Lettere (Sarpi)/Vol. II/149

Da Wikisource.
CXLIX. — A Filippo Duplessis Mornay

../148 ../150 IncludiIntestazione 26 giugno 2016 75% Da definire

CXLIX. — A Filippo Duplessis Mornay
Vol. II - 148 Vol. II - 150
[p. 109 modifica]

CXLIX. — A Filippo Duplessis Mornay.1


Non senza afflizione dell’animo, mi accorgo che lo zelo della pura Religione va negli uomini di queste parti raffreddandosi: il che ci dimostra o che esso non procedeva da Dio, o che noi siamo decaduti da quella grazia ch’egli aveva in noi cominciato ad operare. Se di ciò, poi, vorremo discorrere secondo le ragioni umane, due troveremo esserne le cause: l’una, che la nota meretrice2 avendo [p. 110 modifica]sperimentato che le minacce e gli aspri modi a nulla giovavano, diedesi a far carezze: l’altra, che in mezzo a questo superlativo rumore d’armi, uno è il pensiero di ambedue le parti; che, cioè, si mantenga la pace d’Italia; mentre, per lo contrario, noi avremmo ragioni assai per desiderare la guerra. Nè già per questo noi la scansiamo; ma solo dilazioniamo di farla in tempo e stato di cose meno opportuno.

Non so affidarmi nei moti della Germania: quei popoli io vedo deboli e divisi. I Batavi, all’opposto, sono forti, concordi, industriosi: in questi è la mia speranza. Spero altresì che in breve sarà stabilita una scambievole e ordinaria ambascería tra essi ed i Veneziani: il che gioverà non soltanto ai maneggi politici, ma eziandio alla Religione riformata, perocchè questa potrà esercitarsi in casa del Legato. Sento che ancora i Grigioni pensino ad avere un agente pubblico in Venezia: di che nulla sarebbe al presente più opportuno, perchè ad esso farebbero capo le migliaia di essi che qui soggiornano; e, che più importa, l’esercizio della Religione diverrebbe libero ancora agli Italiani.

In quanto spetta alle altre cose, non potrebbero con sicurezza mandarsi le lettere pel nuovo ambasciatore Veneto, il quale è per venire costà. Noi facciamo tutto quello che ci è possibile; tuttavia con cautela di non chiuderci l’adito alle opportunità maggiori che fossero per venire. I Fiorentini vanno macchinando una lega generale fra tutti i principi [p. 111 modifica]di Religione romanesca: il che non può dispiacerci, come utile esempio ed eccitamento a quei che professano la Religione riformata. Faccia Dio che ogni successo ridondi finalmente a sua gloria; mentr’io lo prego che voglia rendere la S.V. eccellentissima sempre più adorna di tutte le sue grazie. Stia sana.

14 agosto 1610.




Note

  1. Dalla Corrispondenza più volte citata, e colla stessa credibile indicazione: De Padre Paulo. È anzi fra quelle che dai nemici della memoria del Sarpi, non meno acerbi di quelli ch’egli ebbe mentr’era in vita, sono più gravemente incriminate di protestantismo, e della maligna (taluno anche disse proditoria) intenzione d’introdurre in Venezia e in Italia la riforma. Noi lasciamo che ne facciano da sè giudizio i lettori, abbastanza d’altra parte illuminati per quello che altri ne ha detto nella Prefazione.
  2. Questa qualificazione di meretrice applicata alla curia romana è ancora nella Lettera CXX, diretta al De l’Isle (tom. II, pag. 3). La usarono anche Dante e il Petrarca; nè per ciò alcuno li chiamò traditori d’Italia nè di Firenze nè di Toscana!!