Meditazioni sulla economia politica/XVI

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Dei Banchi pubblici

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XV XVII


Si è veduto quai buoni effetti possono produrre i Banchi pubblici per abbassare gl’interessi del denaro. L’invenzione dei banchi come quella delle lettere di cambio appartengono a questi ultimi secoli. Colle cedole si è introdotta una rappresentazione della merce universale sommamente comoda al trasporto, la quale per tutta la sfera, a cui si estende il credito deve accrescere sommamente la circolazione, e il rapido giro dei contratti. Sintanto che gli uomini si credono egualmente ricchi con una cedola di banco, o con una lettera di cambio di quel che si credono ricchi possedendo la merce universale, nella contrattazione si riceveranno più volentieri questi pezzi di carta, e queste promesse del denaro, che il denaro medesimo; perchè sommamente ne sono facili la custodia, e il trasporto. Simili invenzioni saranno di utilità a quegli Stati, ne’ quali la custodia della fede pubblica è confidata a un gran numero di uomini che hanno interesse a sostenerla, e che muniti della opinione pubblica si trovano talmente forti da non aver mai di che temere: poichè quanto più sono gli uomini che hanno interesse a sostenere la fede, e quanto più interesse vi hanno, e quanto più è sicura l’azione di essi, tanto è minore, come ognun vede, la probabilità che la fede pubblica sia tradita. Ma dovunque si possa col mutare di qualche circostanza cambiare il grado della fiducia pubblica verso di quelle rappresentazioni della merce universale, ivi saranno in pericolo di rivoluzione le opinioni, e le fortune private, nè mai queste instituzioni potranno ampliarsi al di là di un certo limite senza pericolo.

I Banchi fanno l’effetto di raddoppiare quella massa di merce universale che ricevono, poichè resta nello Stato e la merce universale e la di lei rappresentazione. Pare adunque che dovrebbero far accrescere i prezzi delle merci particolari; ma la rapida circolazione che introducono distribuendo il guadagno sopra un maggior numero di contratti può non solamente impedire l’innalzamento del prezzo, ma anche ribassarlo colla moltiplicazione sempre maggiore de’ venditori, e così accrescendosi le compre, e le vendite, e le consumazioni interne, si può accrescere in maggior proporzione l’annua riproduzione.

Se gl’interessi de’ Banchi pubblici fossero alti, questi farebbero il sommo male d’invitare i Cittadini a depositare su i banchi il loro capitale, e abbandonare ogni industria. Il pericolo della mala fede produrrebbe un buon effetto in quel caso, e a questo timor solo sarebbero debitrici l’agricoltura e le arti di non essere affatto derelitte. Gli Stati talvolta, allorchè sono giunti alla corruzione, ricevono un bene da quei principj medesimi che gli hanno corrotti, e la moltiplicità dei cattivi principj produce per avventura l’effetto che due principj distruttori e opposti si elidono scambievolmente. Tale sarebbe appunto questo, quando la dilapidazione usatasi del pubblico Erario avesse alienata la fiducia del popolo; si dovrebbero offrire interessi altissimi per avere gl’imprestiti, il che rovinerebbe l’industria se avesse effetto; ma la mala fede medesima dell’amministrazione, altro vizio pubblico, vi si opporrebbe, e l’effetto sarebbe o nullo o debolissimo.

Gli Stati più vasti, che hanno un esteso commercio colle più rimote nazioni ricevono più bene che male dai debiti pubblici fintanto che l’opinione del popolo non giunga a diffidare; ma gli stati più ristretti e subalterni poco bene risentono dai Banchi pubblici, e quel poco comodo viene largamente contrappesato dall’annua perdita che fa l’erario per il peso degl’interessi; laonde nel primo caso conviene rivolger le mire a perpetuare il debito nazionale, e nel secondo a saldarlo con mezzi più innocui che si può.