sieno in altura di 28. e 30. gradi, nella quale porzione stanno l’Isole dette di sopra, dove forniscono quei venti Grechi, ed in quella stagione d’Inverno trovano quì i Libecci, co’ quali se ne vengono a questo segno a loro piacere. Dal qual processo si cava questo, che quelli, che navigano di quì con vento Greco, o Tramontano fino all’altura di 4. o di 6. gradi, ancorchè paiano navigarvi con un vento, come e’ navigano, quanto al punto dell’Orizzonte dove nasce, nondimeno quanto alle terre dove si crea, e’ sono due, perchè uno esce dalla terra nostra di quì, l’altro daquell’Isole, dimanierachè in queste parti la sentenza sarà vera, che questi venti Tramontani non passino, e forse non arrivino sino al Tropico del Cancro. E poichè i venti Libecci, che fanno quì l’Inverno, son tornati dai 2o. alli 30. gradi verso di noi, e quindi per indietro tirano que’ Grecali, che nascono da quell’Isole, non fu vera la conjettura del Colombo, che questi venti uscissero di quelle terre nuove, che egli discuoprì, i venti delle quali certo non arrivano a’ queste parti. Non è nè pur vero quello, che è detto, che il calor del Sole, e il moto concitato dell’aria dissipino i venti nella zona Torrida, perchè vi si trovano molte volte grandissimi, intanto che molte volte bisogna ceder loro, ed ammainar le vele fino a quell’altura, ch’io dico, di 4. in 6. gradi, dove, com’io ho detto sopra, e’ si resta come resterebbe di correre uno, a chi d’un colpo fussero tagliate le gambe; e da quì verso Mezzogiorno, per navigare, bisogna aspettare certe burrasche, che i Portoghesi addomandano Troccoadas4, le quali entrano nabissando con furia di venti, che pare che il Mondo voglia subisare, durando 2. 4. e 6. ore, e poi piove, e calma il vento, come s’ei non fusse mai stato, e fa allora il Sole l’ufizio suo. Vassi con queste burrasche, o Troccoade, quando più, e quando meno, conforme al tempo, nel quale altri si trova in quel clima. Per chi v’è colto là in Giugno, vi si trattiene alle volte 40. 50. e 60. giorni con molto, anzi infinito travaglio de’ naviganti, che per lo più, mangiando male, e bevendo peggio, vi s’ammalano e muoiono miseramente. Questo clima, o luogo è domandato da loro la Costa di Guinea, per esser di fronte a quella parte d’Etiopia, che è chiamata di questa maniera. Andandosi innanzi con queste burrasche, si dà in venti continui, i quali per questo, e per essere in tutti gli altri effetti differenti da quelle burrasche, sono da costoro domandati generali, i quali in quei tempi intorno a mezzo Maggio tirano dalla banda di Scilocco, e sono pure di quelli, che si addomandano Monzone, perchè postisi una volta in quel segno, vi si fermano fino all’altra stagione, nella quale non trapassano al segno opposto a Scilocco, che è Maestro, ma salgono da Scilocco a Greco, e quivi intorno si trattengono fino al tornare dell’altra stagione. Ora chi si parte di quivi di buon’ora gli trova molto tosto, come in 4. o 5. gradi da questa parte, non essendo ancora calati a Scilocco; ma stando verso Levante se ne servono alla navigazione buona, volgendo la prua per Mezzogiorno, e si vanno al cammino sicuro, e buono. Ma chi parte tardi, come facemmo noi, gli trova laggiù bassi, e non può attraversare la Linea Equinoziale, se non a sghembo, e vassi a dare, come demmo noi, in certe secche, le quali sono nella Costa di Verzino in 17. gradi, e mezzo dalla banda di Mezzogiorno; donde volendo uscire, e andare al cammino dell’India, bisognerebbe volgere la prua per lo vento Scilocco, donde appunto tira il vento; e perchè ei dura a tirare i bei 4. o 6. mesi, miglior consiglio è tornarsene addietro, come noi facemmo, che aspettar l’altra stagione, perchè intanto si consumerebbero le vettovaglie, e morrebbe in quell’intemperie d’aria tutta la gente. Ora quello, che mi dà particolar maraviglia in questo processo, è, che questi venti Scilocchi, che soffiano dalla banda di là dell’Equinoziale, e dall’altro Emisfero, per così dire, cominciano a tirare, e donde ei si comincino, continuano fino alla Linea; ma il più delle volte arrivano fino a 6. gradi da questa parte; sicchè coloro, che di là vengono, sono accompagnati da essi fino in detto clima, e coloro, che di quà vanno, quivi gli ritrovano; e li nostri venti Grechi, e Tramontani, com’io ho detto di sopra, vengono meno da questa medesima banda in 6. gradi, essendo pure eguale la concitazione dell’aria, e per li suoi tempi il calor del Sole. E quanto alla causa materiale, e copia di essa, pare, che dovess’esser maggiore, e più continua della banda nostra, perchè la terra di quell’Etiopia, oltre all’Equinoziale, donde quelli Scilocchi hanno origine, si ritira gran tratto verso Levante più che non fa questa di sopra, di maniera che quando il clima fusse egualmente temperato, come si può dire, che sia quell’esalazione, che fa il vento dall’altra parte, doverebbe prima estinguersi, che non fa quest’altra. Coloro, che fanno miglior cammino, che noi non facemmo, e che lasciate queste secche, dove noi c’impanammo, a man dritta passano avanti scorrendo più in basso in 23. gradi da quella parte, scoprono una punta, che domandano Capo freddo, col qual aggiunto si chiama un gran fiume, che quì sbocca nel mare, detto così per la qualità del vento, ch’esce dalla bocca di esso, il quale è tanto grande, che alle volte le navi, che non son preste a piegare le vele, sono inghiottite dal mare. La qual cosa dell’uscire gran venti dalle bocche de’ fiumi è comune in ogni luogo; e il golfo del Lione, che si passa venendo in Spagna di costà, non è tempestoso quant’egli è, se non per li molti venti, che escono dalle bocche de’ gran fiumi, che hanno foce in Provenza, Linguadoca, Acquamorta, e Narbona, i quali impacciandosi l’uno con l’altro fanno quelle traversìe tanto furiose. La cagione, perchè le bocche de’ fiumi sputino gran vento, mi par considerabile, perchè come parti umide dovrebbero far effetto contrario, estinguendo la materia loro. Non so, se quel moto dell’acqua movendo l’aria, che soprastà, si chiama l’esalazione circonvicina, siccome ad una parte del corpo, che sia percossa, si muovono gli spiriti, e gli altri umori; e che il moto dell’acqua muova l’aria, che le soprastà, non se ne può dubitare; e nella state, quando quì tirano que’ venti Tramontani, che spesso son molto grandi, e molto freddi, a mezzo giorno il Sole gli fa quietare, e rimarrebbe un caldo insoffribile; ma cominciando a crescere, e entrare la marea, si muove seco un vento freschissimo, sano, e giocondo, purchè sia preso con modo, il quale è domandato da costoro Vivazione, quasi rivolgimento dell’aria, che con l’acqua all’uscire se n’era partito, e allora ritorna, e si volge. Queste sono le poche osservazioni de’ venti fatte da me nello star quì, e nel navigar continuamente 5. mesi per quest’Oceano senza toccare, o veder terra.

Sopra le piogge, che fanno in quella Guinea, e Zona torrida in quel clima da 6. gradi fino sotto la Linea Equinoziale, non mancherebbe che considerare, e particolarmente per esser molte, e molto grandi, che non pure vi piove spesso, ma acque grandissime, le quali talvolta vi durano due, tre giorni continui con ben poca intermissione; e questo accade stando già il Sole dalla banda di Tramontana, il qual tempo in quel clima, e nell’altro Emisfero ancora fino a 23. 0 24. gradi del Polo Australe è degli abitatori delle terre, che sono in quel clima, domandato Inverno, non perchè freddo vi sia, ma per cagione di queste piogge, le quali, continuando in terra per grandissimo tratto dalla banda d’Etiopia, sono credute da molti, e non senza gran fondamento al parer mio, cagione della crescenza del fiume Nilo. Parmi considerabile la causa di queste piogge in quel clima, perchè non piovendo quì mai dall’Aprile all’Ottobre, che non può essere se non per consumare il Sole la materia, di che si genera la pioggia in quel clima, piova così continuamente dove il Sole è più potente, e caldo maggiore. Nè vale, al parer mio, il dire, che quì è materia preparata, e che si prepara continuamente, perchè ella è quivi ancora, e c’è il mare comune all’una parte, e all’altra. Del piovere in Guinea l’acqua, che è come tiepida, non mi pare da meravigliarsene, perchè l’ambiente caldissimo la potrà riscaldare. Mi par ben considerabile il piovere alle volte certa acqua, che abbrucia i panni come l’acqua da partire, essendo i vapori, donde essa si genera, tirati di sul mare, e giorno per giorno, e non come le nostre piogge d’Autunno, che per esser di materia temperata con esalazione terrestre, e ricotta dal calore della state, pare che tirino a questa natura. Parevami ragionevole, che dovesse cadere della grandine in quella parte, la qual cosa io pure non vidi, ed anche fra tanta gente non aveva nessuno, che l’avesse mai veduta. La materia, com’io dico, v’è preparata ad ognora; il caldo vi è grandissimo, dal quale potrebbe nascer l’effetto dell’antiparistasi. Il Sig. Augusto Tiri, che in tornando addietro trovai quì, mi risolveva la difficultà dicendo, che sebbene vi era la materia, e il gran caldo, donde come da causa lontana procede quell’effetto, ch’e’ vi mancava l’efficiente prossimo positivo, ch’era il vapor freddo, dal quale procede immediatamente la congelazione; la qual risposta non so se mi risolve la quistione, perchè i vapori nel tempo, che presso di noi si genera la gragnuola, sono in atto caldi, e umidi, sicchè non possono acquistare tanta freddezza, quanta si ricerca per congelare l’acqua in diaccio, se non da caldo grande, che gli circondi per via d’antiparistasi; e come quivi sieno i vapori, e vi sia il caldo a dismisura, domando perchè causa e’ non vi si raffreddino per poter congelar l’acqua, com’e’ dice, ch’e’ fanno da noi? Ma ripigliando un poco questa materia da capo, noi abbiamo, che il vapore torna a basso in guazza, in brinata, in pioggia, in neve; la gragnuola vi si genera d’acqua, e non dal vapore; la guazza, e la pioggia ricercano minor freddo nella lor generazione, che la brianata, e la neve non fanno, ed a farsi dell’acqua diaccio vi vuole, al parer mio, molto maggiore, che in nessuna dell’altre, essendo esso freddo smoderato. Ora se nella generazione della gragnuola si ricerca quel vapor freddissimo, che si dice, dovendo quello essere per lo meno tanto freddo quanto la medesima grandine, come non cadde in neve quando prima si sentì raffreddata dall’ambiente, e prima che di venire a tanto freddo, quanto si ricerca alla generazione della neve, come non cadde in acqua, e in pioggia? Sicchè senz’altra ragione io non intendo di moltiplicare questo ente nel mio cervello, non mi parendo necessario. Dall’altra banda se a congelare l’acqua in gragnuola bastasse il caldo ambiente solamente, io non so perchè l’acqua, che è in un catino esposta al Sole, non si congela, ma si riscalda, così come quella, che sta al fuoco? Non so, se il sito si ha tanto che fare, che basti nella generazione di ques’affezione, perch’egli è scritto, che su i monti alti non cade la grandine, ma nelle valli, dove l’agitazione del vapore può far movimento momentaneo a quest’effetto: ma se il sito così fatto ha da servir solamente alla moltiplicazione del caldo, e quì egli è moltiplicatissimo, non so anche perchè e’ vi si ricerchi. D’altre affezioni non vedemmo gran diversità; tuoni non molti; saette rare; stelle cadenti senza numero, e grandi intanto, che dipoi d’esser arse rimane impresso il lume nell’aria. Un tifone vedemmo di maravigliosa bellezza, se, come molto presso, e’ non ci avesse fatto molta paura, e tanto più, che gli uomini di nave si credevano di forarlo con un tiro d’artiglieria, come io diceva loro, ed egli ci si andava pure sempre ascoltando, ma alla fine rimase da una parte, a poco appresso svanì: L’aria era torbida come quando apparisce l’arcobaleno, e più, sicchè senz’altra pioggia bagnava; il Sole si scorgeva chiaramente; sopra il mare era una nuvola tonda in giro, che terrebbe dugento braccia di diametro, alta dal suolo marino una cosa d’otto braccia, pure continuata sino sopra l’acqua; movevasi in giro concitatissimamente, e nel muoversi cavava il mare a scarpa in quella maniera, ancorachè non molto a fondo, e giravalo seco velocemente; il colore della nuvola era assai chiaro, e del mezzo usciva com’una tromba, o una manica di fumo color negro come fumo di pece, dalla quale similitudine addomandano Magnas quell’affezione, e il fumo continuava fino alle nuvole, e tutta l’attenzione durò circa un quarto d’ora. In questa Costa di Guinea, dicono i marinari, vedervisene molte, e uno scrivano raccontava d’una grandissima maraviglia, ch’egli vide nel mar di Persia, come farebbe sbarbare un grandissimo scoglio; altri se ne ridevano: e ne’ mari, che si navicano dall’India alla China, ne sono assai, e, com’io dico, i Portoghesi le dimandano Magnas; e Tifoni chiamano un’altra affezione molto più pericolosa al parer loro. Questo è un vento furiosissimo, il quale in poche ore gira tutto l’Orizzonte, e guai a quelle navi, ch’egli trova con le vele alzate, perchè le sommerge senza rimedio; par quasi che si possa ragionevolmente chiamare Tifone, venendo questa tale esalazione, che è quel vento racchiuso in una nuvola, che circonda tutto l’Orizzonte, e non la lascia uscire, e per la capacità del luogo si gira da’ lati, e non esce all’in su, stretta anche forse dalla parte dell’aria, che le soprastà. Iridi si socrgono senza fine, e quello che a me fu cosa nuova in questa materia, fu il vedere una notte due ore avanti giorno, andando giù la Luna quasi piena a tramontare, dalla parte opposta di Levante l’ Ibride come si vedeper refrazione de’ raggi solari. Era l’arco distinto in tre colori; quel di dentro era quasi un chiarore, che terminava di fuori in un bigio assai scuro, ed al converso di questo era un’altr’arco di colore al nero molto poco differente. S’e’ fu caso il trovarsi le nuvole in disposizione tale, che ogni nube avesse fatto quell’apparenza, o che pure ella fusse affezione della Luna, non so. Vedonsi aree intorno ad essa, e cerchi intorno alle stelle principali senza novero, e le macchie della Luna così in questo come nell’altro emisfero servanti sempre alla vista un medesimo sito, tenendo volta tra il Maestro, e ’l Tramontano quella parte, che ci pare la testa, quasi che il vento soffiasse di là, e dandole in capo le scendesse per la faccia. Il Cielo dall’altra parte di Mezzogiorno è più povero di stelle assai, che non è dalla nostra, e chi lo spogliasse del Centauro, e della Nave d’Argo lo lascerebbe quasi ignudo, ma in queste due immagini ve ne sono molte, e molto belle, e molte ne mancano di esse ne’ globi celesti. Ne’ piedi di dietro del Centauro sono le quattro stelle, che domandano il Crufero, dell’una delle quali se ne servono a pigliare l’altezza del Polo australe, non però in altra maniera, che si facesse per qualunque altra stella, della quale fusse nota la declinazione, come di quella che è sotto l’Equinoziale per la banda del Polo Australe 30. gradi, sebbene gli Stellografi la pongono 28. solamente. Ne’ piedi davanti di questo animale ne sono due segnalate, ma l’una di esse con quella, che è in un remo della nave detta Canopo, contendono di grandezza, e splendore col Cane maggiore, tanto son grandi, e luminose. Coloro, che navigando arrivano fino a 37. gradi d'altura dall'altra parte Australe, affermano sentirvisi il medesimo freddo, che si sente di quà ne' paesi freddissimi di Germania, e d'Inghilterra, e comecchè il Sole sia appresso a loro più che non fa a noi in questo parallelo, dove pure l'Inverno si sente l'aria temperatissima, io vo veggendo, se il mancamento delle stelle avesse che fare in questo caso. Circa al mancamento delle stelle mi sovviene quello, che Plauto scherzò in una sua Commedia, dov'egli introduce per Prologo la stella d'Arturo, che discorrendo dell'ufizio delle stelle dice, che la notte scendono in terra per considerare l'azioni umane, e rapportar tutto a Giove. Ora perchè in quel tratto Meridionale pochissima gente vi ha, pochissime stelle vi si richieggono, le quali considerino l'azioni loro. Partendosi di quì per la volta di Mezzogiorno non si vede, nè si trova pesce nel mare (tuttochè alla riva di quà ne sia ricchissimo) se non qualche Balena. Entrando nella Zona calda, in 12., e 15. gradi, si cominciano a trovare certi testugginoni sbardellati5, ed entrando più a dentro in Guinea, assai quantità, ma poco differenti tra loro. Sonvi una forte che domandano Bonitti, detti Pelamis vera seu Thunnus Australis dal Rondelezio6.

Note

  1. Francesco Buonamici (1530 - 1603) studioso e commentatore della filosofia aristotelica e professore universitario a Pisa. Ebbe come allievo Galileo Galilei, al quale instillò l’idea della necessità del metodo empirico per provare le teorie scientifiche. N. d. C.
  2. Nome dell’epoca che indica il Libeccio. N. d. C.
  3. Il Castello di São Jorge da Mina o semplicemente Feitoria da Mina, era una fortezza edificata dai Portoghesi nell’antica Costa d’Avorio nell’attuale territorio del Ghana, intorno al 1482, diventando il più antico avamposto commerciale nel Golfo di Guinea. N. d. C.
  4. Trovoada in lingua portoghese significa tempesta. N. d. C.
  5. Ovvero grandissimi, sbardellato è participio del verbo sbardellare ovvero domare. Un essere sbardellato è un essere sfrenato, anche nelle misure, come in questa particolare accezione.
  6. Guillame Rondelet (1507-1566), naturalista ed anatomista francese.