Matematica allegra/10c

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Da una rana ad una pila
La pila e la gloria

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Il Volta aveva provato che mettendo a contatto due corpi conduttori qualunque, uno dei i due si elettrizza in un senso, e l’altro nell’altro. Egli diede il nome di coppia elettrica alle due lamine, di zinco l’una e di rame l’altra. Dopo molte e molte esperienze, egli arrivò a questa conclusione: che sovrapponendo coppie di rame e zinco (i rami tutti volti da una parte e gli zinchi tutti volti dall’altra) e separandole con lievi panni bagnati d’acqua acidulata (salata, per esempio) per impedire il contatto dei due corpi metallici, le forze elettriche sull’ultimo zinco e sull’ultimo rame saranno uguali a tante volte quelle prodotte da una coppia sola, quanto è il numero delle coppie. Lo zinco ultimo fa da polo positivo, e l’ultimo rame fa da polo negativo: mettendoli in comunicazione, la corrente passa dallo zinco verso il rame.

Trattandosi appunto di una pila, di una colonnetta, Volta diede a questa sua formidabile realizzazione il nome di pila e venne poi detta pila a colonna per distinguerla da altre molte applicazioni fatte in seguito da altri studiosi e disposte in modo diverso.

Nei primi mesi del 1800 la scoperta era compiuta e gli studi relativi portati a termine: egli ne fece allora, precisamente il 20 marzo dell’anno stesso, una esauriente relazione alla Società Reale delle Scienze di Londra: nel mondo degli scienziati europei produsse un effetto grandioso, entusiastico. Commentata e illustrata in tutte le pubblicazioni scientifiche, fu esaltata da tutte le cattedre, e fu da tutti riconosciuto il genio del grande scopritore, che, a cinquantacinque anni poté dire di aver raggiunto la gloria. Da quel momento fu coperto di onori, decorato, citato, esaltato, laureato ad honorem da tutte le università.

Napoleone Bonaparte primo console, già saldamente affermato sul glorioso cammino del suo fatidico destino, volle rendergli particolare onore, invitandolo alle Tuileries, e consegnandogli la Medaglia d’oro dell’Accademia delle Scienze di Parigi.

La gloria fu per lui un incentivo a lavorare di più, e ad aprire nuovi spiragli nel gran mondo ignoto della natura. Molto ancora egli donò alla scienza, e in campi diversi della fisica. Come sempre avviene ai grandi precursori alcune delle leggi da lui scoperte, altri in seguito se le attribuirono e le lanciarono e vennero riconosciute col loro nome. C’è per esempio una legge sui gas che va sotto il nome di legge di Gay-Lussac, e che è invece stata scoperta da Alessandro Volta: «I gas si dilatano in maniera uguale e in modo proporzionale alla temperatura».

Ma queste sono quisquilie: la gloria del grande italiano riposa su basi così solide, che non sono neanche scalfite da tali appropriazioni indebite.

Quando lasciò, l’insegnamento, ossia la cattedra universitaria, si ritirò a Como con la famiglia, e visse, modesto in tanta gloria, assaporando le dolcezze più grandi: quelle della vita famigliare. Quivi nel 1823 ebbe l’infinito dolore della perdita del figlio: questo colpo fu decisivo per la sua vita già in declino, tal che la morte lo colse all’età di 82 anni, il 5 marzo del 1827. Questa purissima gloria, che è gloria italiana, e perciò di tutti noi, merita tutta l’ammirazione e l’affetto nostro, poiché - come succede per tutti i grandi - si è per suo merito riverberata sull’Italia una gran luce di riconoscenza e di esaltazione: il suo trionfo è stato un trionfo italiano, nel più alto senso della parola. Il genio di Volta ben si aggiunge al genio di tutti coloro che con l’arte e con la scienza e col pensiero fecero grande questo nostro bel Paese, che se anche non ha la ricchezza di danaro che altri Paesi posseggono, ha queste altre ricchezze che valgono di più, e che tanti Paesi ci invidiano.

Le città di Como e di Pavia, che furono la culla del suo corpo e del suo spirito, gli eressero due bellissimi monumenti.

Purtroppo i suoi ricordi, gli scritti autografi, i prototipi degli strumenti da lui creati, e quelli da lui adoperati, sono andati quasi totalmente distrutti in un incendio che scoppiò nel 1899 a Como, e che mandò in fiamme l’esposizione elettrica a lui dedicata nel primo centenario della pila: e fu certo una grande perdita della quale tutti si dolsero per il grande valore storico che quei documenti e quegli oggetti avevano.

Nel 1901, il Re d’Italia, Vittorio Emanuele III, volendo dare ai discendenti un pubblico riconoscimento che tornasse ad onore del grande scienziato, concesse loro il titolo di Conte, trasmissibile in linea maschile e primogenita. Nello stemma dei conti Volta figura inquadrata la pila del loro glorioso antenato.