Levia Gravia/Libro I/In morte di Pietro Thouar (Giugno 1861)
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Me da la turba, che d’ossequio avaro
Pasce i mal chiusi orgogli
A qual piú sorga d’util fama chiaro,
Tu, solitaria musa, a vol ritogli:
5Ma, dove del suo riso
Virtú soave irradïando veste
Bei costumi, alti sensi, opre modeste,
Ivi teco io m’affiso,
Teco m’esalto ed a l’aspetto santo
10Rompe da la commossa anima il canto.
E già cercai con desïoso amore
Questo savio gentile,
E i pensieri affinai ne lo splendore
Che mite diffondea sua vita umíle.
15Nel suo povero tetto
Me inesperto egli accolse e ad una ad una
Del reo mondo le piaghe e di fortuna
E ’l non mai domo affetto
Al vero al buon m’aperse: in su la pura
20Fronte gli sorridea l’alma secura.
Ahi, con duol mi rimembra il punto quando
L’ultimo amplesso tolsi,
E da la buona imago, sospirando,
Confuso di tristezza, il piè rivolsi!
45Redía, su ’l volto amico
Insazïato ancor l’ occhio redía,
Qual di figliuolo che per lunga via
Si mette, e al padre antico
Guarda, pensoso del lontan ritorno,
50Ne la fredd’ombra de l’occiduo giorno.
Pur rivederlo a sue bell’opre atteso
Mi promettea speranza,
E ne gli onesti ragionari acceso
Di fede avvalorarmi e di costanza.
25In van: per sempre è muto
Quel di semplice eloquio inclito fabro,
Quel mite ardente intemerato labro;
E l’occhio, ahi quell’arguto
Da le assidue vigilie occhio conquiso,
30Piú non si leva a’ dolci alunni in viso.
E voi vivete, o titolati Gracchi,
E voi con doppia lingua
Ben provvedenti Bruti a’ cor vigliacchi,
E voi Caton cui libertade impingua.
35V’approdaron, civili
Rosci, il tragico stile e l’alte spoglie!
Ma in van mentite, o istrïon, le voglie
Oblique e l’opre vili
Sott’esso il fasto de l’eretto ciglio,
40Famosi oggetti al popolar bisbiglio.
Ei per le vie, che non de gli aurei cocchi
Ma suonan di frequente
Opera industre, oh quante volte gli occhi
A sé traea del vulgo reverente!
75Usciano in suo cammino
I vecchi salutando, ed a la prole
Con ischietti d’amor cenni e parole
Segnavanlo e al vicino:
Or di lui forse in su la stanca sera
80Pensan con un sospiro e una preghiera.
Non un pensier, ch’io creda, a lui concede
Il vulgo che beato
Con largo fasto e misera mercede
Ne pagava i precetti e il mal sudato
85Tempo ingombrògli. Umano
De gli anni nuovi educatore, ahi cruda
Volge l’età pur sempre, e de l’ignuda
Virtú l’esempio è in vano:
Povero fior d’atra palude in riva
90Muor né d’olezzi il grave aër ravviva.