Michele Strogoff/Parte Prima/Capitolo XII. Una provocazione

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Parte Prima - Capitolo XII. Una provocazione

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Jules Verne - Michele Strogoff (1876)
Traduzione dal francese di Anonimo
Parte Prima - Capitolo XII. Una provocazione
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CAPITOLO XII.

una provocazione.



Ekaterinburgo, geograficamente, è una città d’Asia, giacchè è situata al di là dei monti Urali, sulle ultime balze orientali della catena. Nondimeno, essa dipende dal governo di Perm, e per ciò è compresa in una delle gran divisioni della Russia Europea. Questa distribuzione amministrativa deve avere il suo perchè. È come un boccone della Siberia che rimane fra le mascelle russe.

Nè Michele Strogoff nè i due corrispondenti potevano essere imbarazzati per trovare i mezzi di locomozione in una città così estesa, fondata dal 1723. Ad Ekaterinburgo sorge la prima zecca di tutto l’impero; colà è concentrata la direzione generale delle miniere. Questa città è dunque un centro industriale importante, in cui abbondano le officine metallurgiche ed altri traffici dove si lavano il platino e l’oro.

A quel tempo, la popolazione di Ekaterinburgo si era accresciuta. Russi e Siberiani, minacciati dall’invasione tartara, vi erano affluiti, dopo di aver fuggito le provincie già invase dalle orde di Féofar-Kan, e segnatamente il paese kirghiso, [p. 32 modifica]che s’estende al sud-ovest dell’Irtyche fino alle frontiere del Turkestan.

Se adunque i mezzi di locomozione avevano dovuto essere scarsi per giungere ad Ekaterinburgo, abbondavano invece per lasciar questa città. Nelle presenti congiunture, i viaggiatori poco amavano, infatti, avventurarsi sulle vie siberiane.

Da questo concorso di circostanze risultò che Harry Blount ed Alcide Jolivet trovarono facilmente da sostituire con una telega completa la famosa mezza telega che alla meglio avevali trasportati ad Ekaterinburgo. Quanto a Michele Strogoff, il tarentass gli apparteneva, ed egli non aveva sofferto troppo dal viaggio attraverso i monti Urali; bastava aggiogarvi tre buoni cavalli per trascinarlo rapidamente sulla via di Irkutsk.

Fino a Tiumen, ed anco fino a Novo-Zaimskoë, questa via doveva essere abbastanza accidentata, perchè essa si svolgeva ancora su quelle capricciose ondulazioni del suolo che dánno origine alle prime balze dell’Ural. Ma dopo la prima tappa di Novo-Zaimskoë cominciava l’immensa steppa che si stende fino in vicinanza di Krasnoiarsk, sopra uno spazio di 1700 verste circa (1815 chilometri).

Era ad Ichim, s’intende, che i due corrispondenti avevano intenzione di recarsi, vale a dire a 670 verste da Ekaterinburgo. Colà dovevano consigliarsi secondo gli avvenimenti, poi dirigersi attraverso le regioni invase, o insieme o separatamente, secondo che i loro istinti di cacciatori gli avessero a gettare sopra una pesta o sopra un’altra.

Ora, questa strada da Ekaterinburgo ad Ichim — che si dirige verso Irkutsk — era la sola che [p. 33 modifica]Michele Strogoff potesse prendere. Solamente, egli che non correva dietro alle notizie, e che, al contrario, avrebbe voluto evitare il paese devastato dagli invasori, era proprio risoluto di non fermarsi in nessun luogo.

— Signori, disse egli dunque ai suoi nuovi compagni, io sarei contentissimo di far con voi una parte del mio viaggio, ma vi devo avvertire che ho immensa fretta di giungere ad Omsk, perchè mia sorella ed io andiamo a raggiungere nostra madre. Chissà anzi se giungeremo prima che i Tartari abbiano invasa la città! Io non mi arresterò dunque alle poste che il tempo di cambiare i cavalli, e viaggerò giorno e notte.

— Noi facciamo conto di fare altrettanto, rispose Harry Blount.

— Sia pure, ripigliò a dire Michele Strogoff, ma non perdete un istante. Noleggiate o comperate una carrozza, che....

— Che non abbia, interruppe Alcide Jolivet, che non abbia da dimezzarsi per via, e giunga tutta d’un pezzo ad Ichim.

Mezz’ora dopo, il diligente Francese aveva trovato con facilità un tarentass, pressochè simile a quello di Michele Strogoff, ed in cui il suo compagno e lui s’accomodarono subito.

Michele Strogoff e Nadia ripresero posto nel loro veicolo, ed a mezzodì i due equipaggi lasciarono insieme la città di Ekaterinburgo.

Nadia era finalmente in Siberia e su quella lunga strada che conduce ad Irkutsk! Quali dovevano essere allora i pensieri della giovane livoniana? Tre rapidi cavalli la trasportavano verso quella terra dell’esilio, dove il padre suo era condannato a vivere forse lungamente, e così lontano [p. 34 modifica]dal suo paese, natale! Ma a malapena vedeva essa svolgersi dinanzi agli occhi suoi quelle lunghe steppe, che per un istante le erano state chiuse, mentre il suo sguardo si spingeva al di là dell’orizzonte, cercando le sembianze dell’esiliato. Essa nulla vedeva del paese che attraversava con quella velocità di 15 verste all’ora, nulla di quelle regioni della Siberia occidentale così differenti dalle regioni dell’est. Qui, infatti, pochi campi coltivati, un suolo povero, almeno alla superficie, perchè nelle sue viscere cela abbondante il ferro, il rame, il platino e l’oro. Così, da per tutto traffici industriali, ma scarsi stabilimenti agricoli. Come trovar braccia per coltivare la terra, seminare i campi, raccogliere le messi, quando è più produttivo frugare il suolo a colpi di mina e di piccone? Qui il contadino ha fatto posto al minatore. Da per tutto è la zappa; la vanga non è in nessun luogo.

Pure il pensiero di Nadia abbandonava talvolta le lontane provincie del lago Baikal, e si riportava allora alla sua condizione presente. Si cancellava alquanto l’immagine del padre suo, ed essa rivedeva il generoso compagno, prima sulla ferrovia di Wladimir, dove qualche disegno provvidenziale glielo aveva fatto incontrare. Si ricordava le sue cure durante il viaggio, il suo arrivo alla casa di polizia di Nijni-Novgorod, la cordiale semplicità con cui le aveva parlato chiamandola col nome di sorella, le sue premure durante la discesa del Volga, infine tutto ciò ch’egli aveva fatto in quella notte terribile d’uragano, attraverso i monti Urali, per difenderle la vita col pericolo della propria!

Nadia pensava dunque a Michele Strogoff. Essa [p. 35 modifica]ringraziava Dio di avere collocato in tempo sulla sua via quel valoroso protettore, quell’amico generoso e discreto. Accanto a lui, sotto la sua custodia, si sentiva al sicuro, perchè un fratello vero non avrebbe potuto fare di meglio! Essa non temeva più verun ostacolo, si credeva oramai sicura di giungere alla sua meta.

Quanto a Michele Strogoff, parlava poco e rifletteva molto. Egli ringraziava Dio, dal canto suo, di avergli dato in questo incontro di Nadia, insieme col mezzo di nascondere il suo vero essere, una buona azione da fare. La serena intrepidezza della giovinetta piaceva molto all’anima sua coraggiosa. Perchè mai non era sua sorella? Egli provava rispetto ed affetto insieme per la sua bella ed eroica compagna. Giudicava in lei uno di quei cuori puri e rari sui quali si può fare assegnamento.

Ma dacchè egli premeva il suolo siberiano erano cominciati i veri pericoli. E i due giornalisti non s’ingannavano: se Ivan Ogareff aveva passata la frontiera bisognava agire colla massima circospezione. Le circostanze erano oramai mutate, perchè le spie tartare dovevano formicolare nelle pianure siberiane. Svelato il suo incognito, riconosciuta la sua qualità di corriere dello czar, addio la sua missione, e forse anco la vita! Allora Michele Strogoff sentì più grave il peso della sua responsabilità.

Mentre le cose erano in questi termini nel primo veicolo, che accadeva nel secondo? Nulla di singolare. Alcide Jolivet parlava a frasi, Harry Blount rispondeva a monosillabi. Ciascuno considerava le cose a modo suo, e pigliava note sui pochi incidenti del viaggio, — incidenti che [p. 36 modifica]furono del resto pochissimo variati in quella traversata delle prime pianure della Siberia occidentale.

Ad ogni sosta, i due corrispondenti scendevano, e si trovavano con Michele Strogoff. Quando non dovevano fare alcun pasto, Nadia non lasciava il tarentass; se invece bisognava far colazione o desinare, essa veniva a sedersi a mensa; ma, sempre riservata, pigliava poca parte alla conversazione.

Alcide Jolivet, senza del resto uscire mai dai limiti d’una perfetta convenienza, era sempre premuroso e garbato colla giovane livoniana, che trovava leggiadrissima. Ammirava l’energia silenziosa che essa mostrava in mezzo alle fatiche d’un viaggio fatto in così dure condizioni.

Quelle fermate necessarie andavano poco a sangue a Michele Strogoff, il quale, ad ogni tappa, affrettava la partenza, eccitando i mastri di posta, stimolando gli iemschick. Poi, fatto il pasto alla lesta, — troppo alla lesta rispetto ai gusti di Harry Blount, il quale era un mangiatore, — si partiva, ed i giornalisti, anch’essi, erano trasportati come aquile, perchè pagavano principescamente, e, come diceva Alcide Jolivet, con aquile di Russia1.

S’intende che Harry Blount non badava menomamente alla giovinetta; questo era anzi uno dei pochi argomenti di conversazione nel quale egli non cercasse di discutere col suo compagno. L’onorevole gentiluomo non aveva l’abitudine di far due cose alla volta. [p. 37 modifica]

Ed avendogli Alcide Jolivet chiesto quale potesse essere l’età della giovane livoniana:

— Qual giovane livoniana? chiese colla massima serietà socchiudendo gli occhi.

— Perdinci! la sorella di Nicola Korpanoff!

— È sua sorella?

— No, sua nonna! ribattè Alcide Jolivet irritato da tanta indifferenza. — Quanti anni le date?

— Se l’avessi vista nascere lo saprei! rispose semplicemente Harry Blount, da uomo che non voleva compromettersi.

Il paese allora percorso dai due tarentass era quasi deserto. Il tempo era abbastanza bello; il cielo coperto a mezzo, la temperatura più sopportabile. Con veicoli meglio sospesi, i viaggiatori non avrebbero avuto a lamentarsi del viaggio. Essi andavano come le berline da posta a Russia, vale a dire con meravigliosa rapidità.

Ma se il paese pareva abbandonato, questo abbandono dipendeva dalle odierne circostanze. Nei campi, pochi o nissun contadino siberiano dalla faccia pallida e grave, che una celebre viaggiatrice ha paragonato giustamente ai Castigliani, meno l’alterigia. Qua e là qualche villaggio già abbandonato: il che indicava l’accostarsi delle truppe tartare. Gli abitanti, conducendo seco i greggi di montoni, i cammelli ed i cavalli, si erano rifugiati nelle pianure del nord. Alcune tribù della grand’orda dei Kirghizi nomadi, rimasti fedeli, avevano esse pure trasportate le tende al di là dell’Irtyche o dell’Obi per sottrarsi alle rapine degli invasori.

Fortunatamente il servizio della posta si faceva sempre con regolarità — del pari il servizio del telegrafo fino ai punti che il filo si congiungeva [p. 38 modifica]ancora. Ad ogni stazione i mastri di posta fornivano i cavalli nelle condizioni regolamentari. Ad ogni stazione pure gli impiegati, seduti al loro scrittojo, trasmettevano i dispacci che venivano loro affidati, ritardando solo per i telegrammi dello Stato. Harry Blount ed Alcide Jolivet ne usavano largamente.

Così dunque, sin qui, il viaggio di Michele Strogoff si compiva in condizioni soddisfacenti. Il corriere dello czar non aveva provato alcun ritardo, e se egli riusciva a fare il giro della punta fatta prima di Krasnoiarsk dai Tartari di Féofar-Kan, era certo di giungere prima di essi ad Irkutsk e nel minimo tempo necessario.

Il domani del giorno in cui i due tarentass avevano lasciato Ekaterinburgo, essi giungevano alla piccola città di Tuluguisk, alle sette del mattino, dopo d’aver percorso una distanza di 220 verste senza un incidente degno d’essere riferito.

Colà fu consacrata una mezz’ora alla colazione. Ciò fatto, i viaggiatori ripartirono con una velocità che solo la promessa d’un certo numero di kopek rendeva spiegabile.

Il medesimo giorno, 22 luglio, a un’ora pomeridiana, i due tarentass giungevano a 60 verste più lungi: a Tiumen.

Tiumen, la cui popolazione normale è di diecimila abitanti, ne contava allora il doppio. Questa città, primo centro industriale che i Russi crearono in Siberia, di cui si notano le belle officine metallurgiche e la fonderia di campane, non era mai stata tanto animata.

I due corrispondenti andarono subito a caccia di notizie. Quelle che i fuggitivi siberiani portavano dal teatro della guerra non erano punto rassicuranti. [p. 39 modifica]

Fra le altre cose si diceva che l’armata di Féofar-Kan s’accostava rapidamente alla valle dell’Ichim, e si confermava che il capo tartaro doveva essere presto raggiunto dal colonnello Ivan Ogareff, se già non l’era. Da ciò la conclusione naturale, che le operazioni sarebbero allora spinte nell’est della Siberia colla massima alacrità.

Quanto alle truppe russe era bisognato chiamarle principalmente dalle provincie europee della Russia, ed essendo ancora abbastanza lontane non potevano opporsi all’invasione. Frattanto i Cosacchi del governo di Tobolsk si dirigevano a marcie forzate sopra Tomsk nella speranza di tagliare le colonne tartare.

Alle otto pomeridiane, settantacinque verste di più erano state divorate dai due tarentass, che giungevano a Yalutorowsk.

Si fece rapidamente il cambio dei cavalli, ed all’uscir dalla città fu passato il fiume Tobol in un guado. Il suo corso tranquillissimo rese facile quest’operazione, che doveva rinnovarsi più d’una volta per via e probabilmente in condizioni meno favorevoli.

Alla mezzanotte, 55 verste più oltre (58 chilometri e mezzo) i viaggiatori giungevano al borgo Novo-Saimsk e si lasciavano finalmente alle spalle il suolo leggermente accidentato di colline, ultime radici delle montagne dell’Ural.

Qui cominciava veramente quel che si chiama la steppa siberiana, che si prolunga fino ai dintorni di Krasnoiarsk. Era la pianura senza confini, una specie di vasto deserto erboso, nella circonferenza del quale si confondevano terra e cielo con una curva che pareva esattamente tracciata col compasso. Questa steppa non offriva agli [p. 40 modifica]sguardi altre sporgenze che i profili dei pali telegrafici disposti lungo la strada, ed i cui fili vibravano al vento come corde d’arpa. La via medesima non si distingueva dal resto della pianura se non per la polvere fina che si levava sotto le ruote dei tarentass. Se non era quel nastro bianchiccio che si svolgeva a perdita d’occhio, si avrebbe potuto credere d’essere nel deserto.

Michele Strogoff ed i suoi compagni si lanciarono con velocità ancora maggiore attraverso la steppa. I cavalli eccitati dall’iemschik, e non trattenuti da verun ostacolo, divoravano la via. I tarentass correvano direttamente verso Ichim, là dove i due corrispondenti dovevano arrestarsi se nessun avvenimento veniva a modificare il loro itinerario.

Dugento verste circa separano Novo-Saimsk dalla città d’Ichim, ed il domani, prima delle otto pomeridiane, dovevano e potevano esser valicate, a patto di non perdere un istante. Nel pensiero degli iemschik, se i viaggiatori non erano gran signori od alti funzionari, erano degni d’esserlo, non foss’altro che per la loro generosità nel dare le mancie.

Il domani, infatti, i due tarentass non erano più che a trenta verste da Ichim.

In quella Michele Strogoff vide sulla via, visibile appena in mezzo alle volute di polvere, un veicolo che precedeva il suo. Siccome i suoi cavalli, meno stanchi, correvano con maggior rapidità, non doveva tardare a raggiungerlo.

Non era nè un tarentass, nè una telega, ma una berlina da posta tutta polverosa, che doveva aver già fatto un lungo viaggio. Il postiglione [p. 41 modifica]picchiava i suoi cavalli a più non posso, e li manteneva al galoppo a forza di ingiurie e di percosse. Questa berlina non era certamente passata da Novo-Saimsk e non aveva dovuto raggiungere la via d’Irkutsk che per qualche sentieruolo perduto della steppa.

Michele Strogoff ed i suoi compagni vedendo quella berlina, che correva verso Ichim, ebbero un medesimo pensiero, passarle innanzi e giungere prima di essa per assicurarsi anzitutto i cavalli disponibili. Dissero dunque una parola ai loro iemschik, che si trovarono a breve andare nella medesima linea colla muta sfinita della berlina.

Fu Michele Strogoff che giunse primo.

In quella una testa apparve alla portiera della berlina.

Michele Strogoff ebbe appena il tempo di osservarla. Ma per quanto presto egli passasse, udì distintamente questa parola pronunciata con voce imperiosa ed a lui diretta:

— Fermate!

Nessuno si fermò, tutt’altro, la berlina fu lasciata indietro dai due tarentass.

Fu allora una gara di velocità, perchè i cavalli della berlina, eccitati senza dubbio dalla presenza e dall’andatura di quelli che erano passati innanzi, ritrovarono forze per alcuni minuti. Le tre carrozze erano scomparse in un nugolo di polvere, da cui uscivano lo schioccar delle fruste miste a grida d’eccitamento e ad interiezioni di collera.

Pure il vantaggio rimase a Michele Strogoff ed ai suoi compagni; vantaggio che poteva essere importantissimo, se mai scarseggiassero i cavalli. Due carrozze da aggiogare era forse più di quanto potesse fornire il mastro di posta, almeno in un breve termine. [p. 42 modifica]

Mezz’ora dopo la berlina rimasta indietro non era più che un punto visibile appena nell’orizzonte della steppa.

Erano le otto pomeridiane quando i due tarentass giunsero al cambio dei cavalli all’ingresso d’Ichim.

Le notizie dell’invasione erano sempre più cattive, la città era direttamente minacciata dall’avanguardia delle colonne tartare, e da due giorni le autorità avevano dovuto ripiegarsi sopra Tobolsk. Ichim non aveva più nè un funzionario nè un soldato.

Michele Strogoff, giunto al cambio, chiese immediatamente cavalli per sè.

Buon per lui che era passato innanzi alla berlina, perchè tre cavalli soltanto erano in grado di essere aggiogati subito; gli altri erano tornati appena, stanchi da qualche lunga tappa.

Il mastro di posta diede l’ordine di aggiogare.

Quanto ai due corrispondenti, ai quali parve bene di arrestarsi ad Ichim, non avevano a darsi alcun pensiero d’un mezzo di trasporto immediato.

Dieci minuti dopo il suo arrivo al cambio, Michele Strogoff fu avvertito che il suo tarentass era pronto a partire.

— Bene, rispose egli.

Poi movendo incontro ai due giornalisti:

— Ora, signori, poichè restate ad Ichim, è venuto il momento di separarci.

— Come, signor Korpanoff, disse Alcide Jolivet, non vi fermerete nemmeno un’ora ad Ichim?

— No, signore, anzi desidero di aver lasciato questo luogo prima che giunga la berlina a cui siamo passati innanzi.

— Temete forse che quel viaggiatore cerchi di contendervi i cavalli freschi? [p. 43 modifica]

— Mi sta a cuore di evitare qualsiasi difficoltà.

— Quand’è così, signor Korpanoff, disse Alcide Jolivet, non ci rimane più che ringraziarvi ancora una volta del servizio che ci avete reso e del piacere che abbiamo avuto viaggiando in compagnia vostra.

— Del resto è possibile che c’incontriamo fra qualche giorno ad Omsk, disse Harry Blount.

— È possibile infatti, rispose Michele Strogoff, poichè io ci vado direttamente.

— Ebbene, buon viaggio, signor Korpanoff, disse allora Alcide Jolivet, Dio vi guardi dalle teleghe.

I due corrispondenti stendevano la mano a Michele Strogoff coll’intenzione di stringergliela colla massima cordialità, quando s’udì al difuori il rumore di una carrozza.

Quasi subito la porta dell’ufficio s’aprì bruscamente, ed apparve un uomo.

Era il viaggiatore della berlina, un individuo dall’aspetto militare, sulla quarantina, alto e robusto, colle spalle larghe e folti mustacchi che si congiungevano ai favoriti rossi. Portava un’uniforme senza insegna, una sciabola di cavalleria pendeva alla sua cintola, ed egli teneva in mano uno staffile a manico corto.

— Dei cavalli, chiese egli in aria d’uomo avvezzo a comandare.

— Non ho più cavalli disponibili, rispose il mastro di posta inchinandosi.

— Me ne occorrono sull’istante.

— È impossibile.

— E che sono quei cavalli aggiogati al tarentass che ho visti alla porta?

— Appartengono a questo viaggiatore, rispose il mastro di posta mostrando Michele Strogoff. [p. 44 modifica]

— Si stacchino, disse il viaggiatore con un accento che non ammetteva replica.

Allora Michele Strogoff si fece innanzi.

— Questi cavalli li ho presi io.

— Poco m’importa, ne ho bisogno, andiamo, presto! Non ho tempo da perdere.

— Anch’io non ho tempo da perdere, rispose Michele Strogoff, che voleva essere tranquillo e si tratteneva a stento.

Nadia gli stava vicino, tranquilla anch’essa, ma segretamente inquieta di una scena che meglio sarebbe stato evitare.

— Finiamola! ripetè il viaggiatore.

Poi, rivolgendosi al mastro di posta:

— Si stacchino i cavalli da quel tarentass, esclamò con atto minaccioso, e si attacchino alla mia berlina!

Il mastro di posta, imbarazzatissimo, non sapeva a chi obbedire, e guardava Michele Strogoff, che era in diritto di resistere alle ingiuste esigenze del viaggiatore.

Michele Strogoff esitò un istante. Egli non vorrà far uso del suo podarosna, che avrebbe attirato l’attenzione su lui, e nemmeno non voleva cedere i cavalli per ritardare il suo viaggio, nè impegnare una lotta che avrebbe potuto mettere a rischio la sua missione.

I due giornalisti lo guardavano, pronti del resto a soccorrerlo se facesse appello ad essi.

— I miei cavalli resteranno alla mia carrozza! disse Michele Strogoff, ma senza alzare la voce più che non convenisse ad un semplice mercante d’Irkutsk.

Il viaggiatore s’avanzò allora verso Michele Strogoff, e ponendogli rudemente la mano sulla spalla: [p. 45 modifica]

— Sta bene, diss’egli con voce sonora; tu non vuoi cedere i tuoi cavalli?

— No, rispose Michele Strogoff.

— Ebbene, apparterranno a quello di noi due che potrà ripartire. Difenditi, perchè io non ti risparmierò.

Così parlando, il viaggiatore sguainò la sciabola e si pose in guardia.

Nadia si era buttata avanti a Michele Strogoff, il quale disse semplicemente:

— Non mi batterò! e per meglio trattenersi incrociò le braccia sul petto.

— Tu non ti batterai?

— No.

— Nemmeno dopo questo? esclamò il viaggiatore.

Ed al medesimo tempo, prima che alcuno avesse potuto trattenerlo, il manico dello scudiscio percosse la spalla di Michele Strogoff.

A quell’insulto Michele Strogoff impallidì orribilmente. Le sue mani si levarono in alto come se volessero stritolare quell’uomo brutale, ma con un supremo sforzo riuscì a contenersi. Un duello era peggio di un ritardo, ed era forse la sua missione fallita!.... Meglio valeva perdere qualche ora!... Sì, ma patire questo affronto!

— Ti batterai tu ora, vigliacco? ripetè il viaggiatore aggiungendo la ruvidezza alla brutalità.

— No! rispose Michele Strogoff senza muoversi, non staccando gli occhi dal viaggiatore.

— I cavalli sull’istante! disse allora costui.

Ed uscì dalla sala.

Il mastro di posta lo seguì non senza essersi stretto nelle spalle, dopo aver salutato Michele Strogoff in maniera ironica. [p. 46 modifica]

L’effetto prodotto sui giornalisti da questo incidente non poteva essere onorifico per Michele Strogoff; il loro sbigottimento era palese. Come! quel giovanotto robusto si lasciava picchiare così e non domandava ragione d’un simile insulto? Si accontentarono di salutare e si ritrassero. Alcide Jolivet dicea ad Harry Blount:

— Non avrei mai creduto una cosa simile in un uomo che sventra con tanto garbo gli orsi dell’Ural. Sarebbe mai vero che il coraggio ha le sue ore e le sue forme? Non ci capisco più nulla. Ma forse noi comprendiamo male, perchè non siamo mai stati servi.

Un istante dopo il rumore delle ruote, lo schioccare della frusta indicavano che la berlina aggiogata coi cavalli del tarentass lasciava rapidamente la casa di posta.

Nadia, impassibile, Michele Strogoff ancora agitato, stettero ancora nella sala.

Il corriere dello czar, colle braccia sempre sul petto, si era seduto. Pareva una statua. Tuttavia un rossore, che non doveva essere quello della vergogna, aveva sostituito il pallore sul suo maschio volto.

Nadia non dubitava che formidabili ragioni soltanto avessero potuto far divorare ad un uomo simile una simile umiliazione.

Accostandoglisi adunque, come egli aveva fatto con lei nella casa di polizia di Nijni-novgorod:

— La tua mano, fratello, disse.

Ed al medesimo tempo il suo dito con atto quasi materno asciugò una lagrima, che brillava nell’occhio del suo compagno.

Note

  1. Moneta d’oro che vale 5 rubli; il rublo è una moneta d’argento che vale 100 kopek, ossia 3 franchi e 92.