Lirica (Ariosto)/Capitoli/I. - Lamento ispirato dalla morte di...

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I. - Lamento ispirato dalla morte di...

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I. - Lamento ispirato dalla morte di...
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I

Lamento ispirato dalla morte di Eleonora d’Aragona,
moglie del duca Ercole d’Este (11 ottobre 1493).

Epicedio de morte illustrissimae Lionorae Estensis de Aragonia
ducissae Ferrariae.

     Rime disposte a lamentarvi sempre,
accompagnate il miserabil cuore
in altro stil che in amorose tempre;
     ch’or iustamente da mostrar dolore
5abiamo causa; ed è sí grave il danno,
che a pena so s’esser potria maggiore.
     Vedo i mei versi che smariti stanno
odendo intorno il lamentar comune,
ch’ove lor debbian cominciar non sanno.
     10Vedo l’insegne scolorite e brune,
suspiri e pianti mescolati insieme
da mover l’alme di pietá digiune.
     Vedo Ferrara che privata geme
di sua adorneza, e per grande ira intorno
15il fiume Po che murmurando freme;
     il qual, presago, il sventurato giorno
in cui la summa Volontá dispose
che un’alma santa fésse al ciel ritorno,
     per non vedere, ogni suo studio pose
20d’allontanarsi all’infelice terra,
sí che in piú parte le sue sponde rose.

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     L’argine e ripe ed ogni opposto atterra;
pur con ingegno dal fuggir si tenne
ne l’alveo antico, dove ancor si serra;
     25che ricordar mi fa di quel che avenne
doppo la morte del famoso cive,
che, armato in Roma, ad occuparla venne.
     Allora il Tebre superò le rive,
come ha quest’altro al tramontar di questa
30stella, che in ciel santificata vive.
     Fulgure e venti allor, pioggia e tempesta
ondârno i campi; ed altri segni ancora
feron la gente timorosa e mesta,
     com’or è apparso a dimostrar quest’ora
35venuta a tramutar la cittá lieta,
le feste e canti, a lacrimar Lionora.
     Piú segno di dolor che una cometa
precorse il tristo dí; ché ’l chiaro lume
perse in gran parte il lucido pianeta.
     40Il sol, per cui convien che ’l ciel ne allume,
vidde Ferrara sconsolata e trista,
e ricognobbe il doloroso fiume;
     ch’ancor quest’onde a riguardar s’atrista
sí, ch’ei turbò la luminosa fronte,
45mostrando obscura e impalidita vista;
     le gente meste al lacrimar sí pronte,
le Eliade proprio gli parea vedere,
in ripa al fiume richiamar Fetonte.
     Né gli occhi asciutti puoté il ciel tenere
50per gran pietade, e dimostrò ben quanto
qua giú si debba ogni mortal dolere.
     Or si risforzi ogni angoscioso pianto,
che assai si chiami a paragon del male,
mai non potremo condolerci tanto;
     55creschino i fiumi al lacrimar mortale,
crollino i boschi al suspirar frequente,
e sia il dolor per tutto il mondo eguale.

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     Ma piangi e grida piú ch’ogn’altra gente,
tu che abitasti sotto il iusto regno,
60rimasta al suo partir trista e dolente.
     Ché Morte orrenda col suo ferro indegno,
s’occise quella, a te fece una piaga,
di che molt’anni restaratti il segno.
     Non eri forsi del tuo mal presaga;
65ma se ben pensi, pur perduta hai quella,
che sí fu in terra di ben farti vaga,
     abitatrice in ciel fatta novella,
lassando in terra la sua fragil spoglia,
di sue virtude e piú onorata e bella,
     70sí che di noi, non del suo ben ci doglia;
che il spirto in ciel da le sue membra sciolto
di ritornar qua giú non ha piú voglia.
     Ver è che pur di nui l’incresce molto,
ch’ancor l’usata sua pietá riserba,
75né Morte il popul suo dal cuor gli ha tolto.
     Ma nostra doglia mal si disacerba
pensando che sua vita è giunta al fine,
non giá matura ancor, ma quasi in erba.
     Qual man crudel che fra pungenti spine
80schianta la rosa ancor non ben fiorita,
Morte spiccò da quella testa un crine.
     Quest’ora da Dio in ciel fu stabilita,
ché degno di costei non era il mondo,
anzi lá su d’averla seco unita.
     85O di virtude albergo alto e giocondo,
debb’io forsi narrar la tua eccellenzia,
a cui me stesso col pensar confondo?
     Ché l’infinita e summa Providenzia
degna ti reputò de la sua corte,
90piú per iusticia assai che per clemenzia;
     e per tirarti alle sideree porte
(mandati prima a te gli anonci suoi)
calò dal ciel la tremebonda Morte.

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     Non come è usata di venir tra noi
95con quella falce sanguinosa e obscura,
apparse Libitina agli occhi tuoi.
     Descriver non saprei la sua figura,
ma venne onesta e in sí liggiadro viso
che nulla avesti al suo venir paura;
     100e con dolci atti e con piacevol riso
disse: — Madonna, vien’, ch’io son mandata
per tòrti al mondo e darti al paradiso. —
     O gloriosa in cielo alma beata,
allor uscendo del corporeo velo,
105al summo Redemptor ne sei tornata;
     volasti, accesa d’amoroso zelo,
lassando i tuoi devoti infermi ed egri,
santa, ioconda e risplendente, al cielo.
     Beata al novo albergo or ti ralegri;
110nui, che dolenti al tuo partir lassasti,
piangendo, andiam vestiti a panni negri.
     Fra quei spirti del ciel vergini e casti,
non disdegnar, o ben venuta donna,
guardar le genti tue che al mondo amasti.
     115E come in terra a nui fusti madonna,
servando ancor lá su l’usanza antica,
riman’ del popul tuo ferma colonna,
     o in cielo e in terra di virtude amica.