Michele Strogoff/Parte Prima/Capitolo V. Un'ordinanza in due articoli

Da Wikisource.
Parte Prima - Capitolo V. Un'ordinanza in due articoli

../Capitolo IV. Da Mosca a Nijni-Novgorod ../Capitolo VI. Fratello e sorella IncludiIntestazione 21 maggio 2023 100% Da definire

Jules Verne - Michele Strogoff (1876)
Traduzione dal francese di Anonimo
Parte Prima - Capitolo V. Un'ordinanza in due articoli
Parte Prima - Capitolo IV. Da Mosca a Nijni-Novgorod Parte Prima - Capitolo VI. Fratello e sorella

[p. 55 modifica]

CAPITOLO V.

un’ordinanza in due articoli.

Nijni-Novgorod, Novgorod la bassa, posta al confluente del Volga e dell’Oka, è il capoluogo del governo di questo nome. Era là che Michele Strogoff doveva abbandonare la ferrovia, la quale a quel tempo non andava oltre. Così adunque, mano mano ch’egli avanzava, i mezzi di comunicazione divenivano prima meno rapidi, poi meno sicuri.

Nijni-Novgorod, che solitamente conta solo da trenta a trentacinquemila abitanti, ne conteneva allora oltre trecentomila, e tale accrescimento era dovuto alla celebre fiera che si fa nelle sue mura pel periodo di tre settimane. Un tempo era Makariew che aveva il beneficio di tale concorso di abitanti, ma dopo il 1817 la fiera fu trasportata a Nijni-Novgorod.

La città, solitamente monotona, era dunque animatissima. Dieci razze diverse di negozianti, europei od asiatici, vi si affratellavano sotto l’influenza delle transazioni commerciali. [p. 56 modifica]

Benchè l’ora in cui Michele Strogoff lasciò la stazione fosse già inoltrata, vi era tuttavia grande adunamento di gente in quelle due città separate dal corso del Volga, che comprende Nijni-Novgorod, e la più alta delle quali, costrutta sopra una rupe scoscesa, è difesa da uno di quei forti che in Russia si chiamano «kreml.»

Se Michele Strogoff fosse stato costretto a soggiornare in Nijni-Novgorod, avrebbe stentato a scoprire un albergo od almeno un’osteria conveniente. Vi era folla; pure, siccome non poteva partir subito, dovendo imbarcarsi sullo steam-boat del Volga, dovette provvedersi un giaciglio qualsiasi; ma prima volle conoscere esattamente l’ora della partenza, e si recò agli uffici della Compagnia, i cui battelli fanno il servizio tra Nijni-Novgorod e Perm.

Colà, con suo gran dispiacere, apprese che il Caucaso, tale era il nome dello steam-boat, non partiva per Perm che il domani a mezzodì. Diciassette ore d’aspettazione! Cosa veramente disgustosa per un uomo tanto affrettato; eppure gli toccò rassegnarsi; e così fece, perchè egli non recriminava mai inutilmente.

D’altra parte nelle presenti circostanze nessun veicolo, telega, o tarentass, o berlina, o calesse, nè nessun cavallo l’avrebbe condotto più presto a Perm od a Kazan. Meglio dunque aspettare la partenza dello steam-boat — veicolo più rapido d’ogni altro e che dovea fargli riguadagnare il tempo perduto.

Ecco dunque Michele Strogoff girelloni per la città, in cerca di un albergo ove passar la notte. Ma di ciò poco s’inquietava, e se non era la fame a stimolarlo egli avrebbe probabilmente vagato [p. 57 modifica]fino al mattino nelle vie di Nijni-Novgorod. Più che d’un letto egli andava in cerca d’una cena. Ora trovò l’una cosa e l’altra all’insegna della «Città di Costantinopoli.»

Quivi l’albergatore gli offrì una camera decente, poco ammobiliata se vogliamo, ma a cui non mancavano l’immagine della Vergine, nè quella di alcuni santi con cornice di stoffa dorata. Gli furono subito imbanditi un’anitra farcita di ammorsellato acido, immersa in una densa crema, pane d’orzo, latte quagliato, zucchero in polvere misto con cannella, un vaso di kwass, specie di birra comunissima in Russia. Non ci voleva tanto per sfamarlo. Si sfamò dunque, e meglio assai del suo vicino di tavola, il quale in qualità di «vecchio credente» della setta dei Raskolnikz, avendo fatto voto d’astinenza, lasciava stare le patate sul piatto e non metteva zucchero nel tè.

Quand’ebbe cenato, Michele Strogoff, invece d’andarsene alla sua camera, riprese la passeggiata attraverso la città; benchè il lungo crepuscolo durasse ancora, già la folla si diradava, le vie si facevano a poco a poco deserte, e ciascuno se ne tornava a casa.

Perchè Michele Strogoff non si era messo a letto dopo un viaggio d’una giornata in ferrovia? Pensava egli forse alla giovine livoniana che per alcune ore era stata sua compagna? Non avendo nulla di meglio a fare ci pensava. Temeva che, perduta in quella città tumultuosa, fosse esposta a qualche insulto? Lo temeva, ed aveva ragione di temerlo. Sperava dunque egli d’incontrarla e di farsene protettore al bisogno? No; incontrarla era difficile, e quanto a proteggerla... con qual diritto? [p. 58 modifica]

— Sola, pensava egli, sola in mezzo a questi nomadi! oltre di che i pericoli presenti non sono nulla a petto di quelli che le riserba l’avvenire. La Siberia! Irkutsk! Ciò che io tento per la Russia e per lo czar essa lo intraprende... per... chi? perchè? Essa ha facoltà di passare la frontiera, e il paese al di là è sollevato! Frotte tartare corrono nelle steppe!

Michele Strogoff s’arrestava ad intervalli e tornava a riflettere.

— Senza dubbio, pensò egli, l’idea di viaggiare le è venuta prima dell’invasione! Forse essa medesima ignora quello che accade...; ma no; quei mercanti hanno discorso in faccia a lei dei torbidi della Siberia, ed essa non parve stupita, non ha nemmeno domandato alcuna spiegazione. Dunque sapeva, e sapendo va egualmente!... Povera giovinetta! Bisogna che il motivo che la spinge sia pur potente; ma per quanto coraggiosa essa sia, ed è tale di sicuro, le sue forze la tradiranno per via, e, senza parlar dei pericoli e degli ostacoli, non potrà sopportare le fatiche di un tal viaggio. Giammai essa potrà giungere ad Irkustk!

Frattanto Michele Strogoff andava sempre a caso, ma siccome conosceva benissimo la città, trovar la sua via non poteva essere imbarazzante per lui.

Dopo aver camminato un’ora circa, venne a sedersi sopra una gran panca addossata ad una casa di legno, che sorgeva in mezzo a molte altre in un’amplissima piazza.

Era là da cinque minuti, quando una mano gli si posò forte sulla spalla.

— Che fai tu qui? gli chiese con voce aspra un uomo d’alta statura che egli non aveva visto venire. [p. 59 modifica]

— Mi riposo, rispose Michele Strogoff.

— Avresti tu l’intenzione di passar la notte su quella panca? soggiunse l’uomo.

— Sì, se mi accomoda, aggiunse Michele Strogoff con accento troppo fiero in bocca al semplice mercante che doveva essere.

— Avvicinati! che ti si veda!

Michele Strogoff, ricordandosi che bisognava essere prudente, diede indietro per istinto.

— Non si ha bisogno di vedermi, rispose, e freddamente s’allontanò una diecina di passi dal suo interlocutore.

Gli parve allora, osservandolo bene, di aver da fare con una specie di zingaro, come se ne incontrano in tutte le fiere ed il cui contatto fisico o morale non è mai piacevole. Poi, guardando più attentamente nell’ombra che incominciava ad addensarsi, vide presso alla casa un gran carro, dimora usata ed ambulante di quegli zingari che formicolano in Russia, da per tutto ove vi è qualche kopek da guadagnare.

Frattanto lo zingaro aveva fatti due o tre passi innanzi e si preparava ad interpellare più direttamente Michele Strogoff, quando la porta della casa si aprì. Una donna, appena visibile, comparì, ed in idioma aspro, che Michele Strogoff riconobbe essere mongolo e siberiano, disse:

— Ancora una spia! Lascialo fare e vieni a cena. Il papluka 1 aspetta.

Michele Strogoff non potè trattenersi dal sorridere del titolo che si regalava a lui, che più d’ogni altra cosa temeva punto le spie.

Ma nella medesima lingua, benchè l’accento [p. 60 modifica]fosse differentissimo da quello della donna, lo zingaro rispose alcune parole, che dicevano:

— Hai ragione, Sangarre; d’altra parte, domani saremo partiti.

— Domani? replicò a bassa voce la donna con accento di lieve stupore.

— Sì, Sangarre, rispose lo zingaro, domani, ed è il Padre medesimo che ci manda.... dove vogliamo andare!

Ciò detto l’uomo e la donna rientrarono nel casotto la cui porta fu chiusa.

— Buono, pensò Michele Strogoff, se questi zingari non vogliono essere compresi, quando parleranno dinanzi a me faranno bene a servirsi di un’altra lingua.

Come Siberiano, o per aver passato l’infanzia nella steppa, Michele Strogoff, lo abbiamo detto, intendeva quasi tutti gli idiomi usati dalla Tartaria fino al mar Glaciale. Quanto al significato preciso delle parole scambiate fra lo zingaro e la sua compagna, non se ne diede altro pensiero. In che cosa ciò poteva interessarlo?

Essendo l’ora già molto tarda, egli pensò a tornare all’albergo per riposarvisi alquanto. Seguì nell’andarsene il corso del Volga, le cui acque sparivano sotto la tenebrosa massa d’innumerevoli battelli. La direzione del fiume gli fece allora riconoscere qual fosse il luogo che aveva lasciato. Quell’agglomerazione di carri e di casotti occupava per l’appunto la vasta piazza, in cui ogni anno si faceva il principale mercato di Nijni-Novgorod; il che spiegava l’adunamento dei giocolieri e degli zingari venuti da tutte le parti del mondo.

Michele Strogoff un’ora dopo dormiva d’un sonno un po’ agitato, sopra uno di quei letti russi che [p. 61 modifica]sembrano tanto duri agli stranieri, e il domani, 17 luglio, si svegliava che era giorno chiaro.

Cinque ore ancora da passare a Nijni-Novgorod gli parevano un secolo. Che poteva egli fare per occupar quella mattina, fuorchè vagare come la vigilia attraverso le vie della città? Fatta colazione, affibbiata la valigia, fatto vidimare dalla polizia il podarosna, altro non gli rimarrebbe che partire. Ma non essendo suo uso levarsi dopo il sole, lasciò il letto, si vestì, pose con cura la lettera dalle armi imperiali in fondo ad una tasca fatta nella fodera della sua tunica, su cui strinse la cintola, poi chiuse lo zaino e se l’assicurò sul dorso. Ciò fatto, non volendo tornare alla «Città di Costantinopoli,» e facendo conto di far colazione sulle sponde del Volga, presso all’imbarco, pagò lo scotto e lasciò l’albergo.

Per maggior precauzione, Michele Strogoff si recò prima di tutto agli ufficj degli steam-boats, e colà si assicurò che il Caucaso partiva proprio all’ora stabilita. Gli venne allora in mente per la prima volta cha dovendo la giovine livoniana pigliar la via di Perm, era possibilissimo che avesse anche il disegno d’imbarcarsi sul Caucaso, nel qual caso Michele Strogoff avrebbe fatto il viaggio con lei.

La città alta col suo kremlin, la cui circonferenza misura due verste e che rassomiglia a quello di Mosca, era allora molto abbandonata. Il governatore non vi abitava nemmeno più. Ma tanto la città alta era morta, altrettanto la città bassa era viva.

Michele Strogoff, dopo d’aver attraversato il Volga sopra un ponte di battelli, vigilato da Cosacchi a cavallo, giunse sul luogo medesimo in [p. 62 modifica]cui la vigilia aveva urtato in qualche attendamento di zingari. Era un po’ fuori della città che si faceva la fiera di Nijni-Novgorod, con cui quella medesima di Lipsia non potrebbe gareggiare. In una vasta pianura, al di là del Volga, sorgeva il palazzo temporaneo del governatore generale, ed è là cha risiede solitamente quest’alto funzionario finchè dura la fiera, la quale, in grazia degli elementi di cui si compone, richiede una sorveglianza continua.

Questa pianura era allora coperta di case di legno, simmetricamente disposte in guisa da lasciar fra di loro dei viali larghi tanto da permettere alla folla di circolare liberamente. Una certa agglomerazione di quei casotti di ogni grandezza e di ogni foggia formava un quartiere differente, dedito ad un genere speciale di commercio. Vi era il quartiere delle ferramenta, il quartiere delle pelliccie, il quartiere delle lane, il quartiere dei legnami, il quartiere dei tessuti, il quartiere dei pesci secchi, ecc. Alcune case erano anzi costrutte di materiali singolarissimi, le une con tè in mattoni, altre con massi di carne salata, vale a dire coi campioni delle mercanzie che i loro proprietari spacciavano agli avventori. Bizzarra maniera di chiamare gli avventori, che sa dell’americano!

In quei viali, lungo quei passaggi, essendo il sole molto alto sull’orizzonte, perchè quel mattino si era levato prima delle quattro, la folla era grande. Russi, Siberiani, Tedeschi, Cosacchi, Turcomani, Persiani, Georgiani, Greci, Ottomani, Indiani, Chinesi, straordinario miscuglio d’Europei e di Asiatici cianciavano, discutevano, peroravano, trafficavano. Tutto ciò che si vende e si compera, pareva essere stato ammucchiato in quella piazza: [p. 63 modifica]cavalli, cammelli, asini, battelli, carriole, tutto quanto può servire al trasporto delle mercanzie si trovava in quel campo di fiera: pelliccie, pietre preziose, stoffe di seta, scialli delle Indie, tappeti turchi, armi del Caucaso, tessuti di Smyrne o d’Isphan, armature di Tiflis, tè della carovana, bronzi europei, orologi svizzeri, velluti o sete di Lione, tessuti di cotone inglesi, attrezzi di carrozze, frutti, legumi, minerali dell’Ural, malachiti, lapislazzuli, armi, profumi, piante, medicinali, legnami, catrami, cordami, corni, zucche, ecc.; tutti i prodotti dell’India, della China, della Persia, del mar Caspio, del mar Nero, dell’America e dell’Europa, erano riuniti in quel punto del globo.

Era un viavai, un eccitamento, un pigiarsi, un frastuono di voci, di che non si può dare un’idea, poichè gl’indigeni della classe inferiore erano ciarlieri e gli stranieri non cedevano loro su questo punto. Vi erano mercanti dell’Asia centrale che avevano impiegato un anno ad attraversare le lunghe pianure, scortando le loro mercanzie, e che prima di un anno non dovevano rivedere le loro botteghe ed i loro uffizj. Insomma, tanta è l’importanza di questa fiera di Nijni-Novgorod, che la cifra delle transazioni non sale mai a meno di cento milioni di rubli 2.

Poi, sulle piazze, fra i quartieri di questa città improvvisata, era un’agglomerazione di giocolieri d’ogni fatta; di saltimbanchi ed acrobati che assordavano cogli urli e coi suoni della loro orchestra; di zingari, venuti dalle montagne, che dicevano la buona ventura ai monelli di un pubblico sempre nuovo; di zingari o tsigani — nome che i [p. 64 modifica]Russi danno agli antichi discendenti dei Cofti — che cantavano le loro arie più singolari e ballavano le danze più originali di commedianti; di teatri girovaghi che rappresentavano drammi di Shakespeare, adatti ai gusti degli spettatori che vi si recavano in folla. Poi nei lunghi viali, danze di orsi, condotti liberamente dai loro domatori, serragli echeggianti di rauche grida d’animali stimolati dallo scudiscio e dalla bacchetta infuocata del domatore. Infine, in mezzo alla gran piazza centrale, incorniciato da un quadruplice circolo di dilettanti entusiastici, un coro di «marinai del Volga,» seduti a terra come se fossero sul ponte delle loro barche, simulanti l’azione del remigare, sotto la bacchetta di un direttore d’orchestra, vero timoniere del battello immaginario.

Bizzarra e leggiadra costumanza! Sopra tutta quella folla, un nugolo di uccelli sfuggiva dalle gabbie, entro le quali erano stati portati. Stando all’uso molto seguito nella fiera di Nijni-Novgorod, in cambio di pochi kopek caritatevolmente offerti da anime pietose, i carcerieri aprivano la porta ai loro prigionieri, che se ne volavano via a centinaja mandando le loro piccole grida gioconde.

Tale era l’aspetto della pianura, tale doveva essere per sei settimane, chè tante ne dura solitamente la celebre fiera di Nijni-Novgorod.

E dopo quell’assordante periodo, l’immenso frastuono doveva cessare come per incantesimo, e doveva la città alta ripigliare il suo carattere uffiziale, e ricadere la città bassa nella sua consueta monotonia, e di questa enorme affluenza di mercanti, appartenenti a tutte le regioni d’Europa e dell’Asia centrale, non rimanere un venditore che [p. 65 modifica]avesse ancora qualche cosa da vendere, nè un compratore che ancora avesse qualche cosa da comperare.

Conviene aggiungere che questa volta almeno la Francia e l'Inghilterra erano rappresentate entrambe al gran mercato di Nijni-Novgorod da due dei prodotti più segnalati della moderna civiltà: i signori Harry Blount ed Alcide Jolivet.

Infatti i due corrispondenti erano venuti a cercare colà delle impressioni a profitto dei loro lettori, e spendevano del loro meglio le poche ore che avevano da perdere, perchè anch'essi dove- vano imbarcarsi sul Caucaso.

S’incontrarono appunto l’uno e l’altro sul campo della fiera, e non si stupirono gran fatto, perchè un eguale istinto doveva trascinarli sulla medesima pesta; ma sta volta non si parlarono quasi, limitandosi a salutarsi freddamente.

Alcide Jolivet, ottimista per natura, poteva del resto trovare che tutto andava benino, e siccome il caso gli aveva fortunatamente fornito la mensa ed il letto, egli aveva scritto nel suo taccuino alcune note segnatamente cortesi verso la città di Nijni-Novgorod.

Al contrario Harry Blount, dopo d’aver cercato invano da cena, si era visto costretto a coricarsi all’aria aperta. Ond’egli aveva visto le cose con altri occhi, e meditava un articolo fulminante contro una città in cui gli osti non volevano ricevere i viaggiatori, i quali altro non chiedevano che di lasciarsi scorticare moralmente e fisicamente.

Michele Strogoff, con una mano in tasca, tenendo nell’altra la lunga pipa dalla canna di visciolo, pareva il più indifferente ed il meno [p. 66 modifica]impaziente degli uomini. Pure, da certo corrugare della sopracciglia, un osservatore avrebbe facilmente riconosciuto ch’egli rodeva il suo freno.

Da due ore circa correva lungo le vie della città, per tornare invariabilmente al campo della fiera. Pur, circolando tra i crocchi, egli osservava che una reale inquietudine si mostrava in tutti i mercanti venuti dalle regioni vicine all’Asia. Le transazioni ne soffrivano visibilmente. Che i giocolieri, i saltimbanchi e gli equilibristi facessero gran chiasso dinanzi ai loro casotti, ciò si capiva, perchè i poveri diavoli nulla avevano da arrischiare in un’impresa commerciale; ma i negozianti esitavano ad impegnarsi coi trafficanti dell’Asia centrale, il cui paese era turbato dall’invasione tartara.

Altro sintomo che doveva essere notato: in Russia l’uniforme militare apparisce in tutte le occasioni. I soldati si mescolano volentieri alla folla, ed appunto a Nijni-Novgorod, durante quel periodo della fiera, gli agenti della polizia sono solitamente ajutati da molti Cosacchi, che colla lancia sulla spalla mantengono l’ordine in una folla di 300 mila stranieri.

Ora, in quel giorno i militari, Cosacchi ed altri, mancavano nel gran mercato. Senza dubbio, prevedendo un’improvvisa partenza, erano stati trattenuti nelle loro caserme.

Pure, se i soldati non si mostravano, non così era degli uffiziali. Dalla vigilia gli ajutanti di campo, partendo dal palazzo del governatore generale, si slanciavano in tutte le direzioni. Avveniva dunque un movimento inconsueto, che solo la gravità degli avvenimenti poteva spiegare. Le staffette si moltiplicavano sulle vie della provincia, sia dalla [p. 67 modifica]parte di Wladimir, sia da quella dei monti Urali. Lo scambio dei dispacci telegrafici con Mosca e S. Pietroburgo era continuo. Evidentemente la situazione di Nijni-Novgorod, non lungi dalla frontiera siberiana, esigeva serie precauzioni. Non si poteva dimenticare che nel secolo XIV la città era stata presa due volte dagli antenati di quei Tartari che l’ambizione di Féofar-Kan gettava attraverso le steppe kirghize.

Un altro personaggio, non meno occupato del governatore generale, era il mastro di polizia. I suoi ispettori ed egli, incaricati di mantener l’ordine, di ricever reclami, di vegliare alla esecuzione dei regolamenti, non oziavano. Gli uffizî dell’amministrazione, aperti notte e giorno, erano continuamente assediati così dagli abitanti della città, come dagli stranieri, europei od asiatici.

Ora Michele Strogoff si trovava appunto sulla piazza centrale, quando si sparse la voce che il mastro di polizia era stato chiamato per istaffetta al palazzo del governatore generale. A quel che si diceva, un importante telegramma venuto da Mosca aveva prodotto questo tramutamento.

Il mastro di polizia si recò dunque al palazzo del governatore, e subito, come per un presentimento generale, circolò la notizia che qualche grave misura, assolutamente impreveduta ed inconsueta, doveva essere presa.

Michele Strogoff ascoltava quanto si diceva per approfittarne all’occorrenza.

— Si chiuderà la fiera! esclamava uno.

— Il reggimento di Nijni-Novgorod ha ricevuto l’ordine della partenza! rispondeva l’altro.

— Si dice che i Tartari minacciano Omsk!

— Ecco il mastro di polizia! si gridava da tutte le parti. [p. 68 modifica]

Un gran frastuono era sorto d’un subito, ma si dissipò a poco a poco e vi succedette un silenzio assoluto. Ciascuno presentiva qualche grave comunicazione da parte del governo.

Il mastro di polizia, preceduto dai suoi agenti, aveva lasciato il palazzo del governatore generale. Un drappello di Cosacchi l’accompagnava e faceva stare indietro la folla a spintoni, dati violentemente e pigliati con pazienza.

Il mastro di polizia giunse in mezzo alla piazza centrale, e ciascuno potè vedere che aveva in mano un dispaccio.

Allora ad alta voce lesse la dichiarazione seguente:

Ordinanza del governo di Nijni-Novgorod.

«1.° Proibizione a qualunque suddito russo d’uscire dalla provincia, per qualsiasi causa.

«2.° Ordine a tutti gli stranieri di origine asiatica di lasciar la provincia entro 24 ore.»

Note

  1. Specie di focaccia.
  2. Circa 393 milioni di franchi.