Lezioni sulla Divina Commedia/Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo nel 1856-57/Il Paradiso/Lezione I

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Il Paradiso - Lezione I

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Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo nel 1856-57 - Il Paradiso Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo nel 1856-57 - Lezione II
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Lezione I

[Il concetto e il problema del paradiso.]


Il Paradiso è poco letto e poco gustato; il che ben si attendeva il suo autore. Non di meno ha avuto i suoi appassionati, come il Balbo, Schlosser, Lamennais ecc.: e prima noi possiamo intorno a questo lavoro citare lo stesso giudizio dell’autore nella sua lettera a Can Grande della Scala. Ivi secondo il barbaro metodo di quel tempo esamina il contenuto materiale e lo divide in parti. Val a dire la sua critica si arresta su ciò che vi è di esterno, accessorio, accidentale, e non guarda alla parte intima e sostanziale del suo lavoro. Che nel Paradiso ci siano digressioni, argomenti, definizioni ecc., che ci sia l’«agens», il «finis» ecc., tutto questo si trova ne’ piú mediocri lavori, e non è qui la grandezza del Paradiso. Noi seguendo le nostre impressioni, ed abbandonando sistemi e concetti astratti, vogliamo formarci un’idea di questo mondo.

Due cose ci colpiscono a prima giunta. Noi sentiamo che è un mondo nuovo, lirico, musicale, un altro genere di poesia, che quello dell ’Inferno e del Purgatorio. E fin dalle prime pagine veggiamo un entusiasmo che mai non abbandona il giá vecchio poeta. Aveva di poco lasciati gli studi dell’universitá di Parigi; la scienza è per lui ciò che vi è di piú alto, e quindi il suo paradiso ciò che vi è di piú sublime. Sentite in lui l’orgoglio di un [p. 285 modifica]uomo che si sente al di sopra della gente volgare, quando rivolgendosi ai lettori comuni li esorta a lasciarlo; ché ora egli si mette in pelago, e potrebbero seguitandolo rimanere smarriti. Nelle altre due cantiche, si è indirizzato alla musa; e qui invoca Apollo stesso; e se riesce a manifestare l’ombra del regno celeste segnata nel suo capo, incoronerá se stesso di alloro, di cui l’avrá fatto degno la materia e la poesia.

Credendo Dante che la materia del paradiso sia la piú sublime delle poesie, e che egli il primo la tentava, non avea torto in tutto. Il suo paradiso è una poesia originale e vera. Originale, perché il paradiso antico, l’Eliso, non lia una compiuta esistenza poetica e rimane nel circolo della materia; vera perché il nuovo concetto che anima il paradiso cristiano corrisponde a quel bisogno d’indeterminato che è nello spirito umano e che si traduce in quelle forme vaporose evanescenti, che ci appariscono quando siamo o nuovi o stanchi della realtá. Ma Dante non vide che appunto per questo non avea una materia sufficientemente epica; poiché il concetto del paradiso è il progressivo svanire della forma, e la forma è il sostanziale della poesia. In che modo ha potuto Dante domare quella materia ribelle, e cavarne una forma epica?