Lirica (Ariosto)/Capitoli/XIV. - Quanto grave il peso che la sua...

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XIV. - Quanto grave il peso che la sua...

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XIV

Quanto grave il peso che la sua stella o il suo destino gli hanno imposto!

     Di sí calloso dosso e sí robusto
non ha né dromedario né elefante
l’odorato Indo o l’Etiope adusto;
     che possa star, non che mutar le piante,
5se raddoppiata gli è la soma, poi
che l’ha qual può patir, né può piú inante.
     Non va legno da Gade ai liti eoi,
che di quanto portar possa non abbia
prescritti a punto li termini suoi.
     10Se stivato di merce anco di sabbia
piú si rigrava e piú, si caccia al fondo,
tal che antenna non appar, né gabbia.
     Non è edificio né cosa altra al mondo
fatta per sostentar che non roine,
15quando soperchia le sue forze il pondo.
     Non val corno né acciai’ di tempre fine
all’arco, e sia ancor quel ch’uccise Nesso,
che non si rompa a tirar senza fine.
     Ahi lasso! non è Atlante sídefesso
20dal ciel, Ischia a Tifeo non è sí grave,
non è sotto Etna Encelado sí oppresso,
     come mi preme il gran peso che m’ave
dato a portar mia stella o mio destino,
e che a principio sí m’era soave.
     25Ma poi ch’io fui con quel dritto a camino,
l’accrebbe ad ogni passo e l’accresce anco,
tal ch’io ne vo non pur incurvo e chino,
     non pur io me ne sento afflitto e stanco,
ma, se di piú sol una dramma leve
30giunta mi fia, verrò subito a manco.

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     La nave son che assai piú che non deve
piena e grave sen va per troppo carco
nel fondo, onde mai piú non si rilieve.
     Son quello oltra il dover sempre teso arco,
35che per rompermi sto, non per ferire,
se di tirar l’arcier non è piú parco.
     Meta è al dolor quanto si può patire;
tal che, ogni poca alterazion che faccia,
lo muta in spasmo, e ne fa l’uom morire.
     40Stolto serò quando io perisca e taccia
sotto il gran peso intolerando e vasto,
sí che dirò, prima ch’oppresso giaccia,
     c’ho fatto oltra il poter, e a piú non basto.