Milione/209

Da Wikisource.
Capitolo 209
D'una gran battaglia

../208 IncludiIntestazione 31 agosto 2009 75% Saggi

Capitolo 209
D'una gran battaglia
208


Al tempo degli anni Domini 1261 sí si cominciò una grande discordia tra gli Tarteri del Ponente e quegli del Levante. E questo si fu per una provincia, ché l’uno signore e l’altro la voleva, sicché ciascuno fece suo isforzo e suo apparecchiamento in sei mesi.

Quando venne in capo degli sei mesi, e ciascuno síe uscíe fuori a campo; e ciascuno avea bene in sul campo bene 300.000 cavalieri bene apparecchiati d’o[gn]i cosa da battaglia, secondo loro usanza. Sappiate che lo re Barga avea bene 350.000 di cavalieri. Or si puose a campo a 10 miglia presso l’uno all’altro; e voglio che voi sappiate che questi campi erano i piú ricchi campi che mai fossono veduti di padiglioni e di trabacche, tutti forniti di sciamiti e d’oro e d’ariento. E cosí istettoro tre dí.

Quando venne la sera che la battaglia dovea essere la mattina vegnente, ciascuno confortò bene sua gente ed amonío siccome si conveniva. Quando venne la mattina, e ciascuno signore fu in sul campo, e’ feciono loro ischiere bene e ordinatamente. Lo re Barga fece 35 ischiere, lo re Alau ne fece pure 30, perché avea meno di gente; e ogni ischiera era da 10.000 uomeni a cavallo. Lo campo era molto bello e grande, e bene faceva bisogno ché giammai non si ricorda che tanta gente s’asembiasse in sun un campo; e sappiate che ciascuna gente erano prodi ed arditi. Questi due signori furono amendue discesi della ischiatta di Cinghy Kane, ma poi sono divisi, ché l’uno è signore del Levante e l’altro del Ponente.

Quando furono aconci l’una parte e l’altra e gli naccheri incominciarono a sonare da ciascuna parte, allora fu cominciata la battaglia colle saette. Le saette cominciarono ad andare per l’aria tante che tutta l’aria era piena di saette, e tante ne saettarono che piú non n’avevano: tutto il campo era pieno d’uomeni morti e di fediti. Poi missoro mano alle ispade: quella era tale tagliata di teste e di braccia e di mani di cavalieri, che giammai tale non fu veduta né udita, e tanti cavalieri a terra ch’era una maraviglia a vedere da ciascuna parte, né giammai non morí tanta gente in un campo, che niuno non potea andare per terra, se no su per gli uomeni morti e fediti. Tutto il mondo pareva sangue, ché gli cavagli andavano nel sangue insino a mezza gamba; lo romore e ’l pianto era sí grande dei fediti ch’erano in terra, ch’era una maraviglia a udire lo dolore che facevano.

E lo re Alau fece sí grande maraviglia di sua persona che non pareva uomo, anzi pareva una tempesta, sicché il re Barga non poté durare, anzi gli co(n)venne alla perfine lasciare il campo; e missesi a fuggire, e lo re Alau gli seguí dietro con sua gente, tuttavia uccidendo quantunque ne giugnevano.

Quando lo re Barga fu isconfitto con tutta sua gente, e il re Alau si ritornò in sul campo, e comandò che tutti gli morti fossono arsi, cosí gli nemici come gli amici, però ch’era loro usanza d’ardere i morti. E fatto ch’ebbono questo, sí si partirono e ritornarono in loro terre.

Avete inteso tutti i fatti dei Tarteri e dei saracini, quanto se ne può dire, e di loro costumi, e degli altri paesi che sono per lo mondo, quanto se ne puote cercare e sapere, salvo che del Mar Maggiore non vi abiamo parlato né detto nulla, né delle province che gli sono d’intorno, avegna che noi il cercamo ben tutto. Perciò il lascio a dire, ché mi pare che sia fatica a dire quello che non sia bisogno né utile, né quello ch’altri fa tutto dí, ché tanti sono coloro che ’l cercano e ’l navicano ogni dí che bene si sa, siccome sono Viniziani e Genovesi e Pisani e molta altra gente che fanno quel viaggio ispesso, che catuno sa ciò che v’è; e perciò mi taccio e non ve ne parlo nulla di ciò.

Della nostra partita, come noi ci partimmo dal Grande Kane, avete inteso nel cominciamento del libro, in uno capitolo ove parla della briga e fatica ch’ebbe messer Matteo e messer Niccolò e messer Marco in domandare commiato dal Gran Kane; e in quello capitolo conta l’aventura ch’avemmo nella nostra partita. E sappiate, se quella aventura non fosse istata, a gran fatica e con molta pena saremmo mai partiti, sicché a pena saremmo mai tornati in nostro paese.

Ma credo che fosse piacere di Dio nostra tornata, acciò che si potessoro sapere le cose che sono per lo mondo, ché, secondo ch’avemo contato in capo del libro nel titolo primaio, e’ non fu mai uomo, né cristiano né saracino né tartero né pagano, che mai cercasse tanto nel mondo quanto fece messer Marco, figliuolo di messer Niccolò Polo, nobile e grande cittadino della città di Vinegia.