Meditazioni sulla economia politica/VI

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Viziosa distribuzione delle ricchezze

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V VII


Il numero de’ venditori sarà sempre maggiore in una nazione a misura che le fortune saranno distribuite con maggiore uguaglianza, e sopra un maggior numero. Vediamo in fatti che ne’ paesi ove la sproporzjone delle ricchezze ci presenta il compassionevole contrasto della nuda affamata plebe, che dalle strade rimira l’orgoglioso fasto di alcuni pochi rigurgitanti di comodi e ricchezze, ivi scarsissimi sono i venditori di ogni merce tanto indigena che straniera, molti sono al paragone i compratori, e i prezzi talmente alti che pochissima esportazione posson fare agli esteri; l’annua riproduzione è ridotta stentatamente al necessario, la terra, su cui passeggiano uomini o avviliti o oppressori, mostra la sua faccia sterile e infeconda, tutto languisce e dorme aspettando o un Legislatore che voglia e possa, e sappia (combinazione fortunatissima!), o l’estremità dei mali, i quali sono i più funesti, ma forse gli unici precettori che persuadono con intima convinzione quale sia la strada della verità.

Quando le ricchezze della nazione sono costipate nelle mani di pochi, da quei pochi debbe il popolo ricevere l’alimento, e que’ pochi venditori dispotici del prezzo obbligheranno la plebe a una stentata dipendenza. I pochi magnati, arbitri d’ingojare colle loro ricchezze ogni classe di merce cagioneranno in questo Stato frequenti monipolj e frequenti carestie artificiali. Nessuna abbondanza, nessuna libertà civile troverassi presso di quella nazione; il Commercio vi sarà sconosciuto e l’agricoltura vi sarà negletta. Che se la sproporzione delle ricchezze sarà nella divisione delle terre, dico che l’agricoltura non potrà prosperarvi generalmente giammai; poichè se il gran terriere farà coltivare a conto proprio tutta l’estensione de’ suoi fondi v’è gran pericolo che anzi che tollerare l’affanno di assistere da vicino ad ogni punto della vasta sua proprietà con una inquietudine incessante, abbandonerà la direzione alla cura de’ mercenarj, e nel seno della opulenza dormendo egli, tutto si farà languidamente. Che se il gran terriere confiderà a un fittuario il suo fondo, il fittuario proccurerà di ritrarre dal fondo quanto più siagli fattibile per lo spazio in cui dura l’affitto, nulla curandosi poi quand’anche diventi sterile e deserto il fondo pel tempo a venire. Laddove il mediocre possessore punto dal proprio bisogno, capace di vegliare sopra di una estensione limitata, cauto nella conservazione non meno che per la fecondità della sua terra, vi proccura la riproduzione massima, e i prodotti del suolo originalmente ripartiti in più proprietarj vengono al mercato offerti da un maggior numero di venditori, e così al prezzo più mite; nè v’è opera grande destinata a preservare o arricchire un distretto, la quale se da un ricco terriere può intraprendersi, non si possa del pari eseguire dalla associazione di molti possessori. Quindi è, che laddove la proprietà delle terre sia ammassata in grandi porzioni, ivi l’agricoltura sicuramente sarà negletta; e per lo contrario in ogni paese che trovisi suddiviso in molti possessori, ivi l’agricoltura sarà attiva e industriosa, quand’anche fosse il terreno difficile e di poca fecondità.

La legge Agraria de’ Romani, l’anno giubilaico degi’Isdraeliti, varie Leggi di Licurgo, e d’altri antichi legislatori, avevano lo scopo d’impedire i grandi amassi e conservare la suddivisione de’ fondi. Erano leggi dirette, utili al fine dì preservare la Repubblica dalla tirannia di un solo, ma funeste al fine d’industria. La perpetua uniformità esattamente osservata toglierebbe l’emulazione, e farebbe in guisa che nessuno avendo lo stimolo del bisogno, tutto languirebbe, e si accosterebbe la società allo stato isolato, e selvaggio; la consumazione avrebbe per oggetto le sole produzioni interne, e quest’annua riproduzione non eccederebbe il minimo limite degl’interni bisogni. Le leggi dirette possono allontanare i delitti, ma non mai animare l’industria.

Nella troppa disuguaglianza delle fortune, egualmente che nella perfetta eguaglianza, l’annua riproduzione si restringe al puro necessario, e l’industria s’annienta, poichè il popolo cade nel letargo; sia ch’ei disperi una vita migliore, sia che non tema una vita peggiore.

Una nazione che sia di mezzo a questi due estremi, cioè, dove nè la plebe sia fra gli stenti d’una squallida povertà, nè sia tolta la speranza d’ingrandire e migliorar di fortuna, quella è in istato di ricevere le più felici impressioni che la spingano al bene, e se a questo stato non è una nazione, converrà preliminarmente ridurvela.

I mezzi per isminuzzare e dividere i patrimonj troppo ammassati, e far circolare i beni di fortuna sopra un maggior numero di uomini, non possono mai essere mezzi diretti, poichè sarebbe questo un attentato contro la proprietà, che è la base della giustizia in ogni società incivilita. Indirettamente ciò si potrà ottenere quando nell’ordine delle successioni alle eredità vengano dal legislatore uniformati tutt’i figli senza riguardo al sesso, e al tempo della loro nascita; quando nessuna porzione di terra, e nessun bene resti immutabilmente segregato dalla circolazione de’ contratti; quando alcune privative pompe che si arrogano i magnati vengano, o ad essi tolte, se hanno un principio di usurpazione, o rese comuni a un più gran numero; quando alcuni articoli di lusso puramente di ostentazione, e che si esercitano su merci straniere vengano più dall’esempio del legislatore, che da’ suoi editti proscritti; quando in somma s’interpongano questi mezzi indiretti, i quali benchè da principio riescano lenti, mantenuti però in vigore, non mancano di ottenere l’effetto, e di spandere sopra un più gran numero i beni ammucchiati su pochi.

Queste operazioni però sono da scegliersi e combinarsi con maggiore o minore energia a misura della civile costituzione di un popolo; essendo, come ognun vede, più conforme allo Stato popolare e Dispotico la possibile uguaglianza, ed allo Stato Monarchico e Aristocraticò la distinzione dei ceti e la perpetuità di essi.