Michele Strogoff/Parte Prima/Capitolo XVII. Versetti e canzoni

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Parte Prima - Capitolo XVII. Versetti e canzoni

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Jules Verne - Michele Strogoff (1876)
Traduzione dal francese di Anonimo
Parte Prima - Capitolo XVII. Versetti e canzoni
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CAPITOLO XVII.

versetti e canzoni.


Michele Strogoff era relativamente al sicuro, e tuttavia la sua condizione durava ancora terribile.

Ora che il fedele animale, che l’aveva così coraggiosamente servito, aveva trovato la morte nelle acque del fiume, come potrebbe egli proseguire il suo viaggio?

Egli era a piedi, senza viveri, in un paese rovinato dall’invasione, battuto dai guastatori dell’Emiro, e si trovava ancora a gran distanza dalla meta che bisognava raggiungere.

— Per il cielo, arriverò! esclamò egli rispondendo così a tutti gli scoraggiamenti che il suo spirito aveva un istante intravveduto. Dio protegge la santa Russia. [p. 101 modifica]

Michele Strogoff era allora fuor di portata dei cavalieri usbechi, i quali non avevano cessato di inseguirlo attraverso il fiume, e d’altra parte dovevano credere che si fosse annegato, perchè dopo la sua scomparsa sotto le acque, essi non avevano potuto vederlo giungere alla riva destra dell’Obi.

Michele Strogoff cacciandosi fra le canne gigantesche del margine, s’era spinto ad una parte più elevata della ripa, pur non senza stento perchè una melma densa, deposta dallo straripamento delle acque, la rendeva poco praticabile.

Una volta sopra un terreno più solido, Michele Strogoff deliberò quel che convenisse fare. Anzitutto egli voleva evitare Tomsk, occupata dalle truppe tartare. Ma gli bisognava giungere a qualche borgata, e se fosse necessario a qualche posta di cavalli per procurarsene uno. Trovata la cavalcatura, si getterebbe fuori della via battuta per ripigliare la strada d’Irkutsk, se non nei dintorni di Krasnoiarsk. Più oltre, affrettandosi, sperava di trovar la via ancora libera e di poter discendere al sud-est lungo le provincie del lago Baikal.

Michele Strogoff cominciò dall’orientarsi.

Due verste più avanti, seguendo il corso dell’Obi, una piccola città pittoresca sorgeva sopra una lieve rigonfiatura del suolo. Sul fondo bigio del cielo si disegnavano alcune chiese a cupole bizantine, colorate di verde ed oro.

Era Kolyvan, dove i funzionarî e gl’impiegati di Kamsk e d’altre città vanno a rifugiarsi nell’estate per fuggire il clima malsano della Baraba. Kolyvan, stando alle notizie che il corriere dello czar aveva avuto, non doveva essere ancora in mano degli invasori. Le truppe tartare, divise in due colonne, si erano portate a mancina sopra [p. 102 modifica]Omsk, a diritta sopra Tomsk, trascurando il paese intermedio.

Il disegno formato da Michele Strogoff era semplice e logico: giungere a Kolyvan prima che vi fossero giunti i cavalieri usbechi che risalivano la riva sinistra dell’Obi; colà, dovesse anche pagarli dieci volte il loro valore, faceva conto di procurarsi abiti ed un cavallo, e tornare sulla via d’Irkutsk, attraverso la steppa meridionale.

Erano le 3 del mattino. I dintorni di Kolyvan, allora perfettamente tranquilli, parevano del tutto abbandonati. Evidentemente la popolazione della campagna, fuggendo l’invasione a cui non poteva resistere, si era spinta al nord nelle provincie del Yeniseisk.

Michele Strogoff si dirigeva dunque con passo rapido verso Kolyvan, quando lontane detonazioni giunsero fino a lui.

S’arrestò, e potè discernere nettamente i sordi brontolii che commovevano lo strato dell’aria, e sovr’essi un crepitío più secco, la cui natera non poteva ingannarlo.

— È il cannone, sono le schioppettate, pensò. Il piccolo corpo russo è dunque alle prese coll’armata tartara. Voglia il cielo ch’io giunga prima di essi a Kolyvan!

Michele Strogoff non andava errato. Poco stante le detonazionî s’udirono più chiare, e a mano manca di Kolyvan si condensarono sull’orizzonte le grosse volute di vapori bianchicci, dai profili netti, che accompagnano le scariche d’artiglieria.

A mano manca dell’Obi, i cavalieri usbechi si erano arrestati per aspettare il risultato della battaglia. [p. 103 modifica]

Da questo lato Michele Strogoff nulla più aveva a temere, onde s’affrettò verso la città.

Frattanto le detonazioni raddoppiarono, avvicinandosi sempre più. Non era più un rumore confuso, ma una serie di cannonate distinte. Al medesimo tempo il fumo sospinto dal vento, si levava in aria e divenne anzi evidente che i combattenti piegavano rapidamente verso il sud. Kolyvan doveva essere evidentemente attaccata dalla parte settentrionale. Ma i Russi la difendevano essi contro le truppe tartare, o cercavano di ripigliarla ai soldati di Féofar-kan? Questo era impossibile sapere; e il dubbio imbarazzava forte Michele Strogoff.

Egli non era più che a mezza versta da Kolyvan, quando un lungo zampillo di fuoco sorse fra le case della città, ed il campanile d’una chiesa crollò in mezzo a torrenti di polvere e di fiamme.

La lotta era dunque in Kolyvan? Michele Strogoff dovette almeno crederlo, ed in questo caso era evidente che Russi e Tartari si battevano nelle vie della città. Era dunque il momento di cercarvi rifugio? Non rischiava egli, Michele Strogoff, di esservi preso, e gli riuscirebbe di fuggire da Kolyvan, come aveva potuto fuggire da Omsk?

Si proposero al suo pensiero tutti questi quesiti. Esitò egli e s’arrestò un istante. Non valeva meglio, anche a piedi, andarsene al sud od all’est, a qualche borgatella, come a dire Diachinks od altra, e colà procurarsi ad ogni costo un cavallo?

Era il solo partito da prendere, e subito, abbandonando le rive dell’Obi, Michele Strogoff si portò bravamente alla diritta di Kolyvan.

In quel mentre le detonazioni erano [p. 104 modifica]violentissime. Non andò molto che irruppero le fiamme a mano manca della città. L’incendio divorava tutto un quartiere di Kolyvan.

Michele Strogoff correva attraverso la steppa, cercando di giungere a mettersi al coperto di qualche albero, disseminato qua e là, quando apparve a diritta un drappello di cavalleria tartara.

Michele Strogoff non poteva evidentemente continuare a fuggire in questa direzione, chè i cavalieri s’avanzavano rapidamente verso la città, e gli sarebbe stato difficile sfuggire.

A un tratto, all’angolo d’un fitto boschetto d’alberi, egli vide una casa isolata a cui gli era possibile giungere prima d’essere veduto.

Corrervi, nascondervisi, chiedere o pigliare al bisogno il tanto da ristorare le proprie forze, giacchè egli era sfinito dalla stanchezza e dalla fame, non altro rimaneva a fare a Michele Strogoff.

Egli si precipitò adunque verso quella casa, distante mezza versta al più. Accostandovisi, riconobbe che era un posto telegrafico. Due fili ne partivano nelle direzioni ovest ed est, ed un terzo filo era teso verso Kolyvan.

Si doveva immaginare che questa stazione fosse abbandonata nelle circostanze presenti, ma ad ogni modo Michele Strogoff potrebbe rifugiarvisi ed aspettare la notte, se fosse necessario, per gettarsi di nuovo attraverso la steppa battuta dai guastatori tartari.

Michele Strogoff si slanciò subito verso la porta della casa e la spinse con impeto.

Una sola persona si trovava nella sala in cui si facevano le trasmissioni telegrafiche.

Era un impiegato, tranquillo, flemmatico, indifferente a quanto accadeva al di fuori. Fedele al [p. 105 modifica]suo posto, egli aspettava dietro uno sportello che il pubblico venisse a chiedere i suoi uffizî.

Michele Strogoff corse da lui e con voce rotta dall’ansia:

— Che cosa sapete voi? gli chiese.

— Nulla, rispose l’impiegato sorridendo.

— Sono i Russi ed i Tartari che si trovano alle prese?

— Così si dice.

— Ma quali sono i vincitori?

— Lo ignoro.

Tanta placidezza in mezzo a quelle terribili congiunture, tanta indifferenza erano appena credibili.

— Ed il filo non è rotto? domandò Michele Strogoff.

— È rotto fra Kolyvan e Krasnoiarsk, ma funziona ancora fra Kolyvan e la frontiera russa.

— Per il governo?

— Per il governo quando lo giudica conveniente. Per il pubblico quando paga. Dieci kopek ogni parola. — Se volete, signore....

Michele Strogoff stava per rispondere allo strano impiegato ch’egli non aveva alcun dispaccio da mandare, e che solo chiedeva un po’ di pane ed acqua, quando la porta della casa fu aperta bruscamente.

Michele Strogoff, credendo che il posto venisse invaso dai Tartari, si preparava a saltare dalla finestra; ma riconobbe che due soli uomini erano entrati nella sala, due uomini che avevano tutt’altro aspetto da quello dei soldati tartari.

L’un d’essi teneva in mano un dispaccio scritto colla matita, e precedendo l’altro si precipitò allo sportello dell’impassibile impiegato.

In questi due uomini Michele Strogoff riconobbe [p. 106 modifica]con uno stupore che ciascuno comprenderà, due personaggi ai quali egli non pensava guari e che non credeva di dover rivedere mai più.

Erano i corrispondenti Harry Blount ed Alcide Jolivet, non più compagni di viaggio, ma rivali e nemici, ora che operavano sul campo di battaglia.

Essi avevano lasciato Ichim alcune ore soltanto dopo la partenza di Michele Strogoff, e, se erano giuati prima di lui a Kolyvan, seguendo la medesima strada, se gli erano anche passati innanzi, gli è che Michele Strogoff aveva perduto tre giorni sulle sponde dell’Irtyche.

Ed ora, dopo d’aver assistito entrambi alla lotta dei Russi e dei Tartari dinanzi alla città, dopo di aver lasciato Kolyvan nel momento in cui la lotta avveniva nelle strade, erano corsi alla stazione telegrafica per mandare all’Europa i loro dispacci rivali e contendere l’uno all’altro la primizia degli avvenimenti.

Michele Strogoff s’era messo in disparte nell’ombra, e senza essere veduto poteva vedere ed udire ogni cosa. Egli doveva naturalmente apprendere notizie per lui interessanti e sapere se dovesse o no entrare in Kolyvan.

Harry Blount, più premuroso del suo collega, si era piantato dinanzi allo sportello, e presentava il suo dispaccio, mentre Alcide Jolivet, contrariamente alle sue abitudini, pestava i piedi per l’impazienza.

— Dieci kopek per ogni parola, disse l’impiegato pigliando il dispaccio.

Harry Blount depose dinanzi a sè un mucchietto di rubli, che il suo confratello guardò con un certo stupore.

— Bene, disse l’impiegato. [p. 107 modifica]

E, colla massima freddezza d’animo, incominciò a telegrafare questo dispaccio:

«Daily Telegraph, Londra.


«  Kolyvan, governo di Omsk, Siberia 6 agosto.

« Combattimento delle truppe russe e tartare...»

Questa lettura essendo fatta ad alta voce, Michele Strogoff udiva tutto quanto il corrispondente inglese comunicava al suo giornale.

«Truppe russe respinte con gran perdite. Tartari entrati in Kolyvan oggi medesimo....»

Queste parole terminavano il dispaccio.

— Alla mia volta ora, esclamò Alcide Jolivet, il quale volle mandare il dispaccio diretto alla sua cugina del sobborgo Montmartre.

Ma codesto non garbava menomamente al corrispondente inglese, il quale non voleva abbandonare lo sportello, per essere sempre in grado di mandare le notizie man mano che seguissero gli avvenimenti. Onde non cedette il posto al confratello.

— Ma voi avete finito... esclamò Alcide Jolivet.

— Non ho finito, rispose semplicemente Harry Blount.

E proseguì a scrivere una serie di parole, che consegnò poi all’impiegato, e che costui lesse con voce pacata:

«In principio Dio creò il cielo e la terra....»

Erano i versetti della Bibbia che Harry Blount telegrafava, per impiegare il tempo e non cedere [p. 108 modifica]il suo posto al rivale. Il dispaccio doveva costare qualche migliajo di rubli al suo giornale, che se non altro doveva essere informato per il primo. La Francia aspetterebbe!

Si capisce il furore di Alcide Jolivet, il quale in un’altra occasione avrebbe trovato la cosa di buona guerra. Egli volle perfino costringere l’impiegato a ricevere il suo dispaccio a preferenza di quello del confratello.

— Il signore è nel suo diritto, rispose tranquillamente l’impiegato mostrando Harry Blount e sorridendogli in modo amabile.

E continuò a trasmettere al Daily-Telegraph il primo versetto del libro sacro.

Mentre egli operava, Harry Blount andò tranquillamente alla finestra, e, cogli occhiali sul naso, esaminò quello che accadeva nei dintorni di Kolyvan, per compiere le sue informazioni.

Alcuni istanti dopo ripigliò il posto dinanzi allo sportello, ed aggiunse al suo telegramma:


«Due chiese sono in fiamme. L’incendio sembra estendersi a dritta. La terra era nuda ed informe; le tenebre coprivano la faccia dell’abisso....»


Alcide Jolivet ebbe semplicemente una voglia feroce di strangolare l’onorevole corrispondente del Daily-Telegrah.

Ancora una volta egli interpellò l’impiegato, il quale, sempre impassibile, gli rispose semplicemente:

— È nel suo diritto, signore, nel suo diritto... a dieci kopek ogni parola. [p. 109 modifica]

E telegrafò la notizia seguente, comunicatagli da Harry Blount.


«Molti dei fuggiaschi russi lasciano la città. Ora, Dio disse: sia fatta la luce e la luce fu fatta!...»


Alcide Jolivet diventava propriamente rabbioso.

Harry Blount era tornato a porsi dinanzi alla finestra; ma stavolta, distratto senza dubbio dall’interesse dello spettacolo che aveva sotto gli occhi, prolungò un po’ troppo la sua osservazione. E però, quando l’impiegato ebbe finito di telegrafare il terzo versetto della Bibbia, Alcide Jolivet prese, senza far rumore, il suo posto dinanzi allo sportello, e, come aveva fatto il suo confratello, dopo aver deposto un rispettabile mucchio di rubli dinanzi a sè, consegnò il suo dispaccio, che l’impiegato lesse ad alta voce:

               «Maddalena Jolivet,

          « 10, Sobborgo Montmartre (Parigi).

     « Kolyvan, governo di Omsk, Siberia, 6 agosto.

     « I fuggiaschi lasciano la città. Russi battuti. Inseguimento accanito della cavalleria tartara...»


E quando Harry Blount tornò, intese Alcide Jolivet il quale compieva il suo telegramma canticchiando con voce beffarda:


               Il est un petit homme,
               Tout habillé de gris,
                         Dans Paris!...


Trovando inconveniente mescere, come aveva fatto il suo confratello, il sacro al profano, [p. 110 modifica]Alcide Jolivet rispondeva con un’allegra strofetta di Béranger ai versetti della Bibbia.

— Oh! oh! disse Harry Blount.

— Faccio i miei comodi, rispose Alcide Jolivet.

Frattanto la situazione si aggravava intorno a Kolyvan. La battaglia si avvicinava e le detonazioni scoppiavano con estrema violenza.

In quella un urto fe’ tremare il posto telegrafico.

Un obice aveva passato la muraglia ed un nugolo di polvere empiva la sala delle trasmissioni.

Alcide Jolivet finiva allora di scrivere questi versi.


                         Joufflu comme une pomme,
                         Qui, sans un sou comptant....


ma, arrestarsi, precipitarsi sull’obice, pigliarlo a due mani prima che fosse scoppiato, gettarlo dalla finestra e tornare allo sportello, fu per lui l’affare d’un istante.

Cinque secondi più tardi l’obice scoppiava al di fuori.

E continuando a formulare il suo telegramma colla massima indifferenza, Alcide Jolivet scrisse;

« Obice da sei ha sfondato la muraglia del posto telegrafico. Aspettandone altri del medesimo calibro...»

Per Michele Strogoff non era dubbio che i Russi fossero respinti da Kolyvan. Il suo ultimo partito era dunque di gettarsi attraverso la steppa meridionale. [p. 111 modifica] Ma in quella si udì il rumore delle schioppettate presso al posto telegrafico, ed una grandine di palle franse i vetri della finestra. Harry Blount, colpito alla spalla, cadde a terra. Alcide Jolivet stava proprio allora per aggiungere al dispaccio questo supplemento: «Harry Blount corrispondente del Daily-Telegraph, cade al mio fianco colpito da una scheggia di mitraglia... ma l’impassibile impiegato gli disse con la sua calma inalterabile: — Signore, il filo è rotto. E, lasciando lo sportello, prese tranquillamente il cappello, che spazzolò col gomito, e, sempre sorridendo, uscì da una porticina che Michele Strogoff non aveva veduto. Il posto fu allora ifivaso da soldati tartari, e nè Michele Strogoff, nè i giornalisti poterono compiere la loro ritirata. Alcide Jolivet, tenendo in mano il suo dispaccio inutile, si era precipitato verso Harry Blount, giacente al suolo, e, da quell’uomo di cuore che egli era, se l’era caricato sulle spalle, coll’intenzione di fuggire con lui; ma era troppo tardi! Entrambi erano prigionieri; insieme con essi Michele Strogoff, colto all’improvviso nel momento in cui stava per gettarsi dalla finestra, cadeva fra le mani dei Tartari!

fine della parte prima.