Lettere (Machiavelli)/Lettera XIII a Francesco Vettori

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Lettera a Francesco Vettori

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Lettera a Francesco Vettori
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Magnifico oratori florentino Francisco Victorio benefattori suo observandissimo.

Magnifico oratore. Egli è per certo gran cosa a considerare quanto gli huomini sieno ciechi nelle cose dove e' peccono, et quanto e' sieno acerrimi persecutori de' vizii che non hanno. Io vi potrei addurre in exemplis cose greche, latine, hebraiche, caldee, et andarmene sino ne' paesi del Sophi et dei Prete Janni, et addurreve'li, se li exempli domestichi et freschi non bastassino. Io credo che ser Sano sarebbe possuto venirvi in casa dall'un giubbileo all'altro, et che mai Filippo harebbe pensato che vi desse carico alcuno; anzi gli sarebbe parso che voi dipigneste ad usar seco, et che la fosse proprio pratica conforme ad uno ambasciadore, il quale, essendo obbligato ad infinite contenenze, è necessario habbia de' diporti et delli spassi; et questo di ser Sano gli sarebbe parso che quadrasse appunto, et con ciascuno harebbe laudato la prudenza vostra, et commendatovi insino al cielo di tale electione. Dall'altro canto, io credo che se tutto il bordello di Valenza vi fosse corso per casa, non sarebbe stato mai possibile che il Brancaccio ve ne havesse ripreso, anzi vi harebbe di questo più commendato che se vi havesse sentito innanzi al papa orare meglio che Demosthene.

Et se voi havessi voluto vedere la ripruova di questa ragione, vi bisognava, senza che loro havessino saputo delli ammonimenti l'uno dell'altro, che voi havessi fatto vista di credere loro, et volere observare i loro precepti. Et serrato l'uscio alle puttane, et cacciato via ser Sano, et ritiratovi al grave, et stato sopra di voi cogitativo, e' non sarebbono a verun modo passati quattro dì, che Filippo harebbe cominciato a dire: Che è di ser Sano? Che vuol dire che non ci capita più? Egli è male che non ci venga; a me pare egli uno huomo dabbene: io non so quel che queste brigate si cicalano, et parmi che egli habbia molto bene i termini di questa corte, et che sia una utile bazzicatura. Voi doverreste, ambasciadore, mandare per lui. Il Brancaccio non vi dico se si sarebbe doluto et maravigliato della absenzia delle dame, et se non ve lo havessi detto, mentre che egli havessi tenuto vòlto il culo al fuoco, come harebbe fatto Filippo, e' ve lo harebbe detto in camera da voi a lui. Et per chiarirvi meglio, bisognava che in tal vostra disposizione austera io fussi capitato costì, che tocco et attendo a femmine: subito avvedutomi della cosa, io harei detto: Ambasciadore, voi ammalerete; e' non mi pare che voi pigliate spasso alcuno; qui non ci è garzoni, qui non sono femmine; che casa di cazzo è questa?

Magnifico oratore, e' non ci è se non pazzi; et pochi ci sono che conoschino questo mondo, et che sappino che chi vuol fare a modo d'altri non fa mai nulla, perché non si truova huomo che sia di un medeximo parere. Cotestoro non sanno che chi è tenuto savio il dì, non sarà mai tenuto pazzo la notte; et che chi è stimato huomo da bene, et che vaglia, ciò che e' fa per allargare l'animo et vivere lieto, gli arreca honore et non carico, et in cambio di essere chiamato buggerone o puttaniere, si dice che è universale, alla mano et buon compagno. Non sanno anche che dà del suo, et non piglia di quel d'altri, et che fa come il mosto mentre bolle, che dà del sapore suo a' vasi che sanno di muffa, et non piglia della muffa de' vasi.

Pertanto, signore oratore, non habbiate paura della muffa di ser Sano, né de' fracidumi di mona Smeria, et seguite gli instituti vostri, et lasciate dire il Brancaccio, che non si avvede che egli è come un di quelli forasiepi, che è il primo a schiamazzare et gridare, et poi, come giugno la civetta, è il primo preso. Et Filippo nostro è come uno avvoltoio, che quando non è carogne in paese, vola cento miglia per trovarne una; et come egli ha piena la gorga, si sta su un pino et ridesi delle aquile, astori, falconi et simili, che per pascersi di cibi delicati si muoiono la metà dell'anno di fame. Sì che, magnifico oratore, lasciate schiamazzare l'uno, et l'altro empiersi il gozzo, et voi attendete alle faccende vostre a vostro modo.

In Firenze, addì 5 di gennaio 1513.

Niccolò Machiavelli.