Matematica allegra/2k

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I grandi matematici greci
La leva

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Si racconta a tal riguardo un episodio che vi riferisco senza giurare sulla sua autenticità. Gerone, tiranno di Siracusa e grande protettore e ammiratore di Archimede, aveva ordinato la costruzione di un grande palazzo nel quale voleva portare la Reggia. Nella sua idea questo palazzo doveva superare quanto era stato fatto fino a quel momento: furono convocati i migliori architetti e costruttori della Sicilia, e i lavori ebbero inizio. Ma Gerone, desideroso di veder presto ultimato quello che sarebbe restato come il suo monumento di gloria, e che pertanto si recava ogni giorno sui lavori, notò con dispiacere che l’opera procedeva molto lentamente.

Quando i re si dispiacevano, a quel tempo, passavano facilmente la misura: e i poveri architetti si videro minacciati di prigionia e di peggiori castighi, se non avessero accelerato i lavori. Essi si scusarono in un modo che irritò sulle prime il tiranno, ma che in un certo senso anche lo lusingò. Gli spiegarono che - onde tutte superare le altre costruzioni - avevano ordinato blocchi di marmo così grandi e tanto pesanti, che il solo muoverli costituiva una difficoltà quasi insuperabile e che, comunque, richiedeva un gran numero di uomini e moltissimo tempo. Gerone accettò per buone le scuse, e, ritiratosi nella reggia, pensò lungamente come avrebbe potuto rendere più spediti i lavori, ma dopo un paio di notti insonni dovette riconoscersi incapace di risolvere l’arduo problema. Immersosi nel bagno mattutino dopo la seconda notte insonne, ne ebbe una scossa così salutare, che il cervello intorpidito riprese a funzionare normalmente. Egli si diede allora una gran manata sulla fronte, ed esclamò: - Sono proprio un imbecille!...

Capisco quello che mi volete dire, a questo punto, e cioè che un re che faceva dichiarazioni di tal genere, nonostante il nome di “tiranno" doveva essere un re molto democratico: tanto più riflettendo che attorno a lui stavano uomini e donne della sua corte: camerieri, massaggiatori, guardie... i quali non avrebbero potuto in alcun modo contraddirlo. Ma non vi preoccupate: non fu il primo e non fu neanche l’ultimo fra i re che dovettero, a un certo punto della loro storica vita, fare tale poco gradevole constatazione.

Disse dunque: - Sono proprio -un imbecille! Ma perché non ricorro ad Archimede? Egli, son sicuro, è capace di tirar fuori qualche diavoleria per accelerare il trasporto di quei blocchi e rendere così più rapido il sorgere del grande palazzo.

Democratico tiranno, usci dalla reggia e raggiunse la casa del grande matematico, che lo accolse lietamente, non senza averlo fatto aspettare per un quarto d’ora nel vestibolo, perché intento a risolvere un problema. Contento d’aver raggiunto il suo scopo, si presentò al Sovrano ospite, e, udito il motivo della visita, si dichiarò felice di mettersi a sua disposizione, e lo seguì sul luogo dei lavori. I costruttori, con molta devozione gli spiegarono che la difficoltà maggiore consisteva nell’alzare i blocchi di marmo per poterli posare sui rulli e sui carrelli. Archimede promise il suo interessamento e, congedatosi dal tiranno, ritornò meditabondo a casa: ma non andò nel suo studio. Si trattenne nel giardino, e, dopo aver passeggiato su e giù per i viali, sedette sopra un sedile di marmo, e col viso volto verso la terra, continuò a riflettere. A un certo momento l’occhio gli cadde sopra una teoria di formiche che stavano trasportando pezzetti di pane e festuche; e notò che sia il pane che le festuche erano certo più pesanti di ognuna di esse. Non solo, ma essendo caduto un pezzetto di pane dalle spalle di una formica, e non essendo essa capace di ricaricarselo, vide una cosa curiosa: alcuni formiconi presero una festuca più solida delle altre e ne piantarono un estremo sotto il pezzetto di pane; e mentre la formica si metteva in posizione dalla parte opposta, essi si attaccavano all’altro estremo della festuca, che avevano sollevato da terra appoggiandola a una pietruzza. Miracolo! il pezzetto di pane, come se nulla fosse, fu alzato, e rovesciato sulla formica, che, col suo carico, riprese la sua via, nell’interminabile colonna.

La cosa interessò tanto lo studioso che, ritiratosi subito nel suo studio, in preda a un nervosismo che sempre lo afferrava nei momenti più intensi del suo lavoro, non volle vedere nessuno per tutto quel giorno, e non volle neanche prender cibo. Finalmente, a tarda sera, lanciò un grido di soddisfazione e, uscito in gran fretta di casa, si recò alla reggia, facendosi annunciare al re.

- Mio rege, il problema che tu mi hai posto stamane è risolto. Ho scoperto un principio per il quale potremo alzare facilmente i grossi blocchi di marmo, e guadagnare così gran tempo nella costruzione.

- Archimede, maestro, tu sei grande! e io mi inchino al tuo sapere.

- Mio rege, disponi che domani all’alba siano sul luogo dei lavori il maggior numero di paletti di ferro larghi mezzo palmo e lunghi venti palmi.

- Darò subito l’ordine alle fonderie reali.

L’indomani tutto andò come Archimede aveva previsto. Una coppia di paletti azionata da pochi uomini, riusciva ad elevare i blocchi di marmo in pochi minuti; e il lavoro poté così proseguire con grande celerità.

Era nata la leva, e precisamente la leva di 1° grado, e cioè quella nella quale una forza (la potenza) che agisce a un estremo della leva, che è appoggiata sopra un punto fisso (fulcro), vince una forza molto maggiore (resistenza) che agisce sopra l’altro estremo della leva stessa. È inutile che io vi spieghi qui, poiché tutti l’avete già studiato, il rapporto di proporzione che esiste fra la potenza, la resistenza, e le distanze del fulcro dall’una e dall’altra. Solo vi ricorderò che per vincere la resistenza occorrerà tanto minor potenza quanto più il fulcro sarà vicino alla resistenza; ma anche questo lo sapete benissimo.

La leggenda narra anche che Archimede, volgendosi al re, disse: - Mio rege! Datemi un punto d’appoggio, e io vi solleverò il mondo. Gerone, dice sempre la leggenda, in un impeto di generosità regale, disse ad Archimede che, in segno d’ammirazione, e, per compenso, gli avrebbe dato qualunque cosa egli avesse chiesto. Promessa pericolosa, a dire il vero: e che non si dovrebbe mai fare, per non correre rischi troppo gravi.

Ma, probabilmente, il re sapeva, per precedenti esperienze, che il grande scienziato era modesto nelle sue richieste.

Archimede pensò un momento, sorrise al re, e poi disse... No, quello che disse non ve lo voglio ancor dire. Vi prometto però di rivelarvelo più avanti in un capitolo nel quale vi esporrò alcuni problemini curiosi e... pericolosi. Pericolosi per gli allievi che devono risolverli, soprattutto: ma quello di quel giorno si dimostrò pericolosissimo per il generoso tiranno che, subito, aveva trovato molto limitata, e anzi troppo modesta, la richiesta di Archimede.