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Lettere di Paolina Leopardi a Marianna ed Anna Brighenti/LXXIV

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LXXIV. Alla stessa - A Bologna

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LXXIV.

ALLA STESSA

a Bologna

24 aprile (1839)

               Mia carissima,

Cosa ti dirò per iscolparmi da tanto lungo silenzio? Ti parlerò forse della pigrizia, io che non ne ho punto? o ti dirò che mi ero scordata di te, dell’amor tuo, delle care affettuose tue parole? No, nulla di questo dirò, perchè nulla di questo è vero. Ho pensato sempre a te, e la tuaultima letterina, accolta da me quasi come accoglierei te stessa, mi passava sempre sul cuore come quella che richiedeva ch’io non stessi lungamente senza scriverti. Ma tu non mi hai giammai chiesto se eran successe, o quando succedevano le nozze di mio fratello, e per castigarti di questa tua [p. 206 modifica]noncuranza voglio dirti che sono imminenti; sicchè vedi che siamo stati alquanto occupati, e quando io non ho la mente libera, non son buona a scrivere. Però sono stata buona a ricordarmi sempre di te e dei tuoi, a pensare ai tuoi affari e specialmente a quel fatal giovinotto ch’io vorrei vedere un poco più lontano, ai tuoi trionfi musicali al tuo nome ch’io non vedo più nei giornali teatrali, il che m’indica che ancora non sei fissa con nessun impresario e mi dispiace il sentire che non ti puoi liberare da questa faticosa vita come speravi, e che non puoi indurre il tuo debitore a soddisfarti com’è suo dovere; sicchè vedrai altri paesi, e voleva dire altro mondo, ma no, il solo pensiero mi spaventava.

La Corradi sembra che vi si trovi assez bien, giacchè si è rifermata per altri tre anni, e manda denaro a Jesi per rinvestimento. Non ti ho dimandato mai perchè Nina non canti; una volta mi dicevi ch’essa era per montare in palco, poi vedo che la pigrizia l’ha vinta. Già, quella cara ragazza non è buona che a far l’amore, come si vede bene: studiare e faticare non lo vuole affatto; e cangia sempre i nomi dei suoi amanti e se li tira dietro, e poi se ne annoia e lascia a te la cura di risponder loro; oh! certo, questa è una bella vita! Colla sommità delle labbra ardisco appena baciare le sue gote, chè ho timore che il suo cattivo cuore corrompa il mio, e mi accosto a lei tremando. Perciò ti raccomando assal a non istancarti di tenerle gli occhi addosso; sebbene poi, per dirla tra noi, mi pare ch’essa pure dovrebbe tener gli occhi addosso a te, e mi pare che papà [p. 207 modifica]Brighenti faccia male ad assentarsi per tanti giorni col pericolo di venire rimpiazzato da un altro papà, non dico di lui più diletto, ma diletto con altra dilezione; e questo è quello che mamà mia chiama sempre metter la stoppa vicino al fuoeo. Povero papà! Sicchè quando giungerai al dì 27 di questo mese, e si accosterà l’ora dell’aprés dîner penserai: Ora la mia Paolina sta immersa in un mare di ricevimenti, ch’io pure chiamerei mar di noia, chè quello sarà il giorno in cui accoglieremo la sposa di mio fratello. Blessées come siamo noi a quest’ora, puoi ben immaginarti ch’io faccia voti acciò passino presto quei giorni in cui sarò condannata a vedere gente ed a sorridere, chè fra tanti che vedrò non vi è certo nessuna persona amata (nessun papà), nè mi curo più che vi sia. Questo matrimonio non è brillante per nessun conto; papà mio si è messo in tanta apprensione della cattiveria e delle esigenze donnesche, che ha studiato sommamente di evitare tutte le possibili chances di malcontento domestico, ed è andato a togliere dal Conservatorio di Ancona una giovine, di cognome illustre ma che non si era mai sognata di portare il nostro nome. Dicono che sia giovine di talento, ma già la sua educazione è mancata, come quella che è stata educata in un povero luogo; dico povero per mancanza di abili institutrici. E quando io vado sognando in piedi, penso al delirio di gioia che proverei se in mia cognata abbracciassi una, conosciuta da me ed amata come le mia Brighenti. Certo, allora non passerei le notti dormendo come faccio ora. Sicchè in quei giorni pensa sovente alla tua amica, ed essa [p. 208 modifica]troverà ristoro in questo pensiero. Addio, mia diletta! Abbraccio Nina Peretti e saluto teneramente i tuoi genitori: a te ripeterò quello che ti ho detto già tante volte, che sei l’anima dell’anima mia. (Credo che si dicesse anche nel cinquecento). Addio, addio.