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Lettere di Paolina Leopardi a Marianna ed Anna Brighenti/XXVIII

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XXVIII. Alla stessa - Ad Ascoli

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XXVII XXIX
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XXVIII.

ALLA STESSA

ad Ascoli

Il giorno di tutti i Santi (1831)

               Cara Marianna,

Prima di tutto, non credere che io abbia tralasciato di scriverti in Ancona nè per pigrizia, nè per qualunque altro motivo non lodevole; no tu sei sempre per me la stessa cara cosa, il solo mio pensiero delizioso, ed io ti amo sempre (lasciami usare di una tua espressione) a furore. Ma vedi, le mie lettere, non so perchè, ti giungono sempre molto ritardate, anche le tue ritardano un pochino, onde io non ho creduto che la mia lettera potesse giungerti colà prima della tua partenza, e perciò non ti ho scritto più presto, sebbene con dispiacere; perchè, sai, io non vorrei che neppure per un istante tu pensassi male di me, nè che credessi la mia amicizia, il mio entusiasmo raffreddato. Come desidero ardentemente di trovarti verso di me, così, ma con infinitamente più di ragione, io sono per te, ed il mio cuore su ciò non cangierà mai sentimento, mai.

Sei troppo buona, Marianna mia, a desiderare tanto di conoscere il tuo amico. Ma sai? egli non ti corrisponde con egual tenerezza, e poi che si è posto in un confessionario di monastero, non ha [p. 76 modifica]avuto cuore di abbandonarlo un giorno o due per venire a trovarti, cosa che pure gli sarebbe piaciuta assai, e gliene era venuta la volontà, ma ha resistito a tutte le mie premure, ed anche alle tue parole, chè io gli ho detto quanto tu lo desideravi. Ma, oltre l’impedimento del confessionario un altro, e non lieve per lui, lo ha trattenuto; il dispiacere di spendere — e se io ho creduto per un momento che fosse efficace la sua volontà, T’ho creduto, facendomi il gran desiderio che fosse vero fare astrazione da tutto quello ch’io sapevo di lui. Intanto io ti ringrazio del tuo buon cuore, e di quello della tua famiglia che già si preparava a riceverlo come inviato di una sua tenera amica.

Povera Marianna mia, quanto hai sofferto! mi ha fatto fremere di rabbia il tuo racconto, ed io piangevo per te nel leggere la tua lettera, nel vedere quanto mai devi aver sopportato di amarezze, di dolori, se volevi sciogliere la tua scrittura, e quanto ti resta a sopportare ancora, poi che devi passare un mese in compagnia del tuo persecutore! Ma quanto sono cattivi questi uomini e come mai possono essi rivolgersi contro chi non fa loro alcun male, e che anzi con la sua ottima ed innocente condotta dovrebbe conciliarsi l’amore di tutti? Ah! sarà sempre per me una cosa difficile da comprendere come mai la virtù in questo mondo venga si crudelmente odiata, quando in sostanza non si stimano che i soli virtuosi, e non si ha ammirazione che per essi! Questo mistero non sarà compreso in questa vita, e non vi ha per noi rifugio che nell’altra; ma intanto, in questo mondo si passa una ben [p. 77 modifica]infelice esistenza; e tu lo sai, cara mia, e lo provi continuamente, ed ove poi non lasci questa professione, lo proverai sempre, ne sono certa. Tu sei troppo buona per questo mestiere; pare necessario che chi vi si dedica debba andare fornito di tutti i vizi, senza educazione, senza morale, ed invece, tu sei tutto l’opposto; e come vuoi dunque combattere con armi tanto disuguali, e come vuoi vincere? Ah! io sospiro per te, e fremo, e, lo credi? dico sempre qualche Ave Maria per te, affinchè il Cielo ti protegga, e ti faccia godere una volta quella felicità che meriti. Ho sentito i tuoi applausi, ho veduto quanto ti ha renduto di guadagno la tua serata, solo la tua voce non ho potuto intendere, solo la mia amica io non ho potuto vedere per quanto io lo sospirassi ardentemente. Ah Dio mio! quanto soffro! ora ti sei allontanata, e mi pare di respirare più liberamente, che il cuore mi palpiti meno, poichè meno soventi ti sento nominare; ma è stata troppo grande la facilità che si è data di poterti vedere, perchè io non risenta tutte le volte che penserò a te il dolore immenso che mi hai cagionato col partire di qua senza ch’io mi sia gettata fra le tue braccia, senza che abbia potuto esprimerti a voce quanto mai io ti amo, ti ammiro, quanto mai di entusiasmo m’inspiri continuamente il saperti così buona, così virtuosa, eppure non felice!

Non puoi credere quanto mi giungano care le poesie che mi mandi: esse formano per me una raccolta preziosa. L’invito per la tua serata di benefizio di Ancona mi è piaciuto molto: il suo stile è troppo diverso da quello solito ad [p. 78 modifica]adoperarsi in tali cose, perchè io non ne abbia subito riconosciuto l’autore. Se mi vuoi bene, non ti stancare di mandarmi sempre tutto quello che ti riguarda, sicura che tutto viene riguardato con molta devozione ed amore.

Ti pregai una volta a dirmi se è vero che il prof. Tommasini è morto in conseguenza dei dispiaceri sofferti a Parma dopo il ritorno dell’antico ordine, io ti chiedevo ciò a Fermo in quella medesima lettera in cui per compiacerti ti mandavo il ritratto di una tua amica, se esso si è perduto (come credo, perchè ti dicevo tante cose, e non me ne hai mai parlato) tutto è finito; il ritratto si è perduto e non si può più trovare.

Se andavi a Roma io ci avrei avuto molto gusto, e Giacomo ancora. Forse lo vedrai quando tornerai da Pisa. Un’altra volta ti dirò il motivo della sua partenza da Firenze, quando io ci vedrò un poco più chiaro; se tuo padre sa qualche cosa, dimmelo per carità.

Abbracciami Nina, cui scriverò prestissimo e salutami amorosamente i tuoi Genitori. Dimmi se mi vuoi bene, se me lo vorrai sempre, e se credi alla tenerezza indefinibile con cui la tua Paolina ti dice addio.


Sento che scriva, anzi abbia scritto Antici da Ancona di una piccola sommossa accaduta colà una sera dopo il teatro, in cui alcuni giovani si posero a gridare viva la libertà, che terminò subito per opera della truppa con l’arresto di alcuni. Io credo che sia una stessa cosa che l’affare di Gentili che tu mi racconti, non e vero?