Matematica allegra/6b

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Il più grande matematico del Rinascimento Italiano
Le persecuzioni

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Galileo Galilei, con lo studio e l’osservazione si convinse che Copernico fosse nel vero, e dichiarò apertamente di aderire alla sua teoria. Questa sua affermazione suscitò qualche preoccupazione nel Governo della Repubblica, e qualcuno ritenne opportuno che il Galilei lasciasse l’Università di Padova. Proprio al momento giusto era giunta a lui una proposta di Cosimo II granduca di Toscana che, non vedendo di buon occhio che un tale scienziato toscano dovesse illustrare l’Ateneo di un altro Stato, gli offriva di trasferirsi a Firenze, per assumere l’incarico di «primario matematico» dell’Università di Pisa, e di «filosofo di Corte». Egli si recò perciò a Firenze, dove venne accolto con tutti gli onori dal Granduca, ed ebbe le feste più calorose della popolazione. Da quel momento ebbero inizio i suoi guai. Avendo egli diffuso dalla cattedra e anche con i libri le teorie del sistema solare copernicano, il Sant’Ufficio cominciò ad occuparsi di lui; nel 1616 infatti lo citò per la prima volta dinanzi al proprio tribunale, che lo ammonì e lo invitò ad abbandonare quelle teorie. Gli illustri uomini che componevano quel tribunale agivano in assoluta buona fede, ritenendo erronee e contrastanti con la Bibbia quelle idee. Invece erano loro stessi in errore, e in grave errore. Galilei, umilmente accettò l’ammonizione, ma non promise nulla. Sette anni dopo, 1623, pubblicò il Saggiatore, il libro polemico di cui ho già fatto cenno, e nel 1630 un’altra opera a sostegno delle teorie ritenute eretiche.

Successe quello che egli aveva previsto: denunciato questa volta molto gravemente al tribunale, dovette sottostare a un severo processo a Roma, che durò ben sei mesi, e cioè tutto il primo semestre del 1633.

Egli si difese come uomo e come scienziato, difese le sue teorie, ma il Tribunale non ammise alcuna attenuante a suo favore. Fu severissimo con lui, e lo sfibrò in una lunga serie di sedute e di discussioni che furono deleterie per il suo fisico già debilitato. Venne condannato ad abiurare alle sue affermazioni scientifiche, ossia a riconoscere solennemente ch’erano false, e ch’egli si era sbagliato: i libri furono destinati alle fiamme e Galilei relegato in carcere, con l’obbligo di recitare per alcuni anni lunghe preghiere. Per riguardo alla sua età - aveva quasi 70 anni! - dopo un breve periodo di carcere gli fu concesso di ritirarsi nella sua villa chiamata Il Gioiello in Arcetri, sobborgo di Firenze, col divieto di uscirne, se non per andare alla prima messa della domenica.

Uscendo dall’ultima seduta del processo, dove aveva dovuto rinnegare il risultato dei suoi studi, si racconta che si fermasse un attimo a guardare il sole, e poi più a lungo la terra, per poi esclamare, con tranquilla certezza: Eppur si muove! Voleva dire, e voi lo capite benissimo, che nonostante la sentenza del tribunale, nonostante la errata interpretazione dei testi antichi, la terra veramente si muoveva attorno al sole... Voleva anche dire che, prima o dopo, la verità si sarebbe fatta luce, e che nessuna sentenza avrebbe potuto nasconderla.

Una cosa dovete però subito notare nel gesto del grande pisano: egli, pur essendo convinto di essere nel vero, non si ribella alle disposizioni del tribunale che rappresenta l’autorità religiosa, si umilia, sconta la pena, più grave dal lato morale che dal lato fisico, e si ritira nello studio, nella meditazione e nel silenzio. Che differenza fra quel grande, e certi ragazzi che - quando credono d’avere un pochino di ragione - fanno il diavolo a quattro, si ribellano, combinano delle tragedie, se il professore o anche i genitori li rimproverano e li castigano!

Galilei, nella sua villa di Arcetri, perdette completamente la vista, che già da tempo era molto indebolita dal lungo studio e dalle sofferenze: ma questo terribile colpo non lo distolse dai suoi studi ch’egli continuò, assistito da un gruppo di discepoli veramente eccezionale, primo fra i quali Evangelista Torricelli, l’inventore del barometro.

La morte della adorata figlia primogenita, Suor Maria Celeste, monaca in San Matteo di Arcetri, avvenuta nel 1634, a poca distanza di tempo dalla fine del terribile processo, contribuì ad abbattere maggiormente il suo spirito. Egli amava profondamente quella figliola che con le sue amorose cure e con le numerose lettere - ne sono note 144 - sempre gli fu vicina, specialmente nei momenti tristi della sua vita: è facile pensare quanto egli soffrì per la sua scomparsa.

Nel lavoro e nello studio, terminò la sua vita, che si chiuse il 18 gennaio 1642, quand’egli stava per compiere il 78° anno. Il Granduca volle tributargli altissimi onori funebri, e lo volle tumulato in Santa Croce, la storica chiesa francescana di Firenze, che raduna i grandi italiani, tanto da essere poi chiamata dal Foscolo Pantheon delle Glorie d’Italia.