Lo schiavetto/Atto terzo/Scena VIII
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Giovan Battista Andreini - Lo schiavetto (1612)
Atto terzo - Scena VIII
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Rondone, Schiavetto, Succiola, sonatori da pastori vestiti, Nottola, Grillo, Cicala, Alberto, Prudenza, corte, Rampino
- Rondone.
- Signore, questi sono sonatori della città, così da pastore vestiti, e vogliamo, Schiavetto, Succiola e io, farli un villan di spagna concertato poco fa in casa.
- Nottola.
- Or sù via, incominciate, ch’io in tanto apparecchio il borsone da premiarvi.
- Rondone.
- Sonatori, via, date principio, o buono! O che bel suono. Signore, state intento e tacete.
- Nottola.
- O che belle riverenze, che dite meser Alberto?
- Alberto.
- Bellissime.
- Nottola.
- O come Rondone sgambetta bene, e Succiola? Càppari, so ch’ella è su ’l menare daddovero! Figlioli, vi siete portati molto bene, ora sta a me di portarmi bene con voi altri, razza di grilli e di cavalette, poiché così bene ballando saltavate. Rampino?
- Rampino.
- Signore.
- Nottola.
- Donagli diece scudi d’oro per uno e di quelli pesati.
- Succiola.
- Casasego! Oh? A cotesta foggia si potrem salvare.
- Schiavetto.
- Rondone, questo è un liberal signore, questa è la nostra ventura.
- Rondone.
- Holla conosciuta, ch’è la mia buona fortuna, e però l’ho incominciata a pelare. Ma signor principe, non volete un poco sentire ancor cantare?
- Nottola.
- Certo sì, e chi canta?
- Rondone.
- Chi canta? Io, e Schiavetto.
- Nottola.
- Canta un poco.
- Rondone.
- Fa, la, la, la.
- Nottola.
- O questo fa la la la lela, lo so cantare anch’io, non v’è altro che te, che canti?
- Rondone.
- Eh? Che v’è Schiavetto, che non si può sentir meglio.
- Succiola.
- E mene, dove lasciate? Suona, Schiavetto. Udite un poco. Suona la calata.
- Un tordo cotto con la saivia, e l’olio
- val più che con il sal cento lupini;
- o come d’Arno i dolci pesciolini
- vaglion più che del Po que’ gran storioni.
- Nottola.
- O che Succiola valente, càntene un’altra tu pure, ché per ora non voglio guastarmi con altri canti il gusto.
- Succiola.
- Or sù, i’ mi contento, ma ad ogni duo versi, per ripresa, fatemi la sfessaina, ch’io ballandola brevemente arrecherò gusto all’occhio danzando, gusto all’orecchio cantando.
- Nottola.
- Succiola, tu vali un milion d’oro, ma non bisognerebbe che la Succiola avesse spine.
- Succiola.
- Crediatemi signore, che ve ne sono molte poche, ché ogni quindisci giorni, io me le abbruscio. Or sù sonate.
- Io son donne quel Nencio pescatore,
- che fu figliolo di Fruca e di Giucca;
- che per pescar con voi non ha quattr’ore
- ch’io giunsi a Siena e partimmi da Lucca.
- E fu tanta la fretta e ’l mio furore
- che mi dimenticai pigliar la zucca,
- il bussatoio no, perc’ho giurato
- di mai non istaccarmelo da lato.
- Nottola.
- Tu ha’ ballato e cantato molto bene; or entrane con Rondone e Schiavetto, che teco hanno ballato così bella bergamasca; e come torno dal giardino fa’ che apparecchino alcuna cosa bella da fare, ch’io pure anderò pensando modo d’esser loro grati.
- Succiola.
- Signore, se forse e’ non sa, i’ voglio ire a rasciugarmi, ché sono più molle che s’avessi fatto diesce miggia. Stia sicuro, di buona voggia, ché fra Rondone e Schiavetto, e’ sarà fatto ogni cosa.
- Rondone.
- Signore, addio.
- Nottola.
- Addio figlioli. Entrate, sonatori. State qui, voi. Oh? Di grazia, signor Alberto, la seggetta che avete in casa. Rampino, valla a tôrre.
- Rampino.
- Vado signore, e or ora son da lei.
- Alberto.
- Sono bene stato sciocco da vero a non la fare arrecar prima.
- Nottola.
- Signor Alberto, mandate in casa la figliola vostra, e mia signora consorte. Anzi, lasciate che fino alla porta io l’accompagni. Datemi la mano.
- Prudenza.
- Eccola, signore.
- Nottola.
- Andiamo, entri felice. Or vostra signorìa illustrissima ed eccellentissima se n’entri.
- Alberto.
- Illustrissima ed eccellentissima, o che gusto.
- Nottola.
- Ohimè son morto, ah traditori.
- Alberto.
- O signore, sù sù, ché l’aiuto.
- Prudenza.
- E io, signore.
- Nottola.
- Rampino, se’ morto!
- Alberto.
- Eh, signore.
- Nottola.
- Non mi tenete.
- Rampino.
- Signore m’ascolti, con le ginocchia a terra lo prego: s’è caduto è stato perch’ella era avanti la porta, e io (per venir presto) uscendo con le spalle a dietro da la stessa porta, l’urtai, ond’ella cadde; sì che mi scusi il desiderio di servirla tosto, e del non sapere che fusse su la porta.
- Nottola.
- È così? Ti sia perdonato. Apri la seggetta. Signora, entrate.
- Prudenza.
- Le fo riverenza, signore e consorte.
- Nottola.
- Addio. Sonatori, mentre entro in seggiola sonate, e sonando seguitatemi fino al giardino.
- Alberto.
- Sù presto, sonate. O buono.
- Nottola.
- Alberto, andiamo.