Lettere al padre/1633/111
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A Siena
San Matteo, 3 ottobre 1633
Amatissimo Signor Padre.
Sabbato scrissi a V. S., e domenica, per parte del signor Gherardini, mi fu resa la sua, per la quale sentendo la speranza che ha del suo ritorno, tutta mi consolo parendomi ogn’ora mill’anni che arrivi quel giorno tanto desiderato di rivederla; e il sentire ch’ella si ritrovi con buona salute accresce e non diminuisce questo desiderio di goder duplicato contento e sodisfazione, per vederla tornare in casa sua e di più con sanità.
Non vorrei già che dubitasse di me, che per tempo nessuno io sia per lasciare di raccomandarla con tutto il mio spirito a Dio benedetto, perché questo m’è troppo a cuore, e troppo mi preme la sua salute spirituale e corporale. E per dargliene qualche contrassegno, gli dico che ho procurato e ottenuto grazia di veder la sua sentenza, la lettura della quale, se bene per una parte mi dette qualche travaglio, per l’altra ebbi caro d’averla veduta per aver trovato in essa materia di poter giovare a V. S. in qualche pocolino; il che è con l’addossarmi l’obbligo che ha ella di recitar una volta la settimana li sette salmi, ed è già un pezzo che cominciai a sodisfarlo e lo fo con molto mio gusto, prima perché mi persuado che l’orazione accompagnata da quel titolo d’obbedire a Santa Chiesa sia efficace, e poi per levare a V. S. questo pensiero. Così avess’io potuto supplire nel resto, ché molto volentieri mi sarei eletta una carcere assai più stretta di questa in che mi trovo, per liberarne lei Adesso siamo qui, e le tante grazie già ricevute ci danno speranza di riceverne delle altre, purché la nostra fede sia accompagnata dalle buone opere, che, come V. S. sa meglio di me, «fides sine operibus mortua est».
La mia cara Suor Luisa continua di star male, e mediante i dolori e tiramento che ha dalla banda destra, dalla spalla fino al fianco, non può quasi mai stare in letto, ma se ne sta sopra una sedia giorno e notte: il medico mi disse l’ultima volta che fu a visitarla, che dubitava che ella avessi una piaga in un argnione, che se questo fossi il suo male saria incurabile; a me più d’ogni altra cosa mi duole il vederla penare senza potergli dare alcun aiuto, perché i rimedi non gli apportano giovamento.
Ieri s’imbottorno li sei barili del vino dalle Rose, e ve n’è restato per riempier la botte. Il signor Rondinelli fu presente, siccome anco alla vendemmia dell’orto, e mi disse che il mosto bolliva gagliardamente sì che sperava che volesse riuscir buono, ma poco; non so già ancora quanto per l’appunto. Questo è quello che per ora così in fretta posso dirgli. La saluto affettuosamente per parte delle solite, e il Signore la prosperi.
figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.