Matematica allegra/2c

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I grandi matematici greci
Il teorema

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Ma il suo nome è tra voi popolare per un famoso teorema. che costituisce la parte più importante del programma della 2a media, e che forse per questo motivo, molti insegnanti si riducono a insegnarvelo in fretta negli ultimi giorni di scuola. Il teorema di Pitagora, che i francesi chiamano «le pont de l’áne» forse per indicare che l’asinello deve passare quel ponte... per non esserlo più (o fors’anche per affermare che è un ponte così facile a superare che qualunque asino può riuscirvi), è notissimo nel suo testo, che dice: «In un triangolo rettangolo la somma dei quadrati costruiti sui due cateti è equivalente (ossia numericamente uguale) al quadrato costruito sopra l’ipotenusa».

E’ un teorema facile a ricordare e facile a dimostrare, tanto facile che ne esistono decine di dimostrazioni formalmente diverse: eppure quante lagrime ha provocato, quanti brutti voti, quante bocciature! e quante... benedizioni sono state mandate al povero Pitagora! Certo all’epoca degli esami il buon vecchio di Samo, lassù nel Paradiso degli scienziati non deve star troppo tranquillo! E’ vero che egli, conoscendo bene gli allievi della sua epoca, non dovrebbe commuoversi troppo dinanzi alle escandescenze di quelli d’oggi che, gira e volta, non differiscono troppo da quelli.

Com’egli giungesse alla formulazione del famoso teorema non si sa con esattezza: ma molte sono le versioni della sua scoperta. Vi dico subito che nessuna di esse è trascendentale, ma tutte invece si collegano a fatti pratici. La più ripetuta che perciò si presume più vicina al vero (vox populi) è quella che riguarda la sua casetta a Crotone. L’architetto che l’aveva costruita, dovendo accontentare un matematico di quella fatta, aveva disegnato il salone centrale in forma di triangolo rettangolo. Il vestibolo altro non era che un quadrato, con la parete al lato maggiore, ossia all’ipotenusa del salone; una camera anch’essa quadrata, aveva la parete appoggiata a uno dei lati del salone, e l’altra, quadrata pur essa, si appoggiava all’altro lato. Tralascio di descrivervi gli altri ambienti della casa, perché non ci interessano affatto.

Come voi avete subito capito, i quattro vani che vi ho descritto erano: un triangolo rettangolo, un quadrato di lato uguale all’ipotenusa. due quadrati di lati rispettivamente uguali ai due cateti. Era la casa di Pitagora, e per essa doveva valere il teorema del suo padrone: ma il brutto era che nessuno lo conosceva ancora.

Quando la casa fu fatta, il grande matematico si dichiarò, pienamente soddisfatto, e felicitò l’architetto, che aveva esattamente interpretato i suoi desideri. Chiamò quindi un vasaio di Crotone, famoso per aver lastricato con bei quadratini colorati alcune delle più belle case della città. - Vorrei lastricare, coprire con i tuoi bei quadratini il pavimento di tutte le camere, ma vorrei che per ogni camera il colore fosse diverso.

- Come vuoi, eccellente Maestro... Anzi, se mi lasci andare fino alla mia fornace, io ti porto subito gli ultimi tipi che ho preparato.

Avutone il consenso, partì di corsa, per ritornare poco dopo con un sacco sulla schiena che posò a terra, e dal quale cominciò a estrarre i bei quadratini. E’ inutile dire che la scelta dei colori da usare per ogni camera non fu tanto semplice, perché Pitagora non riusciva mai a decidersi; ma finalmente l’accordo fu raggiunto, in questo senso: che egli lasciava al vasaio, la libertà di usare i colori che riteneva più adatti alle caratteristiche di ogni camera.

Discussero poi sul prezzo, che fu fissato in una cifra per ogni quantitativo, indipendentemente dal colore.

- E ora che siamo d’accordo su tutto, andiamo a vedere l’interno della casa - disse Pitagora: e da gentil padrone, condusse il vasaio attraverso il vestibolo e la stanza triangolare, alle altre due stanze quadrate e al rimanente.

- Quante piastrelle occorreranno? - chiese poi, ansioso forse di sapere con esattezza l’ammontare della spesa. Non dimenticava, evidentemente, d’essere un buon levantino che conosce il peso del danaro...

- Non saprei, maestro: e non mi è facile poterlo calcolare così a occhio. L’unica cosa che posso dirti è questa: che il vestibolo e le due stanze quadrate, così, in modo grossolano, mi sembrano occupare la stessa superficie... e quindi necessiteranno d’un egual numero di quadratini.

- Non è possibile - ribatté Pitagora. - Ognuna delle due camere è molto più piccola del vestibolo.

- Infatti: ma io intendo dire che insieme, poco di più o poco di meno, vengono ad essere come il vestibolo.

- Tu sei un uomo pratico.... e bisogna sempre prestar fede agli uomini pratici.

- Sono trent’anni che faccio questo mestiere, maestro: le prime case di Crotone le ho pavimentate io.

- Ebbene, rimettiamoci alla pratica. Comincia a mettere le piastrelle nelle due camere, e contale esattamente... Poi le metterai nel vestibolo... e le conterai. Così vedremo se hai ragione tu.

- Allora posso cominciare?

- Quando vuoi. Ma, ohi, le piastrelle sono tutte uguali? Perché se una e più piccola e l’altra più grande, il nostro conto non torna più.

- Non temere, maestro, sono tutte perfettamente uguali: le faccio tutte con lo stesso stampo.

All’indomani mattina il vasaio cominciò il suo lavoro coadiuvato da due suoi operai e, nel primo giorno, riuscì a pavimentare la camera più piccola.

- Quanti quadratini ci sono voluti? - chiese alla sera Pitagora, ch’era molto compiaciuto del bel pavimento color rosa della camera.

- Novecento, maestro.

- Quanti però, eh!? - commentò il matematico, che sentiva risvegliarsi il suo spirito del Levante. - Ad ogni modo sono contento. E domani ce la farai a coprire il pavimento dell’altra?

- Farò il possibile, ma sarà difficile, perché è molto più ampia.

Ci vollero quasi due giorni: e a mezzo del pomeriggio del secondo giorno, Pitagora curioso e ansioso per doppia ragione, venne a conoscere che per la seconda camera erano occorse ben milleseicento piastrelle d’un bel celeste chiaro.

- Non sembrerebbe, eh? eppure ce ne vogliono tante così... - commentò un po’ amaramente.

Per il vestibolo il vasaio scelse il colore giallo, un giallo allegro, sorridente, invitante, e cominciò il lavoro il quarto giorno... Ci volle tutto il quarto, tutto il quinto e buona parte del sesto... Solo a metà del pomeriggio del sesto giorno Pitagora poté avere la bella notizia che il vestibolo era a posto.

- Quanti quadratini? chiese subito.

- Duemilacinquecento - rispose il vasaio.

- Eh?

- Duemilacinquecento.

- Ossia novecento più milleseicento.

- Mi pare: infatti abbiamo portato lo stesso numero di sacchi per questa e per le altre due insieme.

- Ma allora avevi ragione tu.

- Non ne ho mica merito io... è l’occhio

Il vasaio continuò a pavimentare il resto della casa, ma Pitagora non ebbe più pace per parecchi giorni. Più volte misurò le due camere e il Vestibolo, e più di una notte passò insonne.

Finalmente, dopo altri sei giorni il vasaio si presentò da lui e gli disse:

- Maestro, ho finito. - Anch’io – gli rispose il matematico: - ho finito anch’io. Ti ricordi che per le due camere e per il vestibolo hai indovinato: ma sai perché?

- Te l’ho detto... è l’occhio

- No: il perché te lo dico io... - e per la prima volta al mondo Pitagora formulò quella grande proprietà che è contenuta nel famoso teorema che porta il suo nome.

Proprio così, amici miei: e se non è andata proprio così, cosa volete farci? Vuol dire che sarà andata in un modo diverso.

E così avrei finito di parlarvi di Pitagora… ma prima di chiudere questo capitolo voglio ricordarvi uno dei principi ch’egli fissò, e che è supremamente vero: «I numeri sono l’essenza delle cose». Tenetelo sempre presente, questo principio: per esso potrete spiegarvi tanti fatti e tanti fenomeni che a prima vista vi sembrano privi di spiegazione.