Matematica allegra/4b
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I grandi calcolatori
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Questa grande dote si manifesta normalmente nell’età infantile: e si manifesta subito in modo sommo, e indipendente dalla cultura del soggetto. Si tratta generalmente di un calcolo incosciente, manifestazione naturale di soggetti privi di istruzione. Fra questi i più celebri dei passato sono Dase, Bidder e Mangiamele; il primo e il terzo erano anormali in tutti i sensi, e rasentavano la stupidità. Secondo quanto racconta l’accademico inglese Pole, Federico Bidder trovava a memoria il logaritmo di un numero fino all’ottava cifra decimale, cosa assolutamente sbalorditiva. Egli aveva, sempre secondo il Pole, un potere quasi miracoloso di vedere, quasi intuitivamente, i fattori primi di un numero. Il rude e sciocco Dase fu forse di quelli citati il più felice calcolatore: e notate che aveva per la matematica un odio speciale, tanto che il maestro non riuscì nemmeno a insegnargli le quattro operazioni fondamentali.
Vito Mangiamele era un prodigio autentico, Nato a Sortino in provincia di Siracusa nel 1827, emigrato in Francia, a dieci anni rivelò le sue facoltà eccezionali. tanto da essere giudicato dall’Accademia delle Scienze di Parigi il più grande calcolatore di tutti i tempi. Pastorello a dieci anni, egli raggiunse però - vera eccezione fra i grandi calcolatori - una cattedra di matematica alla Sorbona: e morì nel 1897 a Toulouse.
Vi furono persone di più alta cultura quali l’astronomo Saord, che a 10 anni, in un minuto, faceva a memoria la moltiplicazione di due fattori di 18 cifre ognuno. Il matematico F. Gauss risolveva i quesiti mentre il professore li dettava: la scolaresca impiegava un’ora. L’arcivescovo inglese Whatey fu pure un grande calcolatore, e si manifestò fra i cinque e gli otto anni: altro prodigio fu il Blyth, che a sei anni, passeggiando, chiese al babbo: «Dimmi l’ora, il giorno, il mese e l’anno in cui sono nato». Saputolo, fece due passi, e con sicurezza esclamò: - Allora io ho tanti secondi.
Ma venendo più vicino a noi, due sono i calcolatori dell’epoca moderna che hanno suscitato maggior ammirazione in tutto il mondo, accompagnata da grande fama: Jacopo Inaudi e Pericle Diamandi.
Il primo era un buon contadino piemontese, nato ad Onorato, presso Dronero (Cuneo) il 15 ottobre 1867. Suo padre possedeva qualche campo, ma non poteva provvedere a sé e ai figli: morta la mamma di Jacopo, i tre figli - egli era il più piccolo e aveva 7 anni - andarono girovagando a dare spettacolo sopra le piazze, con una scimmietta, per fare qualche soldo. Passato il confine, giunsero a Tarbes, capoluogo del dipartimento francese degli Alti Pirenei, e quivi il piccolo Jacopo si smarrì. Riuscito a collocarsi come pastore presso un contadino poco lungi dalla città, portava al pascolo le pecore, e accompagnava il suo padrone sul mercato. Fu appunto sul mercato che Inaudi si accorse di saper far dei conti: mentre il padrone e i contraenti perdevano tanto tempo nel farli, lui, in un istante, diceva loro i risultati esatti, meravigliando tutti quanti.
Di questa sua abilità speciale volle subito - a ciò consigliato anche dal contadino suo padrone – usufruire e, recatosi a Marsiglia, si presentò come «numero di curiosità» fra gli avventori dei caffè, ottenendo applausi molti ma soldini pochissimi, finché non fu assunto come «groom» in un caffè. Nel gennaio del 1880, quando aveva 12 anni, al caffè capitò un parigino, il signor D’Ombloy, che, uditolo, lo volle portar con sé a Parigi, dove lo presentò al prof. Darboux, e al prof. Broca, presidente della Società Antropologica, che lo fece esibire nella sua Società, e poi all’Accademia francese delle Scienze; precisamente l’8 febbraio del 1880, egli fu quivi interrogato dai più grandi matematici della Francia. Dai giornali dell’epoca posso riportarvi gli esercizi che maggiormente sorpresero quel consesso di scienziati, tanto più che vennero eseguiti con una rapidità sensazionale. Meno di 30 secondi ognuno:
a) il prof. Darboux gli propose la sottrazione di due numeri di 19 cifre ognuno;
b) lo stesso gli chiese quale fosse il numero il cui cubo sommato col suo quadrato fa 3600;
c) i famosi professori Bertrand e Poincaré gli chiesero qual giorno della settimana fosse stato l’11 marzo 1822;
d) gli stessi gli proposero di trovare il valore di √(48012 - 1) : 6;
e) un altro professore gli chiese la 4a potenza di 425;
f) un altro infine gli chiese la radice ottava di 152.587.890.625.
Da quel momento la sua fama salì alle stelle, era completamente illetterato, e solo qualche anno dopo imparò a leggere e a scrivere. Ci fu anche chi si occupò di avviarlo agli studi, ma il ricordo di un altro grande calcolatore, il francese Henri Mondeaux che, assorbito negli studi regolari, dissolse in poco tempo la sua meravigliosa altitudine, sviò quel pensiero. Esibitosi a 13 anni alle «Folies Bergère» suscitò tale interesse e tale clamore da esser disputato a colpi di biglietti di grosso taglio, dai più noti impresari del mondo. Radunò in tal modo una fortuna rilevantissima, che gli permise, cambiati i tempi e il gusto del pubblico, di ritirarsi in ancor buona età nel natio paesello, a fare il ricco agricoltore.
Nota caratteristica di Jacopo Inaudi nelle sue esibizioni era questa: egli non guardava mai le lavagne sulle quali il suo segretario trascriveva i numeri dettati dal pubblico, per ricordarli al pubblico stesso, e per controllare i risultati dati a memoria dal calcolatore. Questi sentiva i numeri, e li trasmetteva alla centrale del suo cervello per via auditiva. Ivi i numeri venivano fissati in modo sicuro, tanto che - alla fine di ogni spettacolo - egli sapeva ripetere tutte le operazioni che gli erano state richieste, con i numeri relativi, e naturalmente con i risultati da lui calcolati.
Inaudi era un calcolatore nato: egli era l’uomo nato per i numeri. Il fatto stesso di non aver necessità di vedere il numero scritto per eseguire l’operazione, definisce la sua formidabile percezione. Potenza d’intuito numerico, disintegrazione e reintegrazione dei numeri (ossia scomposizione e ricomposizione), prodigiosa rapidità di esecuzione: queste erano le doti supreme di quella grande e perfetta macchina naturale che si chiamava Inaudi.
Ma anche per lui giunse l’ora del congedo, e nel 1952, a 85 anni, compì l’ultima operazione.
L’altro calcolatore famoso dei tempi moderni fu il greco Pericle Diamandi, nato nel 1868.
A quarant’anni, dopo aver girato per parecchi anni il mondo, egli pervenne a Parigi, dove si esibì, per prima cosa, nelle redazioni dei giornali, dov’erano stati invitati tutti gli esponenti della scienza parigina, suscitando enorme interesse.
Il fenomeno Diamandi presenta però caratteristiche diverse dal fenomeno Inaudi. Intanto egli non nacque calcolatore come il piemontese che già a sette od otto anni sbalordiva gli ascoltatori, pur mancando di qualsiasi forma anche elementare di istruzione (imparò a leggere più tardi): la prodigiosa facoltà del greco cominciò a manifestarsi quand’egli, diplomato contabile, si insediò nell’amministrazione di una casa di commercio, e precisamente di quella del padre. La contabilità pratica è l’ideale per esercitare e raffinare le facoltà del calcolo, per lo meno per quanto ha riguardo alle operazioni delle prime due classi; e voi sapete bene quali sono: addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione.
Fatto sta che a un certo punto il giovane Pericle, poco più che ventenne, fu tentato di esibirsi in questa sua sorprendente capacità non più dinanzi ai parenti e agli amici come aveva fatto fino ad allora, ma dinanzi al pubblico dello spettacolo regolare.
Questa prima differenza fra i due calcolatori, in fondo, è più apparente che reale. Indubbiamente sia l’uno che l’altro nacquero con quella dote eccezionale per ragioni che non si possono qui appurare e che, d’altra parte, interessano poco, nell’uno la manifestazione, (per precisare, la prima manifestazione) avvenne in una fase della vita, e nell’altro in una fase posteriore. Sarebbe grave errore ritenere che la facoltà del greco sia dovuta a un fatto esterno qual era il suo impiego contabile: al suo impiego fu dovuta per il maneggio obbligato dei numeri, soltanto la rivelazione di tale facoltà.
Differenza invece sostanziale fra i due fu la differente maniera di assorbire i numeri per comunicarli alla macchina calcolatrice del loro cervello. Inaudi, che già calcolava quando ancora non sapeva scrivere e leggere, non ebbe mai bisogno di vedere i numeri: infatti, nelle sue esibizioni egli stava seduto (o meno sovente in piedi) col viso verso il pubblico, dando le spalle alle lavagne sulle quali come ho già detto il segretario scriveva i numeri dettati dagli spettatori, e controllava i risultati. In altri termini egli li assorbiva nel periodo auditivo, e il cervello li riceveva sotto forma di suoni. Diamandi, invece, eseguiva i suoi calcoli solo dopo aver guardato fissamente i numeri proposti dal pubblico, che il segretario aveva scritto sulla lavagna. Evidentemente egli li assorbiva nel periodo successivo a quello auditivo (successivo perché aveva bisogno dei numeri scritti), ossia nel periodo visivo, quando li poteva vedere: il suo cervello riceveva i numeri sotto forma di luce e, s’intende, di segni.
Anche nel caso del greco ha indubbiamente agito il particolare ambiente numerico nel quale la sua facoltà si rivelò e poi si affinò: in sede contabile, i numeri erano per lui solo segni visibili, nessuno - né lui né altri - glieli aveva letti a voce alta (e come sarebbe stato possibile nell’ufficio di una casa di commercio?), ed egli eseguiva le operazioni solo come risultato di segni numerici, e non di suoni numerici. In tal modo si sviluppò certamente in lui. la dote ausiliare della vista, che messa istantaneamente in collegamento con le cellule della memoria e con la macchina calcolatrice del cervello (scusate se io continuo a chiamarla così... ma mi pare che ci capiamo meglio) - caratterizzò il suo lavoro calcolatorio.
Anche per il Diamandi ho fatto ricerche sui giornali del 1908, e posso riportare gli esercizi a lui proposti nella sede di un giornale parigino.
Per prima cosa gli venne dettato un quadrato di numeri composto di cinque linee e, naturalmente, di conseguenti cinque colonne di cifre - in tutto 25 cifre ch’egli guardò fissamente per una ventina di secondi, e che ripeté poi a memoria in tutti i sensi, compresi quelli diagonali. Esercizio tipicamente visivo, in quanto egli, senza dubbio fotografò nella sua memoria l’intero quadrato che, perciò, continuava a vedere anche quando aveva voltato le spalle alla lavagna. Pare, per di più, ch’egli dichiarasse di vedere dopo l’assorbimento, le cifre in nero s’erano scritte in bianco, e viceversa. Questo non lo potrei garantire, e non so se ci siano particolari ragioni per tale inversione di colori: ma non dobbiamo dimenticare che Diamandi era un greco, intelligente e furbo come tutti i suoi connazionali, che parlava a un gruppo di giornalisti, per preparare le sue esibizioni al pubblico pagante... e la pubblicità, lo sappiamo tutti, è l’anima del commercio.
Il secondo esercizio propostogli fu questo: quanti giorni, ore, minuti primi e minuti secondi sono in 134 anni? Esercizio non sbalorditivo in quanto si tratta di una serie di quattro moltiplicazioni successive: 134 x 365 48910; giorni 48910 + 33 giorni degli anni bisestili (o 34 se sono bisestili il 1° o il 2° anno della serie) = 48943 giorni (o 48944); 48943 (o 48944) x 24 = 1174632 (o 1174656) numero delle ore; 1174632 (o 1174656) x 60 = 70.477.920 (o 70.479.360) numero dei minuti primi; 70.477.920 (o 70.479.360) ~ x 60 = 4.228.675.200 (o 4.228.761.600) numero dei secondi contenuti in 134 anni.
Pare che questo fosse il «grande successo» della serata: ciò che prova l’assoluta incompetenza di quel pubblico, fra il quale stavano anche famosi scienziati. Si tratta, invero, di operazioni elementari, enormemente facilitate, inoltre, dal fatto che il Diamandi (rispondendo del resto al quesito) faceva trascrivere dal segretario i successivi risultati ch’erano altrettanti trampolini per il calcolo seguente.
Gli esercizi successivi formano veramente un esempio di prim’ordine di calcolo mnemonico, e avrebbero meritato per lo meno in parte il «grande successo» che i giornali dell’epoca registravano per il secondo. Questo gruppo proponeva, come primo calcolo, una moltiplicazione di un numero di cinque cifre per un numero di quattro cifre: peccato che non siano stati riportati i due numeri! Comunque egli disse il risultato in meno di 30 secondi: rapidità indubbiamente prodigiosa; il secondo esercizio del gruppo consisteva nell’estrazione della radice quadrata di un numero di 10 cifre, che Diamandi estrasse in due minuti, e il terzo - risolto col numero 2453 - richiedeva l’estrazione della radice cubica del numero di 11 cifre: 14.760.213.677. Il risultato fu da lui trovato in 3 minuti, troppi forse. (Intendiamoci! troppi per un formidabile calcolatore come lui, non certo troppi per uno di voi, cari ragazzi, che volesse cimentarsi nell’ardua prova. A mio parere avrebbe dovuto impiegare meno tempo - o per lo meno non di più - di quanto ne impiegò per fare la radice quadrata).
Provate un po’ a farla per iscritto, questa bella radice e vi metterete certo più di 3 e anche più di 6 minuti: ma, stupido che sono! dimenticavo che voi, per decreto superiore, scolari cari, non dovete affatto conoscere la radice cubica, della quale nei testi intelligentissimi d’oggigiorno si fa appena cenno, per dire ai ragazzi della seconda media che, sì, c’è anche la radice cubica, ma che non è necessario saperla calcolare... e perciò nelle classi successive, essi si trovano nella impossibilità di risolvere tanti problemini elementari della geometria, che richiedono l’estrazione della radice cubica. Vedi, p. e., il calcolo del lato del cubo, dato il volume; il calcolo del raggio della sfera, dato il volume, altri ancora.
Qualcuno di voi - mi pare di sentirlo - dice: «tanta roba di meno da studiare!». E così sia!
Ma riportandoci ancora per un attimo a quella lontana serata parigina di Periele Diamandi, i cronisti raccontano che, dopo gli esperimenti suddetti, venne servito un rinfresco, si chiacchierò del più e del meno, il calcolatore fu sottoposto ad un fuoco di fila di domande com’era logico ed anche giusto trovandosi egli in mezzo a tanti giornalisti… e quando il pubblico riprese posto, egli ripeté con vertiginosa velocità tutti i numeri prepostigli e i risultati da lui trovati nella prima parte, suscitando – com’è comprensibile – vivissimo entusiasmo.
Cosa eccezionale, questa? senza dubbio, poiché emanazione sorprendente di un uomo eccezionale. Ma non certo prodigiosa: confermava soltanto il perdurare, nella sua memoria, del fenomeno visivo. Così come, nell’Inaudi, che eseguiva pur egli, a chiusura di serata. quell’esercizio, significava il perdurare del fenomeno auditivo.
Mi pare di avervi detto abbastanza su questo interessante argomento: e vorrei che tutti voi, miei lettori, prendeste amore al calcolo, quell’amore che purtroppo molti insegnanti - forse perché anch’essi non san calcolare -, vi hanno fatto perdere. Abituatevi a calcolare, più che potete a memoria: non fate come purtroppo fanno certuni di voi, anche nelle scuole medie. che, per calcolare 5 + 4, oppure 12 x 3, ricorrono al foglietto staccato dove scrivono l’operazione. Ricordatevi che per i primi otto anni di scuola il calcolo è una parte principalissima della vostra formazione mentale; poi vi faciliterà enormemente certe operazioni sui logaritmi, (interpolazioni, per esempio), certe applicazioni trigonometriche, certe applicazioni delle matematiche finanziarie, della ragioneria, e di tutte le altre scienze matematiche. Nella vita, infine, il calcolo è tutto. Capisco che tutto questo dovrei dirlo a quei certi vostri insegnanti che lo ignorano.
Prima di chiudere voglio ancora rispondere a una domanda che la vostra intelligenza mi ha certo, silenziosamente, fatto: «Dopo Inaudi e Diamandi, non ci sono stati altri calcolatori?». Certo che ce ne sono stati, uomini e donne: di queste l’ultima che si è esibita in Italia è stata, come già vi ho detto, quella bella ragazza indiana che suscitò tanta meraviglia e tanta simpatia a Roma, così come in altre città europee e asiatiche. Ci fu anche, parecchi anni fa, un veneto, che ho avuto il piacere di ascoltare - ero studente di scuola media, a Torino, al bellissimo Collegio San Giuseppe - e che si chiamava, se ben ricordo, Zanaboni. Eseguiva, in verità, operazioni difficilissime, con rapidità quasi istantanea: mi fece un effetto sbalorditivo, e non l’ho dimenticato mai più. Mi ricordo che per lo Zanaboni presi un cappello che sembrava una tuba: vi ho detto che eseguiva operazioni veramente prodigiose. Questo nella prima parte. Nella seconda eseguiva un banalissimo esercizio mnemonico: si faceva dire dal pubblico il nome di due città o meglio di due stazioni ferroviarie della rete italiana, e ne diceva subito la distanza. In questo si doveva indubbiamente ammirare la forza di volontà e la costanza dell’uomo nell’imparare a memoria - sia pure facilitato da riferimenti ben noti, e tenendo presente che nel 1908 la rete ferroviaria italiana (Rete Mediterranea e Rete Adriatica) era molto lontana dallo sviluppo preso dal 1918 a oggi - nell’imparare a memoria, dico, tanti nomi di stazioni e relativi inquadramenti numerici. Ma non c’era nulla di prodigioso, nulla di superiore. Ebbene, lo credereste? quest’affare delle stazioni ottenne un successo molto più grande che la prima parte, veramente prodigiosa. V’ho detto che presi un cappello di altezza smisurata con tutto quel pubblico... Cappello che raggiunse l’altezza di un moderno grattacielo, quando lo stesso Zanaboni mi confessò che quel ch’era successo quella sera succedeva dovunque, con tutti i pubblici.
Quel prodigioso calcolatore non raggiunse la notorietà e la fortuna degli altri: certo perché non trovò un organizzatore capace di portarlo in giro per il mondo.