Libro de' Vizî e delle virtudi/Capitolo III

Da Wikisource.
Come la Filosofia si conobbe per lo fattore dell'opera.

../Capitolo II ../Capitolo IV IncludiIntestazione 19 settembre 2008 75% letteratura

Come la Filosofia si conobbe per lo fattore dell'opera.
Capitolo II Capitolo IV


Quando la boce ebbe parlato come di sopra avete inteso, si riposò una pezza, aspettando se alcuna cosa rispondesse o dicesse; e veggendo che stava muto, e di favellare neun sembiante facea, si rapressò inverso me, e pigliò il gherone de le sue vestimenta, e forbimmi gli occhi, i quali erano di molte lagrime gravati per duri pianti ch’avea fatti. E nel forbire che fece, parve che degli occhi mi si levasse una crosta di sozzura puzzolente di cose terrene, che mi teneano tutto il capo gravato. Allora apersi li occhi, e guarda’mi dintorno, e vidi appresso di me una figura tanto bellissima e piacente, quanto piú inanzi fue possibile a la Natura di fare. E della detta figura nascea una luce tanto grande e profonda, che abagliava li occhi di coloro che guardare la voleano, sicché poche persone la poteano fermamente mirare. E de la detta luce nasceano sette grandi e maravigliosi splendori, che alluminavano tutto ’l mondo. E io, veggendo la detta figura cosí bella e lucente, avegna che avesse dal cominciamento paura, m’asicurai tostamente, pensando che cosa ria non potea cosí chiara luce generare; e cominciai a guardar la figura tanto fermamente, quanto la debolezza del mio viso potea sofferire. E quando l’ebbi assai mirata, conobbi certamente ch’era la Filosofia, ne le cui magioni era già lungamente dimorato. Allora incominciai a favellare, e dissi: - Maestra delle Virtudi, che vai tu faccendo in tanta profundità di notte per le magioni de’ servi tuoi? - Ed ella disse: - Caro mio figliuolo, lattato dal cominciamento del mio latte, e nutricato poscia e cresciuto del mio pane, abandoneret’io, ch’io non ti venisse a guerire, veggendoti sí malamente infermato? Non sa’ tu che mia usanza è d’andare la notte cu’ io voglio perfettamente visitare, acciò che le faccende e le fatiche del dí non possan dare alcuno impedimento a li nostri ragionamentí? - E quando udí’ dire che m’era venuta per guerire, suspirando dissi: - Maestra delle Virtudi, se di me guerire avessi avuto talento, piú tosto mi saresti venuta a visitare; perché tanto è ita innanzi la mia malizia, che m’hanno lasciato li medici per disperato, e dicono che non posso campare. Allora si levò la Filosofia, e puosesi a sedere in su la sponda del mio letto, e cercommi il polso e molte parti del mio corpo; e poi mi puose la mano in sul petto, e stette una pezza, e pensò, e disse: - Per lo polso, che ti truovo buono, secondo c’hanno li uomini sani, certamente conosco che non hai male onde per ragione debbi morire. Ma perché, ponendoti la mano al petto, truovo che ’l cuore ti batte fortemente, veggio c’hai male di paura, laonde se’ fortemente sbigottito ed ismagato. Ma di questa malattia ti credo a la speranza di Dio tostamente guerire, purché meco non t’incresca di parlare, né ti vergogni di scoprire la cagione de la tua malatia -. E io dissi: - Tostamente sarei guerito, se per cotesta via potessi campare, perché sempre mi piacquero e adattârsi al mio animo le parole de’ tuoi ragionamenti.