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Lettere (Sarpi)/Vol. II/198

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CXCVIII. — Al signor De l’Isle Groslot

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CXCVIII. — Al signor De l’Isle Groslot
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CXCVIII. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Sì come sentii sommo dispiacere per la nuova dell’indisposizione di V.S., così mi son rallegrato molto vedendo la sua delli 16 gennaio; e [p. 279 modifica]particolarmente ch’Ella mi fa menzione d’aver sentito l’indisposizione della gotta, e non mi dice cosa alcuna di nefritica, che mi dava maggior travaglio. Vedo ancora il carattere di questa presente simile agli altri consueti; il che mi dà speranza che la mano ritornerà allo stato di prima, come prego la divina Maestà, che voglia concedergliene la grazia.

Ricevei al tempo suo quella delli 7 decembre, come credo averle significato. La lite dei Gesuiti, e l’arresto pronunciato in quella un mese fa, dà motivo a ragionar assai, principalmente per due ragioni. L’una, perchè ne sono venuti diversi esemplari, e tutti di varie forme; la seconda, perchè pare interlocutorio e non definitivo, onde vien dubitato che, per le solite arti, in fine siano per restar superiori. La prima difficoltà mi è stata risoluta da V.S., ma in maniera che mi accresce la seconda; perchè chi ha potuto far alterare il pronunciato, molto più potrà far riuscir a suo disegno quello che si doverà pronunciare. Ma sia quello che si voglia, mi par però gran passo, che si sia apertamente parlato contro di loro, e che debba uscir in stampa l’azione; cosa che tanto desidero, quanto dubito che per qualche arte non sia impedita. Ma come e per che causa il principe e li due vescovi siano intervenuti nel giudicio, è cosa che sommamente desidero sapere, riputando che in questo particolare sia gran parte del misterio.

La risoluzione di demolir Borgo in Brescia,2 saputa qui già molti giorni, è stimata cosa di gran conseguenza; e per me, debbo dire che nessuna delle [p. 280 modifica]cose occorrenti nelli governi di Stato presenti mi par meno intelligibile. E la deposizione di Monsieur de Sillery3 mostra che le cose non possono restare nella quiete presente, e mi par gran prudenza de’ Reformati il lasciare che gli altri comincino la giostra, e restar fuori di interessi; e differire ancora le loro risoluzioni, mi pare che sia certificarsi tanto più di ricever soddisfazione.

Per passare alle cose di qua, è necessario che per qualche giorno le dimande di Spagna dormano; perchè essendo morto l’imperatore, il papa e Spagna hanno interesse di star uniti per li rispetti comuni. Si vede ben chiaro, che o veramente Matthias sarà eletto imperatore presto, ovvero si darà in un lungo e difficile interregno. Ma io credo che succederà il primo, e tutto per colpa principale d’Inghilterra, quale è più dottore che re. Io sono ben certificato che il papa, il quale suole esser assai negligente e non pigliarsi pensiero di tutto quello che succede di là da monti, a questo pensa, ed è molto afflitto, e credo che lo spaventi più la vergogna di perder una tanta pretensione, che nissun’altra cosa.

La differenza tra Spagna e Savoia, per la quale il re ha licenziato li ambasciatori del duca, era creduto che si dovesse accomodare dando qualche soddisfazione al duca; ma non pare che la cosa sia ancora in buon cammino, perchè di ciò non si vede ancora principio; anzi, in contrario, nuovamente il duca ha richiamato li suoi ambasciatori. Con tutto [p. 281 modifica]ciò, io credo bene, che questa differenza non partorirà alterazione di cose.

L’abbate di Bois non fu messo in monastero alcuno, ma nelle prigioni dell’Inquisizione; e fu impiccato nella maniera che io scrissi a V.S. Tutta Roma lo sa; ma la corte dell’ambasciatore di Francia dice che fu un altro, con riso però di chi lo ode.4

Monsieur Assellineau m’ha mostrato il capitolo della lettera di V.S., dove narra la cosa di Castrino: la quale è vera, ma è vecchia di più d’un anno, e il Padre ne fu avvisato allora, e pertanto cessò di scriverli. Non sa però se quelle lettere sono state mandate in Roma. Questo già non è vero, che di là siano andate in Venezia, nè meno che per ciò sia avvenuto alcun male; nè esso Padre crede che sebbene fossero mandate, potessero partorir niente: nondimeno, stimando ogni cosa come si conviene, cessò allora di scrivere, con proposito di non scrivere mai più.5 Io son risoluto in me medesimo di non aver familiarità alcuna con gli ambasciatori di Francia, per li rispetti saputi da V.S., e per altri.

Rendo molte grazie a V.S. per la lettera che mi ha mandato per mostrar al Gussoni. Per quella strada continueremo la nostra communicazione; e quando egli anderà in Torino, darò ordine che Barbarigo li dia istruzione del modo che dovrà tenere. V.S. lo potrà aver per gentiluomo di bontà e ingenuità, non però della capacità di Barbarigo; e communicar con esso lui tutte le cose, eccetto di Evangelio, se non in quanto queste fussero congiunte con [p. 282 modifica]quelle di stato e di governo. È necessario che Barbarigo quest’anno sia destinato costì, ovvero in Spagna. Esso e un gran papista6 avranno l’uno un luogo e l’altro l’altro: senza dubbio, io credo che Francia toccherà a Barbarigo, perchè egli più lo desidera, e l’altro più desidera l’altro. Ma il futuro è in mano di Dio.

Io, dopo aver reso molte grazie a V.S., che con tutta l’indisposizione abbia voluto prender fatica di scrivermi, e così lungamente, la pregherò sopra tutte le cose aver cura della sua sanità; e a me, quando si trovi o impedita o occupata, differir lo scrivere, e non allungar mai più di quello che comporta il suo comodo. E qui facendo fine, le bacio la mano.

Ieri morì D. Giovanni Marsilio,7 per quello che io credo, molto ben conosciuto da V.S., essendo stato in letto circa dieci giorni con strani accidenti. I medici dicono che sia morto di veleno; di che io non sapendo innanzi, altro non dico per ora. Hanno bene alcuni preti fatto ufficio con esso lui, che ritrattasse le cose scritte; e egli è sempre restato costante dicendo aver scritto per la verità, e voler morir con quella fede. Monsieur Assellineau l’ha molte volte visitato, e potrà scriver più particolari della sua infermità, perchè io non ho potuto nè ho voluto per vari rispetti ricercarne il fondo. Credo [p. 283 modifica]che se non fosse per ragion di stato, si troverebbero diversi che salterebbero, da questo fosso di Roma, nella cima della Riforma; ma chi teme una cosa, chi un’altra. Dio però par che goda la più minima parte de’ pensieri umani.8 So ch’Ella mi intende senza passar più oltre. Mi confermo suo, come fanno ancora gli altri amici.

Di Venezia, il 18 febbraio 1612.




Note

  1. Dalla Raccolta di Ginevra ec., pag. 441.
  2. Così per traduzione, non esente da equivoci, del francese Bourg-en-Bresse, città che sino al 1601 aveva appartenuto alla Savoia.
  3. Niccola Brulart de Sillery, cancelliere di Francia e che aveva goduto la più intima confidenza di Enrico IV, fu fatto allontanare dagli affari per opera del Concini, favorito della reggente.
  4. Ci riportiamo, come altre volte, alla nota posta a pag. 272.
  5. Si vedano intorno a ciò le Lettere CXCVII e CXCIX.
  6. Forse il Badoero, di cui parlasi frequentemente sino dal dì 3 gennaio di quest’anno.
  7. Prete napoletano e teologo, che avea scritto, a pro della Repubblica, dapprima la Risposta d’un Dottore alla Lettera d’un amico intorno alle censure: quindi, per apologia di sè stesso, la Difesa di Giovanni Marsilio in favore della Risposta alle otto proposizioni ec. V. Griselini, Mem. anedd. ec., pag. 62.
  8. Non sembrandoci felice questo modo di esprimersi, ne daremo la spiegazione: Pare che a Dio si pensi meno che ad ogni altra cosa.