Matematica allegra/7

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Il principio e... l'immatura fine di Pascal

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Il principio e... l'immatura fine di Pascal
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Mentre a Firenze Galileo Galilei si avviava verso la tomba, in Francia cominciava ad affermarsi il genio di un giovinetto che doveva poi rimanere nella storia come uno dei più grandi matematici della Francia e del mondo.

Biagio Pascal era nato a Clermont Ferrand nel 1623, e subito aveva dimostrato una intelligenza così vivace da interessare tutti coloro che l’avvicinavano. Il padre, che era uno stimatissimo funzionario del Regno. ebbe la disgrazia di perdere la moglie poco tempo dopo la nascita del piccolo: decise perciò, di abbandonare la provincia che, senza la consorte, gli sembrava insopportabile. Riuscì ad ottenere il trasferimento nella capitale, e quivi si trovò in un ambiente letterario e scientifico veramente eletto: anche nella sua casa egli dava sovente accademie che culminavano in brillanti discussioni, sia su argomenti di scienza, che su argomenti letterari. Biagio, intanto cresceva, e non mancava mai a quelle discussioni, che ascoltava con un interesse veramente eccezionale per la sua età. Specialmente gli argomenti scientifici lo attraevano ed egli, ogni giorno di più, si sentiva attratto dalla matematica.

Ma il padre non la pensava così... si capisce che non era troppo entusiasta d’avere un figlio matematico: preferiva farne un brillante letterato. Le due volontà cozzarono con violenza. Nella decisione del padre non c’era la volontà di osteggiare il desiderio del figlio: ma l’ansia e la preoccupazione per la sua salute cagionevole. Sapeva, il padre, che la matematica era uno studio prepotente, senza requie, che tutto vuole per sé... e temeva che la troppa applicazione dovesse essere nociva per il ragazzo. Le lettere, invece, esigono minor sacrificio... un bel libro o una bella lirica non ammazzano il loro autore...

Successe che il papà, convinto di fare il bene del suo figliolo, gli assegnò un appartamentino della casa, facendogli divieto assoluto di uscirne: aveva a sua disposizione un servo, e una intera biblioteca di opere letterarie. Ci scommetto che molti di voi, cari lettori, sarebbero stati felici: un appartamentino da soli, un servitore, una biblioteca... che cosa si potrebbe desiderare di meglio? Biagio invece non fu contento: tutti quei libri bellissimi non riuscivano ad interessarlo che per brevi istanti della giornata... Egli sentiva che non erano quelli i libri che gli occorrevano, i libri che avrebbero potuto farlo felice. Ma il padre aveva così disposto, e non c’era che da obbedire. L’isolamento lo spinse maggiormente verso la matematica, ed egli - senza cercare altri libri - si creò da sé le teorie e i conseguenti teoremi. Le stanze del suo appartamentino divennero tante lavagne, sulle quali col gesso e col carboncino disegnò migliaia di figure, e fece innumerevoli calcoli.

Per quanto fosse digiuno di studi - e, diremo, non solo di studi, ma addirittura di basi - egli, senza libri, senza maestri, senza aiuti di alcun genere, a soli 12 anni, era riuscito a precisare molti dei principi geometrici euclidei. Figuratevi come restò il padre, quando, entrato nell’appartamento del figlio, si trovò dinanzi a tale macello! I papà di oggi, in un caso simile, penserebbero subito alla spesa necessaria per rimettere la tappezzeria e per ripulire i pavimenti: ma si vede che in quei tempi il danaro non era l’unica preoccupazione dell’uomo. Il padre di Biagio si indispettì perché il figlio aveva disubbidito ai suoi ordini, gettandosi a capofitto in quegli studi così dannosi per la salute! E se ne indispettì tanto che, lì per lì, non trovò le parole per i giusti rimproveri al figlio disubbidiente, ma più tardi, in una delle solite riunioni, raccontò il fatto agli illustri scienziati radunati.

Ma l’effetto che ottenne non fu quale egli aveva preveduto: gli illustri si commossero e si interessarono al racconto, e chiesero d’essere condotti subito nell’appartamento del ragazzo, per vedere che cosa aveva combinato. Quivi giunti, due di essi, famosi geometri dell’epoca, interrogarono Biagio su tutte quelle figure che aveva disegnato e su tutti quei calcoli. Egli, tranquillo e sorridente, rispose ad ogni domanda, diede ogni chiarimento, illustrò se stesso e, insieme, Euclide, che non aveva mai studiato.

Prima di uscire si felicitarono con lui e gli dissero:

- Continua! quella è la tua strada.

Preso poi per il braccio il padre annichilito, gli confidarono una gran cosa:

- Signor Pascal, lasciatelo fare: non dovete, non potete, stroncare un ingegno come quello di vostro figlio... anzi, un genio...

- Un genio?

- Lasciatelo seguire gli studi che ama e che sente: vostro figlio sarà domani una gloria vostra. I posteri ricorderanno il vostro nome per lui. Lasciatelo fare, signor Pascal, lasciatelo fare...

Il destino di Biagio era segnato: gli restò l’appartamento, e gli restò la biblioteca... solo i libri furono cambiati. Immaginatevi la sua felicità! Potersi finalmente dedicare con piena e totale libertà agli studi che gli erano cari, e ch’egli sentiva nel suo sangue e nel suo cuore!