Vai al contenuto

Lettere al padre/1633/113

Da Wikisource.
Lettera 113

../112 ../114 IncludiIntestazione 22 settembre 2009 75% lettere

1633 - 112 1633 - 114

A Siena

San Matteo, 15 ottobre 1633

Amatissimo Signor Padre.

Il vino da Samminiato non è ancor comparso, ed io lo scrissi tre giorni sono al signor Geri, il qual mi rispose che m’avrebbe procurato d’intender dal signor Aggiunti la causa di questa dilazione.

Non ho per ancora saputo altro, perché questa settimana non ho avuta la comodità di mandar Geppo a Firenze, essendo egli stato, ed è ancora, a San Casciano da messer Giulio Ninci, il quale già sono molti giorni che si ritrova ammalato, e perché ha carestia di chi gli porga una pappa, mandò a ricercarmi lui e messer Alessandro che per qualche giorno io gli concedessi l’assistenza del ragazzo, al che non ho saputo disdire. Quando il signor canonico manderà a pigliar i danari, sodisfarò conforme all’ordine di V. S.

Il signor Gherardini fu qui pochi giorni sono per visitar Suor Elisabetta sua parente, e fece chiamar ancor me per darmi nuove di V. S. Dimostra d’esser restato affezionato grandemente; e mi disse che dappoi in qua che ha parlato con lei è restato con l’animo quieto, dove che prima era tutto sospeso e irresoluto ne’ suoi affari. Piaccia pur a Dio benedetto che il termine destinato al ritorno di V. S. non vada più in lungo di quello che speriamo, acciò Ella possa godere, oltre alle quiete della sua casa, la conversazione di questo giovane così compito.

Ma intanto io godo infinitamente di sentir quanto monsignor Arcivescovo sia perseverante in amarla e favorirla. Né dubito punto ch’ella sia depennata, com’ella dice, «de libro viventium», non solo nella maggior parte del mondo, ma né anco nella medesima sua patria: anzi che mi par di sentir che s’ella fosse stata qualche poco ombreggiata o cancellata, adesso ella sia restata ristaurata e rinnovata, cosa che mi fa stupire, perché so che per un ordinario: «Nemo Propheta acceptus in patria sua» (non so se per voler slatinare dirò qualche barbarismo). E pure V. S. è anco qua amata e stimata più che mai.

Di tutto sia lodato il Signor Iddio, dal quale principalmente derivano queste grazie; le quali riputando io mie proprie, non ho altro desiderio che l’esserne grata, acciocché sua divina Maestà resti servita di concederne delle altre a V. S. e a noi ancora, e sopra tutto la salute e beatitudine eterna. Suor Luisa se ne sta in letto con un poca di febbre, ma i dolori sono assai mitigati, e si spera che sia per restarne libera del tutto con l’aiuto de’ buoni medicamenti, li quali, se non sono soavi al gusto come è il vino di costì, in simili occorrenze sono più utili e necessari. Subito che veddi le sei forme di cacio, ne destinai la metà per V. S., ma non glie lo scrissi perché desideravo di riuscire più a fatti che a parole: e veramente che è cosa esquisita, e io ne mangio un poco più del dovere.

Mandai la lettera a Tordo per il nostro fattore, il quale intese dalla moglie che egli si ritrova all’ospedale a pigliar il legno, sicché non è maraviglia che non gli abbia mai dato risposta.

Ho sempre avuto desiderio di saper come siano fatte le torte sanesi che tanto si lodano; adesso che s’avvicina l’Ognissanti V. S. averà comodità di farmele vedere, non dico gustare per non parer ghiotta: ha anche obbligo (perché me l’ha promesso) di mandarmi del refe di ruggine, con il quale vorrei cominciare qualche coserella per il ceppo di Galileino, il quale amo perché intendo dal sig. Geri, che, oltre al nome, ha anco dello spirito dell’avolo.

Suor Polissena ebbe risposta della lettera, che, per mezzo di V. S., mandò alla signora sua nepote, e anco ebbe uno scudo, del quale va ringraziandola nell’inclusa: prega V. S. del buon recapito, e la saluta come fanno Madonna e l’altre solite.

Il signor Rondinelli già sono quindici giorni che non si lascia rivedere, perché, per quanto intendo, egli affoga in un poco di vino che ha messo in due botticelli che versano e lo fanno tribolare.

Ho detto alla Piera che faccia vangare nell’orto, acciò vi si possino seminare, o, per meglio dire, por le fave.

Adesso è comparso qui un lavoratore del sig. Niccolò Cini il quale mi scrive quattro versi nella medesima lettera che V. S. scrive a lui avvisandomi la valuta del vino che sono lire 19 la somma e lire 2 per vettura, in tutto lire 59, e tante ne ho date. Avendo ancora scritto a Sua Signoria due versi per ringraziarlo.

Altro per ora non mi occorre; anzi pur mi sovviene che desidero pur di sapere se il sig. Ronconi gli ha dato risposta, che se non l’ha data, voglio rimproverarglielo la prima volta che lo veggo. Il Signore Iddio sia sempre seco.

figliuola Affezionatissima

S. M. Celeste.